Libro della vita

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Capitolo 4

Dice come il Signore l'aiutò a vincere se stessa per prendere l'abito religioso e parla delle molte malattie che Sua Maestà cominciò a mandarle.

1. Nel tempo in cui maturavo queste decisioni, avevo persuaso un mio fratello a farsi religioso, parlandogli della vanità del mondo, ed entrambi ci accordammo d'andare un giorno, di buon mattino, al monastero dove stava quella mia amica che io amavo molto.

Riguardo a quest'ultima determinazione, mi sentivo così decisa che sarei andata in qualunque monastero ove pensassi di servire meglio Dio o dove mio padre l'avesse voluto, perché ormai non davo alcuna importanza al mio benessere, ma miravo soprattutto alla salvezza della mia anima.

Ricordo bene, a dire il vero, che quando uscii dalla casa di mio padre, provai tanto dolore che non credo di sentirlo maggiore in punto di morte: mi sembrava che tutte le ossa mi si slogassero perché, non avendo ancora raggiunto un amor di Dio capace di rimuovermi dall'amore del padre e dei parenti, dovevo far solo ricorso a una forza così grande che, se il Signore non mi avesse aiutato, le mie considerazioni non sarebbero bastate a farmi andare avanti.

In quel momento egli mi diede forza per vincere me stessa in modo che potei realizzare il mio progetto.

2. Quando vestii l'abito, subito il Signore mi fece capire quanto favorisca coloro che si fanno forza per servirlo.

Nessuno, però, sospettava tanta lotta in me, in cui si vedeva solo una incrollabile risoluzione.

Subito fui così felice d'aver abbracciato la vita monastica, che tale gioia non mi è mai venuta meno fino ad oggi, perché Dio cambiò l'aridità della mia anima in grandissima tenerezza.

Mi davano molta gioia tutte le pratiche della vita religiosa; è bensì vero che a volte mi accadeva di spazzare in ore che prima ero solita occupare nel fare sfoggio di ornamenti, ma appunto ricordandomi che ero ormai libera da tutto ciò, provavo una gioia sconosciuta tale che me ne stupivo e non riuscivo a capire da dove provenisse.

Quando ripenso a questo, non c'è cosa che mi si possa presentare, per quanto difficile sia, che esiterei ad affrontare.

Perché ormai so, avendone fatto esperienza in molti casi, che se mi sforzo, in principio, di prendere la decisione di fare una cosa ( giacché, essendo in onore di Dio, fino dal principio egli vuole – per nostro maggior merito – che l'anima provi quello sgomento, e quanto più grande esso sia, tanto maggiore e più dolcemente gradito, se si riesce a vincerlo, sarà, dopo, il premio ), anche in questa vita Sua Maestà mi dà la ricompensa con tali doni che solo chi ne gode può saper valutare.

Di questo ho fatto esperienza, come ho detto, e anche in cose molto gravi; pertanto, non consiglierei mai – se fossi persona capace di dar consigli – che, di fronte all'insistenza di una buona ispirazione, si tralasci di seguirla per paura: se si agisce chiaramente soltanto per Dio non c'è da temere alcun danno, essendo egli onnipotente.

Sia per sempre benedetto! Amen.

3. Sarebbero dovute bastare, o mio sommo Bene e mio riposo, le grazie che fin qui mi avevate fatto, guidandomi con la vostra pietà e grandezza, attraverso tante vicende, a uno stato così sicuro e a una casa dove erano molte serve di Dio, dalle quali potevo prendere esempio, per crescere nel vostro servizio.

Non so come proseguire, quando ricordo la cerimonia della mia professione, l'estrema decisione e la gioia con cui la celebrai e lo sposalizio che contrassi con voi.

Non posso dirlo senza lacrime, e dovrebbero essere lacrime di sangue, e il cuore mi si dovrebbe spezzare, né sarebbe troppo dolore di fronte alle offese che in seguito vi recai.

Mi sembra, ora, di aver avuto ragione a non volere una così grande dignità, visto che dovevo usare tanto male di essa.

E voi, mio Signore, per quasi vent'anni in cui usai male di questa grazia, voleste essere l'offeso, perché io potessi migliorare.

Sembra, mio Dio, che io non facessi altro se non promettervi di non mantener nulla di ciò che vi avevo promesso, anche se allora non era questa la mia intenzione; ma le mie azioni erano poi tali che non so più quali fossero le mie intenzioni, e da questo si vede meglio chi siete voi, mio Sposo, e chi sono io.

E, in verità, molte volte il dolore per le mie grandi colpe è temperato dalla gioia che mi dà il pensiero che si possa conoscere la vostra infinita misericordia.

4. In chi, o Signore, essa può risplendere come in me, che ho tanto offuscato con le mie cattive azioni le immense grazie che avevate cominciato a farmi?

Povera me, mio Creatore, che se voglio discolparmi, non posso addurre nessuna scusa, né v'è alcuno che abbia colpa all'infuori di me!

Poiché se io avessi ricambiato anche in parte l'amore che cominciavate a dimostrarmi, non avrei più potuto amare altri che voi, e con questo si sarebbe rimediato a tutto.

Dal momento che non meritai tanta fortuna, mi giovi ora, o Signore, la vostra misericordia.

5. Il cambiamento di vita e di cibi mi fece male alla salute, e anche se la mia gioia era molta, ciò non fu una sufficiente difesa.

Cominciarono ad aumentare gli svenimenti, e fui colta da un così violento mal di cuore da fare spavento a chi assisteva agli attacchi, con l'aggiunta di molti altri mali.

Così passai il primo anno in cattive condizioni di salute, ma non mi sembra di aver offeso molto il Signore nel corso di esso.

E, siccome il male era tanto grave da farmi restar di solito quasi fuori dei sensi – e alcune volte del tutto priva di conoscenza –, mio padre si adoperava con ogni premura a cercare un rimedio; ma, non essendo riusciti a darglielo i medici di qui, mi fece portare in un luogo che aveva gran fama circa la guarigione di altre malattie, ove gli dissero che avrebbero guarito anche la mia.

Mi accompagnò quella monaca amica di cui ho parlato, che era un'anziana della casa.

Nel monastero in cui stavo non c'era impegno di clausura.

6. Rimasi lì quasi un anno, e per tre mesi soffrendo enormi tormenti a causa delle cure cui venni sottoposta, cure così forti che io non so come riuscii a sopportarle; alla fine, nonostante la mia pazienza, il mio fisico, come dirò, non poté resistere oltre.

La cura doveva cominciare all'inizio dell'estate, ed io ero andata lì al principio dell'inverno.

Tutto questo tempo rimasi in casa di quella sorella che, come ho detto, abitava in un villaggio lì vicino, aspettando presso di lei il mese di aprile, perché la vicinanza del luogo mi evitava di andare troppo avanti e indietro.

7. Durante il viaggio di andata, quel mio zio di cui ho detto che abitava lungo la strada, mi diede un libro intitolato Terzo abbecedario, che cerca d'insegnare l'orazione di raccoglimento.

Anche se in questo primo anno avevo letto buoni libri ( poiché altri non volli più leggerne, ormai esperta del danno che mi avevano arrecato ), non sapevo come procedere nell'orazione, né come raccogliermi; pertanto, mi rallegrai molto di averlo e decisi di seguire quel metodo con tutto il mio impegno.

Poiché il Signore mi aveva ormai dato il dono delle lacrime e mi piaceva leggere, cominciai a raccogliermi un po' in solitudine, a confessarmi spesso, e a indirizzarmi per quel cammino, avendo come guida quel libro, perché io un maestro, voglio dire un confessore che mi capisse, non l'avevo trovato, quantunque lo cercassi, e neanche riuscii a trovarlo nei vent'anni che seguirono.

Ciò mi fu causa di molto danno facendomi tornare spesso indietro, e anche esponendomi al rischio di perdermi del tutto; mentre un buon confessore mi avrebbe almeno aiutato a sottrarmi alle occasioni di offendere Dio.

Sua Maestà cominciò a concedermi tante grazie in questo inizio che, giunto il termine del tempo in cui mi trattenni qui ( trascorsi quasi nove mesi in questa solitudine ), benché non fossi così esente dall'offendere Dio come il libro consigliava e trascurassi molte cose, sembrandomi quasi impossibile tanta vigilanza, mi guardavo, però, dal commettere peccato mortale, e fosse piaciuto a Dio che lo avessi fatto sempre!

Invece tenevo in poco conto i peccati veniali procurando così la mia rovina.

Il Signore, dunque, cominciò a favorirmi tanto in questa via, che mi faceva grazia di concedermi un'orazione di quiete e qualche volta pure quella di unione, anche se io non intendevo che cosa fossero né l'una né l'altra, né il loro grande valore, mentre credo che per me sarebbe stato un gran bene saperlo.

È vero che l'orazione di unione durava ben poco, non so se appena un'Ave Maria, ma ne restavano in me così grandi effetti che, pur non avendo in quel tempo neppure vent'anni, mi sembrava di tenere il mondo sotto i piedi.

Ricordo, pertanto, che mi facevano pena quelli che lo seguivano, fosse anche solo in cose lecite.

Mi sforzavo quanto più potevo di tenere presente dentro di me Gesù Cristo, nostro Bene e Signore: era questa la mia maniera di pregare; così se pensavo a qualche momento della sua passione, me lo rappresentavo interiormente.

Ciò nonostante spendevo la maggior parte del tempo a leggere buoni libri, che erano tutto il mio diletto.

Dio, infatti, non mi ha dato la capacità di usare dell'intelletto, né di giovarmi dell'immaginazione, così ottusa in me che, nonostante gli sforzi per rappresentarmi – come procuravo di fare – l'umanità del Signore, non ci riuscivo mai.

E sebbene attraverso l'incapacità di servirsi dell'intelletto, perseverando, si giunga più presto alla contemplazione, la via è però assai faticosa e penosa perché, se la volontà resta inattiva e manca all'amore un oggetto che lo occupi con la propria presenza, l'anima resta come immobile e senza appoggio, e gran pena producono la solitudine e l'aridità, e grandissima lotta i pensieri.

8. Alle persone che si trovano in questa condizione è necessaria una maggiore purezza di coscienza che non a quelle capaci di usare l'intelletto; perché chi riflette a ciò che è il mondo e a ciò che si deve a Dio, a quanto egli ha sofferto e a quanto poco lo si serve, e a ciò che dà in premio a chi lo ama, ne trae utile insegnamento per difendersi da pensieri e occasioni pericolose; ma chi non può giovarsi di questa capacità è più esposto a pericoli e bisogna che si dia molto alla lettura, perché da sé non può trarre alcun insegnamento.

È quanto mai faticoso questo modo di procedere; e se il direttore spirituale costringe a sopprimere la lettura ( che aiuta molto il raccoglimento di chi procede nel modo suddetto, anzi gli è necessario leggere, anche se poco, almeno al posto dell'orazione mentale che non può fare ), se, dico, si è costretti a stare gran tempo in orazione senza questo aiuto, sarà impossibile rimanervi a lungo e, insistendo, se ne avrà danno alla salute, perché costa molta fatica.

9. Ora, mi pare di capire che fu il Signore a disporre che io non trovassi chi potesse darmi insegnamenti, perché [ se mi avessero vietato l'aiuto del libro ] credo che mi sarebbe stato impossibile durare diciotto anni in questo stato e in quest'aridità, per l'incapacità, come dico, di ragionare.

In tutto questo tempo, a meno che non fosse dopo la comunione, io non osavo mai cominciare l'orazione senza un libro, giacché la mia anima temeva di farlo priva di tale aiuto, come se dovesse combattere contro molti nemici esterni.

Con questo rimedio, che era come una compagnia o uno scudo in cui avrei ricevuto i colpi dei molti importuni pensieri, mi sentivo rincuorata, perché l'aridità non era il mio stato ordinario, ma sopravveniva sempre quando mi mancava un libro.

Allora, l'anima restava subito sconvolta e i pensieri si disperdevano: con la lettura li raccoglievo di nuovo e mi sentivo l'anima come accarezzata.

Spesso non c'era bisogno d'altro che di aprire il libro; a volte leggevo poco, a volte molto, secondo la grazia che il Signore mi faceva.

A me sembrava, in quei primi tempi di cui parlo, che, avendo i libri e in certo modo la possibilità d'isolarmi, non ci sarebbe stata alcuna occasione pericolosa che potesse rimuovermi da tanto bene, e credo che, con l'aiuto di Dio, sarebbe stato così, se avessi avuto un maestro spirituale o altra persona che mi avesse insegnato a fuggire le occasioni sul nascere e mi avesse fatto uscire da esse al più presto, se vi fossi entrata.

Mi sembrava infatti che, se allora il demonio mi avesse assalito apertamente, in nessun modo sarei tornata di nuovo a peccare.

Ma egli fu tanto astuto e io così vile, che tutte le mie risoluzioni mi giovarono poco; moltissimo, invece, quando mi posi al servizio di Dio, per sopportare le terribili malattie che mi colpirono, con quella grande pazienza che Sua Maestà mi diede.

10. Molte volte, pensando, piena di ammirazione, alla infinita bontà di Dio, la mia anima si dilettava di vedere la sua magnificenza e misericordia.

Sia egli sempre benedetto, avendo io costatato chiaramente che non tralascia di premiare, anche in questa vita, ogni mio buon desiderio.

Per quanto meschine e imperfette fossero le mie opere, questo mio Signore le andava migliorando, perfezionando e avvalorando, e subito occultava colpe e peccati.

Permette anche, Sua Maestà, che si accechino coloro che me li hanno visti commettere e glieli toglie dalla memoria; indora le colpe; fa risplendere una virtù che egli stesso pone in me, quasi costringendomi a mantenerla.

11. Ma voglio ritornare a quanto mi è stato comandato di scrivere, tanto più che, se volessi dire minutamente come il Signore agiva con me in quest'inizio, sarebbe necessaria un'intelligenza ben diversa dalla mia per esaltare ciò che gli devo a tale riguardo e mettere in evidenza la mia profonda indegnità e ingratitudine nell'averlo dimenticato completamente.

Sia egli sempre benedetto per avermi tanto sopportata! Amen.

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