Martedì, 10 febbraio 2015

Due carte d'identità

Per conoscere la nostra vera identità non possiamo essere « cristiani seduti » ma dobbiamo avere il « coraggio di metterci sempre in cammino per cercare il volto del Signore », perché noi siamo « immagine di Dio ».

Nella messa celebrata a Santa Marta martedì 10 febbraio, Papa Francesco, commentando la prima lettra liturgica - il racconto della creazione nel libro della Genesi ( Gen 1,20-2,4 ) - ha riflettuto su una domanda essenziale per ogni persona: « Chi sono io? ».

La nostra « carta d'identità », ha detto il Papa, si ritrova nel fatto che gli uomini sono stati creati « all'immagine, secondo la somiglianza di Dio ».

Ma allora, ha aggiunto, « la domanda che noi possiamo farci è: Come conosco, io, l'immagine di Dio?

Come so com'è lui per sapere come sono io?

Dove trovo l'immagine di Dio? ».

La risposta si trova « certamente non sul computer, non nelle enciclopedie, non nei libri », perché « non c'è un catalogo dove c'è l'immagine di Dio ».

C'è solo un modo « per trovare l'immagine di Dio, che è la mia identità » ed è quello di mettersi in cammino: « Se non ci mettiamo in cammino, mai potremo conoscere il volto di Dio ».

Questo desiderio di conoscenza si ritrova anche nell'Antico testamento.

I salmisti, ha fatto notare Francesco, « tante volte dicono: io voglio conoscere il tuo volto »; e « anche Mosè una volta l'ha detto al Signore ».

Ma in realtà « non è facile, perché mettersi in cammino significa lasciare tante sicurezze, tante opinioni di come è l'immagine di Dio, e cercarlo ».

Significa, in altri termini, « lasciare che Dio, la vita, ci metta alla prova », significa « rischiare », perché « soltanto così si può arrivare a conoscere il volto di Dio, l'immagine di Dio: mettendosi in cammino ».

Il Papa ha attinto ancora all'Antico testamento per ricordare che « così ha fatto il popolo di Dio, così hanno fatto i profeti ».

Per esempio « il grande Elia: dopo aver vinto e purificato la fede di Israele, lui sente la minaccia di quella regina e ha paura e non sa cosa fare.

Si mette in cammino.

E a un certo punto, preferisce morire ».

Ma Dio « lo chiama, gli dà da mangiare, da bere e dice: continua a camminare ».

Così Elia « arriva al monte e lì trova Dio ».

Il suo è stato dunque « un lungo cammino, un cammino penoso, un cammino difficile », ma ci insegna che « chi non si mette in cammino, mai conoscerà l'immagine di Dio, mai troverà il volto di Dio ».

È una lezione per tutti noi: « i cristiani seduti, i cristiani quieti - ha affermato il Pontefice - non conosceranno il volto di Dio ».

Hanno la presunzione di dire: « Dio è così, così … », ma in realtà « non lo conoscono ».

Per camminare, invece, « è necessaria quella inquietudine che lo stesso Dio ha messo nel nostro cuore e che ti porta avanti a cercarlo ».

La stessa cosa, ha spiegato il Pontefice, è successa « a Giobbe che, con la sua prova, ha incominciato a pensare: ma come è Dio, che permette questo a me? ».

Anche i suoi amici « dopo un grande silenzio di giorni, hanno incominciato a parlare, a discutere con lui ».

Ma tutto ciò non è stato utile: « con questi argomenti, Giobbe non ha conosciuto Dio ».

Invece « quando lui si è lasciato interpellare dal Signore nella prova, ha incontrato Dio ».

E proprio da Giobbe si può ascoltare « quella parola che ci aiuterà tanto in questo cammino di ricerca della nostra identità: "Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto" ».

È questo il cuore della questione secondo Francesco: « l'incontro con Dio » che può avvenire « soltanto mettendosi in cammino ».

Certo, ha continuato, « Giobbe si è messo in cammino con una maledizione », addirittura « ha avuto il coraggio di maledire la vita e la sua storia: "Maledetto il giorno che sono nato …" ».

In effetti, ha riflettuto il Papa, « a volte, nel cammino della vita, non troviamo un senso alle cose ».

La stessa esperienza è stata vissuta dal profeta Geremia, il quale « dopo essere stato sedotto dal Signore, sente quella maledizione: "Ma perché a me?" ».

Egli voleva « restarsene seduto tranquillo » e invece « il Signore voleva fargli vedere il suo volto ».

Questo vale per ognuno di noi: « per conoscere la nostra identità, conoscere l'immagine di Dio, bisogna mettersi in cammino », essere « inquieti, non quieti ».

Proprio questo « è cercare il volto di Dio ».

Papa Francesco si è quindi riferito anche al passo del Vangelo di Marco ( Mc 7,1-13 ), nel quale « Gesù incontra gente che ha paura di mettersi in cammino » e che costruisce una sorta di « caricatura di Dio ».

Ma quella « è una falsa carta d'identità » perché, ha spiegato il Pontefice, « questi non-inquieti hanno fatto tacere l'inquietudine del cuore: dipingono Dio con i comandamenti » ma così facendo « si dimenticano di Dio » per osservare solo « la tradizione degli uomini ».

E « quando hanno un'insicurezza, inventano o fanno un altro comandamento ».

Gesù dice a scribi e farisei che accumulano comandamenti: « Così voi annullate la Parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi, e di cose simili ne fate molte ».

Proprio questa « è la falsa carta d'identità, quella che possiamo avere senza metterci in cammino, quieti, senza l'inquietudine del cuore ».

In proposito il Papa ha messo in evidenza un particolare « curioso »: il Signore infatti « li loda ma li rimprovera dove c'è il punto più dolente.

Li loda: "Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione" », ma poi « li rimprovera lì dove è il punto più forte dei comandamenti con il prossimo ».

Gesù ricorda infatti che Mosè disse: « Onora tuo padre e tua madre, e chi maledice il padre o la madre sia messo a morte ».

E prosegue: « Voi invece dite: se uno dichiara al padre o alla madre che "ciò con cui dovrei aiutarti, cioè darti da mangiare, darti da vestire, darti per comprare le medicine, è Korbàn, offerta a Dio", non consentite loro di fare più nulla per il padre e la madre ».

Così facendo « si lavano le mani con il comandamento più tenero, più forte, l'unico che ha una promessa di benedizione ».

E così « sono tranquilli, sono quieti, non si mettono in cammino ».

Questa dunque « è l'immagine di Dio che loro hanno ».

In realtà il loro è un cammino « fra virgolette »: ossia « un cammino che non cammina, un cammino quieto.

Rinnegano i genitori, ma compiono le leggi della tradizione che loro hanno fatto ».

Concludendo la sua riflessione il vescovo di Roma ha riproposto il senso dei due testi liturgici come « due carte d'identità ».

La prima è « quella che tutti noi abbiamo, perché il Signore ci ha fatto così », ed è « quella che ci dice: mettiti in cammino e tu avrai conoscenza della tua identità, perché tu sei immagine di Dio, sei fatto a somiglianza di Dio.

Mettiti in cammino e cerca Dio ».

L'altra invece ci rassicura: « No, stai tranquillo: compi tutti questi comandamenti e questo è Dio.

Questo è il volto di Dio ». Da qui l'auspicio che il Signore « dia a tutti la grazia del coraggio di metterci sempre in cammino, per cercare il volto del Signore, quel volto che un giorno vedremo ma che qui, sulla terra, dobbiamo cercare ».