Messaggio Urbi et Orbi di Natale 1952

24 dicembre 1952

Il Natale cristiano grande speranza di salvezza

Levate capita vestra: ecce appropinquat redemptio vestra: Alzate le vostre teste, perchè la vostra redenzione è vicina ( Lc 21,28 ).

Questo fausto preannunzio del divino Maestro, destinato al supremo giorno in cui Egli tornerà nuovamente sulla terra « con potestà grande e maestà » ( ib. 27 ), per riprendere con la umanità il suo colloquio in veste di sovrano Giudice, è ricordato e rivolto ai credenti dalla liturgia natalizia come invito a scuotere ogni velo di angoscia dalle loro fronti e ad accogliere nelle loro anime la grande speranza di salvezza che, rinnovata in ogni Santo Natale, s'irradia dall'umile culla di Betlemme, rivelatrice della benignità e della misericordia del sommo Dio ( cfr. Tt 3,4 ).

Questo medesimo invito a levare il vostro sguardo verso il sole della speranza intendiamo oggi di far Nostro come saluto ed augurio di Padre a voi tutti, diletti figli e figlie.

Il dolce mistero del Natale cristiano vi attragga a compiere ciò che il celeste Bambino nascendo ha iniziato; il mistico fulgore della santa Notte si riverberi, foriero di certa speranza e di fondato conforto, negli animi vostri, dell'una e dell'altro più che mai assetati, mentre l'una e l'altro, quali gemme di cielo, invano cerchereste sull'arida terra.

Il dolente coro dei poveri e degli oppressi

Ma il Nostro augurale saluto è rivolto, prima che ad altri, ai poveri, agli oppressi, a coloro che per qualsiasi motivo gemono nelle afflizioni, e la cui vita è quasi condizionata dal respiro di speranza che loro si sa infondere e dalla misura di soccorso che loro si riesce a procurare.

Sono tanti e tanti questi diletti figli!

Il dolente coro di preghiere e d'invocazioni d'aiuto, lungi dal segnare quella diminuzione, che i non pochi anni ormai trascorsi dalla fine del conflitto mondiale facevano a buon diritto sperare, perdura e diviene talvolta più intenso per bisogni urgenti e molteplici, levandosi verso di Noi, si può dire, da ogni parte del mondo e straziando l'animo Nostro per quanto esso rivela di angustie e di lacrime.

Una triste esperienza Ci ha ormai insegnato che anche quando giunge notizia di miglioramento nelle condizioni generali di un determinato Paese, si deve essere tuttavia preparati all'annunzio di forse nuove calamità in un altro, con nuove miserie e nuovi bisogni.

Per quanto allora possano gravare sul Nostro cuore le pene incessanti di tanti figli, la parola del divino Maestro: Non turbetur cor vestrum neque formidet … vado et venio ad vos ( Gv 14,27-28 )

Ci è valido incitamento a mettere in opera quanto è da Noi per confortare e rimediare.

Vero è che in questo desiderio di provvedere e di soccorrere non siamo soli.

Innumerevoli proposte e progetti, che si prefiggono di prevenire le miserie e di apportarvi rimedio, sono formulati quotidianamente da enti pubblici e privati.

Molti di essi, che Ci vengono presentati da parte di singoli e di gruppi, senza dubbio denotano il buon volere dei loro autori; tuttavia la loro abbondanza eteroclita e le frequenti contraddizioni, in cui incorrono, manifestano uno stato di generale perplessità.

La salvezza non può venire unicamente dalla produzione e dalla organizzazione

Si direbbe che la umanità di oggi, che ha pur saputo costruire la mirabile e complessa macchina del mondo moderno, soggiogando al suo servizio ingenti forze della natura, si mostri poi inetta a dominarne il corso, quasi che il timone le sia sfuggito di mano, e pertanto corra pericolo di essere da quelle travolta e schiacciata.

Tale incapacità di controllo dovrebbe da per sè suggerire agli uomini, che ne sono vittime, di non attendersi la salvezza unicamente dai tecnici della produzione e della organizzazione.

L'opera di questi, soltanto se legata e indirizzata a migliorare e rafforzare i veri valori umani, potrà contribuire, e notevolmente, a risolvere i gravi ed estesi problemi che angustiano la terra; ma in nessun caso - oh quanto vorremmo che tutti se ne rendessero conto al di là e al di qua dell'oceano! - varrà a formare un mondo senza miserie.

Frattanto, in così urgente problema di portare soccorso agli animi in angustie, è necessario che l'umanità sollevi lo sguardo all'azione di Dio, per apprendere costantemente dal suo operare, infinitamente sapiente ed efficace, il modo di aiutare e redimere gli uomini dai loro mali.

Ora precisamente il mistero natalizio getta su ciò una luce maravigliosa.

In che cosa infatti consiste la sostanza di questo ineffabile mistero, se non nell'opera da Dio intrapresa e via via condotta a termine in soccorso della sua creatura, per risollevarla dal profondo della più grave e generale miseria in cui era caduta: la miseria del peccato e l'allontanamento dal sommo Bene?

Due concetti fondamentali dell'opera salvatrice di Dio

Guardate con umile e illuminante contemplazione come Dio conduce la sua opera salvatrice.

Due concetti fondamentali, quasi due canoni, dettati dalla infinita sua sapienza, reggono e guidano l'esecuzione del suo disegno di redenzione, imprimendole l'inconfondibile carattere dell'armonia e dell'efficacia, che è proprio dello stile divino.

Alieno anzitutto dal turbare l'ordinamento preesistente da Lui stabilito nella creazione, Iddio mantiene saldo tutto il vigore di quelle leggi generali che governano il mondo e la natura dell'uomo, anche se infirmata dalle contratte debolezze.

In quell'ordinamento, costituito anch'esso a salute della creatura, Egli nulla sconvolge e ritira, ma inserisce un nuovo elemento, destinato a integrarlo e superarlo: la Grazia, per il cui lume soprannaturale la creatura potrà meglio conoscerlo, e per la cui forza sovrumana potrà meglio osservarlo.

In secondo luogo, per rendere efficace l'ordinamento generale in ogni singolo caso concreto, che non è mai identico con altri, Iddio stabilisce con gli uomini un contatto personale ed immediato, e l'attua nel mistero dell'Incarnazione, per cui la seconda Persona della Trinità Santissima si fa uomo tra gli uomini, gettando così quasi un ponte sopra la infinita distanza che corre fra la Maestà soccorrevole e la creatura indigente, e concordando mutuamente l'immutabile efficacia della legge generale con le esigenze proprie dei singoli.

Chi contempla questa ineffabile armonia dell'azione divina, che di Dio impegna la sapienza, l'onnipotenza e l'amore, non può non esclamare con assoluta fiducia: O Rex gentium, … qui facis utraque unum: veni et salva hominem ( Brev. Rom. Antif. a. Nativ. 22 dec. ); non può non additarla quale modello, quando si tratti d'impostare, sopra un piano terreno, un'azione di soccorso alle umane miserie.

Due false vie

Si direbbe pur troppo che la umanità moderna non è più capace, specialmente nel caso di miserie assai estese, di attuare questa dualità nella unità, questo necessario adattamento dell'ordinamento generale alle condizioni concrete e sempre diverse, non solo dei singoli individui, ma anche dei popoli che si vogliono soccorrere.

O si assegna la salvezza a qualche ordinamento rigorosamente uniforme ed inflessibile, abbracciante tutto il mondo, ad un sistema che dovrebbe agire con la sicurezza di una esperimentata medicina, ad una nuova formula sociale redatta in freddi articoli teorici; ovvero, respingendo tali ricette generali, la si affida alle forze spontanee dell'istinto vitale e, nella migliore ipotesi, agl'impulsi affettivi degl'individui e dei popoli, senza curarsi se poi ne derivi lo sconvolgimento dell'ordine esistente, e quantunque sia chiaro che la salvezza non può nascere dal caos.

Ambedue queste vie sono false, e tanto meno rispecchiano la sapienza di Dio, primo ed esemplare soccorritore della miseria.

Attendere la salute da rigide formule, materialmente applicate all'ordine sociale, è superstizione, perchè attribuisce ad esse un potere quasi prodigioso che non possono avere; mentre il riporre la speranza esclusivamente sulle forze creatrici della azione vitale di ogni singolo individuo, è contrario ai disegni di Dio, che è il Signore dell'ordine.

Sull'una e sull'altra deformazione desideriamo di attirare l'attenzione di coloro che si offrono a soccorritori dei popoli; ma particolarmente sulla superstizione, seconde la quale si terrebbe per certo che la salvezza debba scaturire dall'organizzazione di uomini e di cose in una stretta unità capace del più alto potere produttivo.

Se si riesce - essi pensano - a coordinare le forze degli uomini e le disponibilità della natura in un solo complesso organico, proteso ad assicurare la massima e sempre crescente capacità di produzione, mediante una organizzazione studiata e mandata ad effetto con le cure più minuziose nelle grandi linee come nei minimi particolari, ne scaturirà ogni sorta di beni desiderabili: l'agiatezza, la sicurezza dei singoli, la pace.

La vita sociale non può costruirsi a guisa di una gigantesca macchina industriale

Si sa ove è da ricercare il tecnicismo nel pensiero sociale: nelle gigantesche imprese della industria moderna.

Non abbiamo qui l'intenzione di pronunziare un giudizio sulla necessità, la utilità e gl'inconvenienti di simili forme della produzione.

Senza dubbio esse sono attuazioni maravigliose della potenza inventiva e costruttiva dello spirito umano;

a buon diritto vengono additate all'ammirazione del mondo queste intraprese, che, secondo norme maturamente riflettute, riescono, nella fabbricazione e nell'amministrazione, a coordinare e a conglobare l'azione degli uomini e delle cose;

nessun dubbio egualmente che il loro solido ordine e non di rado la bellezza tutta nuova e propria delle loro forme esterne siano motivo di legittimo orgoglio alla presente età.

Ciò che invece dobbiamo negare è che esse possano e debbano valere come modello generale per la conformazione e l'ordinamento della moderna vita sociale.

È innanzi tutto un chiaro principio di saggezza che ogni progresso è veramente tale, se sa aggiungere nuove conquiste alle antiche, nuovi beni a quelli acquisiti nel passato, in una parola, se sa far tesoro dell'esperienza.

Ora la storia insegna che altre forme della economia nazionale hanno sempre avuto un positivo influsso su tutta la vita sociale; influsso di cui si sono avvantaggiate sia le istituzioni essenziali, come la famiglia, lo Stato, la proprietà privata, sia quelle costituitesi in forza di libera associazione.

Indichiamo ad esempio gl'indiscutibili vantaggi avveratisi là ove predominava l'impresa agricola o artigiana.

Senza dubbio anche la moderna impresa industriale ha avuto benefici effetti; ma il problema, che oggi si presenta, è questo: Sarà egualmente valido ad esercitare un felice influsso sulla vita sociale in genere, e su quelle tre istituzioni fondamentali in specie, un mondo che non riconosca se non la forma economica di un enorme organismo produttivo?

Dobbiamo rispondere che il carattere impersonale di un tale mondo contrasta con la tendenza del tutto personale di quelle istituzioni, che il Creatore ha date alla umana società.

Infatti il matrimonio e la famiglia, lo Stato, la proprietà privata, tendono per natura loro a formare e a sviluppare l'uomo come persona, a proteggerlo e a renderlo capace di contribuire, con la sua volontaria collaborazione e personale responsabilità, al mantenimento e allo sviluppo, altresì personale, della vita sociale.

La sapienza creatrice di Dio resta dunque estranea a quel sistema di unità impersonale, che attenta alla persona umana, fonte e scopo della vita sociale, immagine di Dio nel suo più intimo essere.

La spersonalizzazione dell'uomo moderno

Pur troppo non è il caso al presente di ipotesi e di previsioni, poichè è già in atto questa triste realtà: là ove il demone della organizzazione invade e tiranneggia lo spirito umano, si svelano subito i segni del falso e anormale orientamento dello sviluppo sociale.

In non pochi Paesi lo Stato moderno va divenendo una gigantesca macchina amministrativa.

Esso stende la sua mano su quasi tutta la vita: l'intiera scala dei settori politico, economico, sociale, intellettuale, fino alla nascita e alla morte, vuol farsi materia della sua amministrazione.

Nessuna maraviglia quindi se in questo clima dell'impersonale, che tutta la vita tende a penetrare ed avvolgere, il senso del bene comune si attutisce nelle coscienze dei singoli, e lo Stato perde sempre più il primordiale carattere di una comunità morale dei cittadini.

In tal guisa si rivela l'origine e il punto di partenza della corrente, che travolge in stato di angoscia l'uomo moderno: la sua « spersonalizzazione ».

Gli si è tolto in larga misura il suo volto e il suo nome; in molte delle più importanti attività della vita è stato ridotto a puro oggetto della società, poichè questa, alla sua volta, viene trasformata in sistema impersonale, in una fredda organizzazione di forze.

Effetti del molteplice disconoscimento della persona umana

Chi nutrisse ancora dubbi su questo stato di cose, volga lo sguardo al popoloso mondo della miseria, e chieda alle tanto svariate categorie d'indigenti quali risposte suole dar loro la società, avviata com'è verso il disconoscimento della persona.

Si chieda all'indigente comune, privo di ogni risorsa, non certo raro ad incontrarsi nelle città, come nei borghi e nelle campagne; si chieda al padre di famiglia bisognoso, cliente assiduo dell'Ufficio di assistenza sociale, e i cui figli non possono attendere lontane e vaghe scadenze di un'età d'oro sempre da venire.

Si chieda pure a tutto un popolo dal livello di vita inferiore o assai basso, che, prendendo posto nella famiglia delle nazioni al lato di fratelli, che vivono nella sufficienza o anche nell'abbondanza, attende invano da una Conferenza internazionale all'altra un miglioramento stabile della sua sorte.

Qual'è la risposta che spesso dà la società odierna anche al disoccupato, il quale si presenta agli sportelli dell'Ufficio del lavoro, disposto forse, per abitudine, a ricevere una nuova delusione, ma non rassegnato all'immeritato destino di stimarsi un essere inutile?

E quale è quella che vien data ad un popolo, il quale, per quanto faccia e si dibatta, non riesce ad affrancarsi dalla morsa atrofizzante della disoccupazione in massa?

A tutti questi già da lungo tempo si ripete incessantemente che il loro caso non può essere trattato come personale e individuale; che la soluzione deve essere trovata in un ordinamento da stabilirsi, in un sistema che tutto abbraccerà e che, senza pregiudizio essenziale alla libertà, condurrà uomini e cose ad una più unita e crescente forza di azione, valendosi di un sempre più profondo sfruttamento del progresso tecnico.

Quando sarà attuato tale sistema, scaturirà - si afferma - automaticamente la salvezza per tutti: un tenore di vita in costante aumento e il pieno impiego in ogni dove.

Lontani dal credere che il persistente rimando alla futura potente organizzazione di uomini e di cose sia un misero diversivo escogitato da chi non vuole soccorrere; stimando anzi che esso sia una ferma e sincera promessa, atta a comunicare la fiducia; non si vede tuttavia su quali seri fondamenti questa possa appoggiarsi, dal momento che le esperienze fatte finora inducono piuttosto allo scetticismo verso il prescelto sistema.

Questo scetticismo è peraltro giustificato da una sorta di circolo chiuso, nel quale il fine prefisso e il metodo adottato si rincorrono senza mai raggiungersi e accordarsi: infatti là ove si vuole assicurare il pieno impiego con un continuo crescendo del tenore di vita, si ha motivo di chiedersi con ansia fin dove potrà aumentare senza provocare una catastrofe, e soprattutto senza portare disoccupazioni in massa.

Sembra quindi che si debba tendere a conseguire il più alto possibile grado d'impiego, ma cercando al tempo stesso di mettere al sicuro la sua stabilità.

Nessuna fiducia può dunque illuminare un simile panorama dominato dallo spettro di quella insolubile contraddizione, nè mai si evaderà dalla sua spirale, se si perduri a contare sull'unico elemento dell'altissima produttività.

Occorre non più considerare i concetti di tenore di vita e d'impiego della mano d'opera come fattori puramente quantitativi, ma piuttosto come valori umani nel pieno senso della parola.

Chi pertanto vuole arrecare soccorso ai bisogni degl'individui e dei popoli non può attendere la salvezza da un sistema impersonale di uomini e di cose, anche se fortemente sviluppato sotto l'aspetto tecnico.

Ogni disegno o programma deve essere ispirato dal principio che l'uomo, come soggetto, custode e promotore dei valori umani, è al di sopra delle cose, anche al di sopra delle applicazioni del progresso tecnico, e che occorre soprattutto preservare da una malsana « spersonalizzazione » le forme fondamentali dell'ordine sociale, che abbiamo or ora menzionate, e utilizzarle per creare e sviluppare le relazioni umane.

Se le forze sociali saranno dirette a questo scopo, non solo adempiranno una loro naturale funzione, ma arrecheranno un potente contributo al soddisfacimento delle presenti necessità, perchè ad esse spetta la missione di promuovere la piena solidarietà reciproca degli uomini e dei popoli.

La solidarietà reciproca degli uomini e dei popoli

Sulla base di questa solidarietà Noi invitiamo ad edificare la società, e non su vani e instabili sistemi.

Essa richiede che spariscano le sproporzioni stridenti e irritanti nel tenore di vita dei diversi gruppi di un popolo.

Per questo urgente scopo, alla esterna costrizione si preferisca l'azione efficace della coscienza, la quale saprà imporre i limiti alle spese di lusso, e parimente indurrà i meno abbienti a pensare innanzi tutto al necessario e all'utile, e poi a risparmiare, se ve ne è, il resto.

La solidarietà degli uomini fra di loro esige, non solo in nome del sentimento fraterno, ma della stessa convenienza reciproca, che si utilizzino tutte le possibilità per conservare i posti di lavoro esistenti e per crearne nuovi.

Perciò coloro, che sono capaci d'investire capitali, considerino, in vista del bene comune, se essi possano conciliare con la loro coscienza di non fare, nei limiti delle possibilità economiche, nelle proporzioni e al momento opportuno, simili investimenti e di ritrarsi con vana cautela in disparte.

Dall'altro lato agiscono contro coscienza coloro che, sfruttando egoisticamente le proprie occupazioni, sono causa che altri non riescano a trovare lavoro e divengano disoccupati.

Dove poi la iniziativa privata resta inoperosa o sia insufficiente, i pubblici poteri sono obbligati a procurare, nella maggior misura possibile, posti di lavoro, intraprendendo opere di utilità generale, e a facilitare col consiglio e con altri aiuti l'assunzione al lavoro per coloro che lo cercano.

Ma il Nostro invito a rendere fattivo il sentimento e l'obbligo della solidarietà si estende altresì ai popoli come tali: che ogni popolo, in ciò che concerne il tenore di vita e l'assunzione al lavoro, sviluppi le sue possibilità e contribuisca al progresso corrispondente di altri popoli meno dotati.

Sebbene l'attuazione anche più perfetta della solidarietà internazionale difficilmente possa conseguire la eguaglianza assoluta dei popoli, tuttavia urge che sia praticata almeno in misura da modificare sensibilmente la condizione odierna, la quale è ben lontana dal rappresentare un'armonica proporzione.

In altri termini, la solidarietà dei popoli esige la cessazione delle ingenti disproporzioni nel tenore di vita, e con ciò negli investimenti e nel grado di produttività del lavoro umano.

Un simile risultato però non si otterrà mediante un ordinamento meccanico.

La società umana non è una macchina, e non si deve rendere tale, nemmeno nel campo economico.

Al contrario, si deve far leva incessantemente sull'apporto della persona umana e della individualità dei popoli, come sul fulcro naturale e primordiale, dal quale si dovrà sempre partire per tendere al fine della pubblica economia, vale a dire per assicurare il permanente soddisfacimento in beni e servizi materiali, diretti alla lor volta all'incremento delle condizioni morali, culturali e religiose.

Quindi la solidarietà e le desiderate migliori proporzioni di vita e di lavoro dovrebbero effettuarsi nelle varie regioni, anche se relativamente grandi, ove la natura e lo sviluppo storico dei popoli interessati più facilmente possono offrire per ciò una base comune.

Le sofferenze di coscienza nella società odierna

Le difficoltà economiche non sono tuttavia le sole, di cui l'uomo soffre nella società odierna.

Spesso in connessione con esse sorgono le difficoltà di coscienza, soprattutto per il cristiano, sollecito di vivere secondo i dettami della legge naturale e divina.

Quella coscienza, alla quale dovrebbe confidarsi in massima parte il risanamento e la salvezza, viene così condannata dai sostenitori della concezione impersonale della società a intime torture.

È forse questa l'estrema distanza che l'opera soccorritrice dell'uomo raggiunge nel suo allontanamento dal divino modello.

La società moderna, infatti, che tutto vuole prevedere e organizzare, viene in conflitto, a causa della sua concezione meccanica, con ciò che vive e che perciò non può sottostare a calcoli quantitativi, e più precisamente con quei diritti che l'uomo esercita secondo natura con la sua sola responsabilità personale, vale a dire come autore di nuove vite, di cui egli resta pur sempre il principale tutore.

Tali intimi conflitti tra sistema e coscienza sono quindi velati dai nomi: questione delle nascite e problema dell'emigrazione.

Questione delle nascite e problema dell'emigrazione

Quando gli sposi intendono di restare fedeli alle leggi intangibili della vita stabilite dal Creatore, o quando per salvaguardare questa fedeltà cercano di svincolarsi dalle strettezze che li serrano nella loro patria, e non trovano altro rimedio che la emigrazione - altre volte suggerito dalla brama di guadagno, oggi spesso imposto dalla miseria -, eccoli urtarsi, come contro una legge inesorabile, ai provvedimenti della società organizzata, al nudo calcolo che ha già determinato quante persone in determinate circostanze un Paese può o deve nutrire, al presente o in avvenire.

E sulla via dei calcoli preventivi si tenta di meccanizzare anche le coscienze: ed ecco le pubbliche ordinanze per il controllo delle nascite, la pressione dell'apparato amministrativo della cosiddetta sicurezza sociale, e l'influsso esercitato sulla opinione pubblica nello stesso senso, e finalmente il diritto naturale della persona di non essere impedita nella emigrazione o immigrazione, non riconosciuto o praticamente annullato col pretesto di un bene comune falsamente inteso o falsamente applicato, ma che provvedimenti legislativi o amministrativi sanciscono e rendono valevole.

Questi esempi sono sufficienti a dimostrare come la organizzazione ispirata dal freddo calcolo, nel tentativo di comprimere la vita tra le anguste cornici di fisse tabelle, quasi fosse un fenomeno statico, diviene negazione e offesa della vita stessa e del suo carattere essenziale che è il dinamismo incessante, ad essa comunicato dalla natura e manifesto nella scala variatissima delle circostanze individuali.

Le conseguenze ne sono ben gravi.

Numerose lettere, che Ci pervengono, rivelano l'afflizione di degni e bravi cristiani, la cui coscienza è tormentata dalla rigida incomprensione di una società inflessibile nei suoi ordinamenti, che come una macchina si muove secondo i calcoli, ma senza pietà comprime e passa sopra i problemi, che personalmente e profondamente li toccano nella loro vita morale.

Non saremo certamente Noi a negare che questa o quella regione sia al presente gravata da una relativa superpopolazione.

Ma voler trarsi d'imbarazzo con la formula che il numero degli uomini deve essere regolato secondo la economia pubblica, equivale a sovvertire l'ordine della natura e tutto il mondo psicologico e morale ad essa legato.

Quale errore sarebbe il riversare sulle leggi naturali la colpa delle presenti angustie, mentre è manifesto che queste derivano dalla manchevole solidarietà degli uomini e dei popoli fra di loro!

Oppressioni e persecuzioni

Le coscienze soffrono oggigiorno anche altre oppressioni.

Così là dove s'impongono ai genitori, contro le loro convinzioni e la loro volontà, gli educatori dei loro figli; o quando si fa dipendere l'accesso al lavoro o al luogo del lavoro dall'appartenenza a determinati partiti o ad organizzazioni che hanno origine dal mercato di lavoro.

Tali discriminazioni sono sintomo di una inesatta idea della funzione propria delle organizzazioni sindacali e del loro fine proprio, la tutela cioè degl'interessi dell'operaio salariato nel seno della odierna società, divenuta sempre più anonima e collettivista.

Qual è infatti lo scopo essenziale dei sindacati, se non la pratica affermazione che l'uomo è il soggetto, non l'oggetto delle relazioni sociali; se non il far scudo all'individuo di fronte alla irresponsabilità collettiva di anonimi proprietari; se non il rappresentare la persona del lavoratore dinanzi a chi è portato a considerarlo soltanto come forza produttiva con determinato prezzo?

Come potrebbero quindi essi trovar normale che la difesa dei diritti personali del lavoratore sia sempre più nelle mani di una collettività anonima, che opera mediante gigantesche organizzazioni di natura monopolistica?

Il lavoratore, leso così nei suoi diritti personali, dovrà provare come particolarmente penosa l'oppressione della sua libertà e della sua coscienza, preso com'è nelle ruote di una immane macchina sociale.

Chi trovasse infondata questa nostra sollecitudine per la vera libertà, nel riferirCi, come facciamo, a quella parte del mondo che suol chiamarsi « mondo libero », dovrebbe considerare che anche là, prima la guerra propriamente detta, poi la guerra « fredda », hanno spinto forzatamente i rapporti sociali in una direzione che inevitabilmente decurta l'esercizio della libertà medesima, mentre in un'altra parte del mondo questa tendenza si è sviluppata pienamente fino alle ultime sue conseguenze.

In vaste regioni, ove il peso dell'assoluto potere piega anime e corpi, la Chiesa è la prima a soffrirne acuta angoscia.

I suoi figli sono vittime di una permanente persecuzione, diretta o indiretta, ora aperta e ora subdola.

Antiche cristianità o comunità, note per l'ardore della loro fede, per la gloria dei loro Santi e delle loro Sante, per lo splendore delle loro opere di scienza teologica e di arte cristiana, e soprattutto per la diffusione della carità e della civiltà in mezzo al popolo, si vedono vicine alla rovina della loro esterna grandezza.

Giovani cristianità, - vigna del Signore ricca di promesse, irrigata dal sudore e dal sangue di nuovi apostoli, - sostenute dalle preghiere e dai sacrifici di tutto il mondo cattolico, sono state subitamente battute dal medesimo uragano, che schianta senza pietà al suo passaggio l'annosa quercia e il tenero virgulto.

Che resterà di queste cristianità, antiche e giovani, quando verrà la « fine delle tribolazioni », che Noi incessantemente imploriamo?

È il segreto imperscrutabile di un Dio sempre buono.

Intanto il libro della vita registra dappertutto in quel misero mondo le gesta di intima forza d'animo, gl'innumerevoli eroismi destati dallo Spirito Santo per la difesa del Regno di Dio, del nome di Gesù, unica salvezza, e dell'onore della sua Santissima Madre.

I cristiani perseguitati sanno che questi beni supremi possono esigere, e spesso di fatto esigono, amare rinunzie ed anche il sacrificio della vita.

Noi non idealizziamo.

Vi saranno oggi, come sempre, durante le persecuzioni, casi, non di rado comprensibili, sebbene non giustificabili, di debolezza e di capitolazione; casi anche di tradimento.

Tuttavia le informazioni che vengono diffuse per una buona parte non dicono il vero che a metà, quand'anche non lo deformano o non lo falsano completamente.

In tal guisa, con la cospirazione del silenzio e l'alterazione dei fatti, si sottrae alla conoscenza del pubblico la dura lotta che Vescovi, sacerdoti e laici debbono sostenere per la difesa della fede cattolica.

Le sofferenze dei poveri

Ed ora il Nostro pensiero si volge con particolare e affettuosa sollecitudine all'esercito dolorante dei poveri sparsi nel mondo; poveri noti o sconosciuti, in paesi civili o in regioni non ancora rigenerate dalla cultura cristiana o semplicemente umana.

Passano dinanzi agli occhi dello spirito le famiglie, sulle quali incombe, come spettro minaccioso, il pericolo dell'inaridirsi della fonte di ogni guadagno col repentino cessare del lavoro; per altre, a questa precarietà della mercede si aggiunge la insufficienza di essa, tale che non consente loro di acquistare un conveniente vestito, e nemmeno il vitto necessario per non ammalare.

La condizione peggiora, quando esse sono costrette ad abitare in poche stanze senza mobilia e del tutto prive di quelle modeste comodità che rendono meno stentata la vita.

Se poi la stanza è una sola e deve servire a cinque, sette, dieci persone, ognuno può immaginarne il disagio!

E che dire di quelle famiglie, che hanno un qualche lavoro, ma non una casa, e vivono in baracche posticcie, in tane che non si assegnerebbero neanche alle bestie?

Amara è altresì la miseria di coloro che, rimasti pressoché spogli di ogni loro reddito per la costante e quasi cronica svalutazione della moneta, sono caduti nella più grama indigenza, spesso dopo una vita di parsimonia e di faticoso lavoro, ora costretta a concludersi nel rossore del mendicare.

Ma lo spettacolo più desolante si presenta allo sguardo, quando si tratta di famiglie, alle quali manca tutto.

Famiglie in « miseria nera »: il babbo non lavora; la mamma vede languire i suoi bambini nell'assoluta impossibilità di soccorrerli; ogni giorno manca il pane, ogni giorno manca di che ricoprirsi, e guai a tutti quando la malattia viene ad annidarsi in quella caverna trasformata in abitazione umana.

Mentre il Nostro pensiero va a queste visioni di povertà e di miseria, il Nostro cuore si riempie di ansia ed è oppresso - possiamo dirlo - da una tristezza mortale.

Noi pensiamo alle conseguenze della povertà, alle conseguenze specialmente della miseria.

Per alcune famiglie è un morire di tutti i giorni e di tutte le ore; un morire, particolarmente per i genitori, moltiplicato per il numero delle persone care che vedono soffrire e languire.

Intanto le malattie si aggravano, perchè non curate convenientemente; colpiscono soprattutto i piccoli, perchè mancano i mezzi atti a prevenirle.

Si aggiunga l'infiacchimento e la conseguente inferiorità fisica di intere generazioni, la diseducazione civile di larghi ceti della popolazione, il malcostume di tante povere figliuole, spinte al fondo dell'abisso, perchè hanno creduto di trovare così l'unica via di uscita dalla loro vergognosa indigenza.

Non è inoltre raro il caso della miseria che induce al delitto.

Chi pratica, per debito di carità, le carceri, continua ad affermare che non pochi uomini, dal fondo onesto, sono finiti in prigione, perchè la estrema inopia li aveva spinti a qualche atto inconsulto.

Gesù e i poveri

Considerando tutto ciò, sorge la domanda: che cosa ha insegnato agli uomini l'esempio di Cristo?

in qual modo si comportò Gesù, durante il suo soggiorno terreno, verso la povertà e le miserie?

Certamente la sua missione di Redentore fu di liberare gli uomini dalla schiavitù del peccato, somma miseria.

Tuttavia la magnanimità del suo cuore sensibilissimo non poteva fargli chiudere gli occhi sui dolori e i doloranti, in mezzo ai quali aveva scelto di vivere. Figlio di Dio e araldo del celeste suo Regno, stimò delizia il chinarsi commosso sulle piaghe della umana carne e sui cenci della povertà.

Nè si tenne soddisfatto di proclamare la legge della giustizia e della carità, nè di condannare con roventi anatemi i duri, i disumani, gli egoisti, nè di ammonire che la sentenza definitiva del giudizio ultimo prenderà norma ed espressione dall'esercizio della carità, come prova dell'amore di Dio; ma di persona si prodigò ad aiutare, a guarire, a nutrire.

Certo Egli non chiese se e fino a qual punto la miseria, che aveva dinanzi, ricadeva a difetto o a mancanza dell'ordinamento politico ed economico del suo tempo.

Non però quasi che ciò fosse a lui indifferente.

Al contrario, Egli è il Signore del mondo e del suo ordine.

Ma come personale fu la sua azione di Salvatore, così volle andare incontro alle altre miserie col suo amore operante da persona a persona.

L'esempio di Gesù è oggi, come sempre, uno stretto dovere per tutti.

Il soccorso delle miserie

Noi stessi negli anni così ardui del Nostro Pontificato, abbiamo voluto che quanto affluiva a Noi da varie parti del mondo per la carità dei fedeli più facoltosi, si riversasse con flusso costante a soccorrere i Nostri figli più poveri e abbandonati.

Abbiamo voluto essere accanto ai profughi e aiutarli a tornare alle loro case; abbiamo cercato gli orfani per assicurare loro un tetto, un pane, un'altra mamma.

Ci siamo studiati di raggiungere i carcerati, i malati, i prigionieri di guerra trattenuti ancora lontani dalle loro terre, le vittime delle terribili inondazioni.

Pur troppo ogni volta abbiamo dovuto notare con sommo dolore che i Nostri sforzi erano e sono inadeguati alla gravità e alla moltitudine dei bisogni.

Per questo vorremmo che un più intenso e, per così dire, moltiplicato amore verso i poveri susciti come un fiume di soccorso, santamente impetuoso, il quale penetri ovunque è un vecchio abbandonato, un malato indigente, un bambino che soffre, una madre che si strugge di non poter far nulla per lui.

Diletti figli, poveri e miseri di tutta la terra!

Noi preghiamo Gesù che vi faccia sentire quanto siamo vicini a voi con la Nostra ansia paterna, piena di angoscia e di trepidazione.

Sa il Signore come Noi vorremmo avere la onnipresenza e la onnipotenza di Lui per entrare in ciascuna delle vostre dimore a portarvi aiuto e conforto, pane e lavoro, serenità e pace.

Vorremmo esservi daccanto, mentre siete oppressi dalla stanchezza nei campi e nelle officine, mentre siete desolati per le malattie che vi affliggono o straziati dai morsi della fame.

Non potremmo infine omettere di osservare che la migliore organizzazione caritativa non basterebbe da sè sola all'assistenza degli uomini in miseria.

Occorre aggiungere necessariamente l'azione personale, piena di premure, sollecita a superare le distanze fra il bisognoso e il soccorritore, e che si appressa all'indigente, perchè è fratello di Cristo e anche fratello nostro.

La grande tentazione di un'epoca che si dice sociale, nella quale - oltre la Chiesa - lo Stato, i Comuni e gli altri Enti pubblici si dedicano a tanti problemi sociali, è che le persone, anche credenti, quando il povero batte alla loro porta, lo rinviino semplicemente all'Opera, all'Ufficio, alla organizzazione, stimando che il loro dovere personale sia già sufficientemente adempiuto coi contributi prestati a quelle istituzioni mediante il pagamento di imposte o doni volontari.

Senza dubbio il bisognoso riceverà allora il vostro aiuto per quell'altra via.

Ma spesso egli conta anche su voi stessi, almeno sopra una vostra parola di bontà e di conforto.

La vostra carità deve rassomigliare a quella di Dio, che venne in persona a portare il soccorso.

È questo il contenuto del messaggio di Betlemme.

Finalmente gli Uffici non possono sempre accordare la loro assistenza in una maniera così individuale, come sarebbe necessario: perciò l'istituzione caritatevole ha bisogno, come indispensabile complemento, di ausiliari volontari.

Esortazione

Tutto ciò C'incoraggia ad invocare la vostra collaborazione personale.

Gl'indigenti, coloro che la vita ha duramente ridotti a mal termine, gl'infelici di ogni sorta l'attendono.

Per quanto dipende da voi, fate che niuno debba più dire mestamente, come già l'uomo del Vangelo infermo da trentotto anni: « Signore, non ho nessuno » ( Gv 5,7 )!

Con l'augurio che il genuino amore cristiano, nutrito da una viva e profonda fede cattolica, mitighi le sofferenze materiali e spirituali e vinca la inimicizia dei cuori, impartiamo con affetto a tutti voi, diletti figli e figlie, che Ci ascoltate, e a coloro che vi sono vicini nella fede in un Dio vero e personale, come anche alle vostre famiglie e a tutte le persone e le cose che vi sono care, la Nostra Apostolica Benedizione.