Libro della vita

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Capitolo 5

Prosegue nel parlare delle gravi malattie che ebbe, della pazienza che il Signore in esse le diede, e in che modo trasse dal male il bene, come si vedrà da un fatto che le accadde nel luogo dove si recò per curarsi.

1. Dimenticavo di dire che nell'anno del noviziato soffrii grandi inquietudini per cose in se stesse di poca importanza; ma è che, molte volte, venivo ripresa senza avere alcuna colpa.

Io lo sopportavo a mala pena e con assoluta imperfezione, anche se la grande gioia di essere monaca finiva con il farmi sopportare tutto.

Siccome mi vedevano cercare la solitudine e talvolta piangere, a causa dei miei peccati, pensavano che si trattasse di scontentezza e se lo dicevano fra loro.

Ero attaccata a tutte le pratiche religiose, ma non potevo soffrirne nessuna che comportasse disprezzo.

Godevo di essere stimata, ero accurata in quel che facevo.

Tutto mi sembrava virtù, anche se questo non mi servirà di discolpa, perché sapevo bene come cercare in tutto la mia soddisfazione, e poi l'ignoranza non annulla la colpa.

Di qualche scusa mi può essere il fatto che il monastero non aveva basi di molta perfezione; io, da misera creatura, me ne andavo dove stava la mancanza e trascuravo ciò che v'era di buono.

2. Vi era, allora, una monaca affetta da una gravissima malattia assai dolorosa, perché si trattava di alcune fistole che le si erano aperte nel ventre a causa di un'ostruzione intestinale, attraverso le quali mandava fuori ciò che mangiava.

Ne morì presto.

Io vedevo tutte aver paura di quel male; a me destava grande invidia la sua pazienza e chiedevo a Dio che, se mi dava la stessa pazienza, mi mandasse pure tutte le malattie che volesse.

Mi sembra che non ne temesse alcuna, essendo così disposta a guadagnare beni eterni, che ero decisa a conquistarmeli con qualunque mezzo.

E ciò mi stupisce, non avendo ancora, a mio avviso, un amor di Dio quale mi sembra d'averlo avuto dopo che incominciai a praticare l'orazione, ma solo una luce che mi faceva apparire di poca stima tutto quanto finisce, e di molto pregio i beni che si possono guadagnare con il sacrificio di quanto ha fine, perché sono beni eterni.

Anche in questo mi diede ascolto Sua Maestà, perché prima che fossero trascorsi due anni ero in tali condizioni che, sebbene non si trattasse di un male di quel genere, non credo che sia stata meno penosa e tormentosa la malattia da me sofferta per tre anni, come ora dirò.

3. Giunto il tempo d'iniziare la cura che stavo aspettando nel luogo dove, come ho detto, mi trovavo con mia sorella, mi condussero via di lì, con ogni riguardo e con tutte le comodità possibili, mio padre, mia sorella e quella monaca mia amica che era partita con me e che mi amava moltissimo.

Qui il demonio cominciò a turbare la mia anima, anche se Dio seppe trarre da ciò molto bene.

C'era un ecclesiastico che risiedeva in quel luogo dove andai a curarmi, di ottima condizione sociale e di grande intelligenza; era anche colto, se pur non eccedeva in cultura.

Cominciai a confessarmi da lui, avendo sempre amato le lettere, anche se gran danno spirituale mi arrecarono i confessori semidotti in quanto non riuscivo ad averli mai di così buona istruzione come era mio desiderio.

Ho visto per esperienza che è meglio, se si tratta di uomini virtuosi e di santi costumi, che non ne abbiano nessuna, anziché poca, perché in tal caso né essi si fidano di sé, ricorrendo a chi abbia una buona preparazione culturale, né io mi fido di loro.

Un vero dotto non mi ha mai ingannato.

Nemmeno gli altri credo che mi volessero ingannare, salvo che non ne sapevano di più.

Io, invece, pensando che sapessero, ritenevo di non dover far altro che prestare loro fede, tanto più che mi davano consigli di una certa larghezza, cioè che indulgevano a una maggiore libertà; d'altronde, se mi avessero stretto un po' i freni, io, miserabile qual sono, ne avrei cercato altri.

Ciò che era peccato veniale mi dicevano che non era alcun peccato; ciò che era peccato gravissimo e mortale mi dicevano che era peccato veniale.

Questo mi arrecò tanto danno che non è superfluo parlarne qui, per prevenire altre persone di così gran male; di fronte a Dio capisco che non mi serve di giustificazione, giacché era sufficiente che le cose di per sé non fossero buone perché dovessi guardarmene.

Credo che a causa dei miei peccati Dio permise che essi s'ingannassero e ingannassero me.

Io ingannai molte altre dicendo loro le stesse cose che erano state dette a me.

Trascorsi in questa cecità credo più di diciassette anni, finché un padre domenicano molto dotto mi aprì gli occhi su molte cose, e i padri della Compagnia di Gesù mi disingannarono del tutto, riempiendomi di spavento con il rimproverarmi così cattivi inizi, come dirò in seguito.

4. Quando dunque cominciai a confessarmi dal suddetto ecclesiastico, egli mi si affezionò molto, perché allora, a partire da quando mi ero fatta suora, io avevo poco da confessare in confronto alle colpe che ebbi in seguito.

La sua non era un'affezione sconveniente, ma per il fatto d'essere eccessiva, finiva con il non essere buona.

Sapeva bene che non mi sarei indotta per nessun motivo a far nulla di grave contro Dio, e anch'egli mi assicurava lo stesso di sé e così discorrevamo parecchio.

Ma allora, immersa in Dio come ero, ciò che mi faceva più piacere era parlare di cose a lui attinenti; e, poiché ero tanto giovane, il costatarlo riempiva di confusione il mio interlocutore il quale, per il grande affetto che lo legava a me, cominciò a rivelarmi la rovina della sua anima.

E non era poca cosa, perché da quasi sette anni si trovava in una situazione assai pericolosa, avendo una relazione con una donna di quello stesso luogo; e ciò nonostante continuava a celebrare la Messa.

Il fatto era ormai così noto che egli aveva perduto l'onore e la fama, ma nessuno osava redarguirlo.

Io ne ebbi molta compassione, perché lo amavo molto, essendo allora questa la mia grande leggerezza e cecità, di ritenere virtù il serbarmi grata e fedele a chi mi amava.

Sia maledetta tale fedeltà che si estende fino a far violare quella verso Dio!

È una pazzia diffusa nel mondo che rese pazza anche me: dobbiamo a Dio tutto il bene che ci viene fatto e stimiamo virtù non rompere un'amicizia, anche se si tratta di andare contro di lui.

Oh, cecità del mondo!

Fosse a voi piaciuto, Signore, che io mi dimostrassi molto ingrata verso tutti, e non lo fossi stata minimamente contro di voi!

Ma, per i miei peccati, è avvenuto proprio il contrario.

5. Cercai di sapere di più, informandomi meglio presso i suoi familiari; conobbi più a fondo la gravità del suo danno morale, ma vidi che il pover'uomo non aveva tanta colpa, perché quella donna sciagurata gli aveva fatto alcuni sortilegi mediante un piccolo idolo di rame, che gli aveva raccomandato di portare al collo per amor suo, e nessuno era riuscito a farglielo togliere.

A dire il vero, io non credo a queste storie dei sortilegi, ma dico quello che ho visto per avvisare gli uomini di guardarsi dalle donne che cercano di adescarli in tal modo, e di esser convinti che, avendo esse perduto ogni pudore di fronte a Dio ( mentre più degli uomini sono tenute a rispettarlo ), non possono meritare la minima fiducia.

Infatti non badano a nulla pur di conseguire il loro intento e assecondare quella passione che il demonio pone nel loro cuore.

Benché io sia stata tanto miserabile, non sono mai caduta in alcuna colpa di tal genere né ho mai avuto l'intenzione di far del male né, anche se l'avessi potuto, avrei voluto forzare la volontà di qualcuno ad amarmi, perché da questo mi preservò il Signore; ma se mi avesse abbandonato avrei commesso anche riguardo a ciò il male che commettevo riguardo al resto, perché di me non c'è assolutamente da fidarsi.

6. Non appena seppi questo, dunque, cominciai a dimostrargli più amore.

La mia intenzione era buona, ma non il mezzo di cui mi servivo; nell'intento di fare il bene, infatti, per quanto grande fosse, non dovevo lasciarmi andare neanche al minimo male.

Di solito gli parlavo di Dio; questo doveva giovargli, ma credo che più utile allo scopo fu il fatto che egli mi amasse molto.

Per farmi piacere, invero, si decise a darmi l'idoletto, che io feci gettare subito nel fiume.

Appena se ne fu liberato, cominciò – come chi si svegli da un lungo sonno – a ricordarsi a poco a poco di tutto quello che aveva fatto in quegli anni e, spaventato di se stesso, dolendosi della sua perdizione, finì con il detestarla.

Nostra Signora dovette aiutarlo molto, perché era molto devoto della sua concezione, la cui ricorrenza era da lui celebrata solennemente.

Infine, cessò del tutto di vedere quella donna, e non si stancava di render grazie a Dio per averlo illuminato.

Morì allo scadere esatto di un anno dal giorno in cui l'avevo conosciuto.

Si era adoperato già molto nel servire Dio, perché nel suo affetto per me non scorsi mai nulla di male, quantunque potesse essere forse più puro, ma ebbe anche tali occasioni che, se non avesse tenuto ben presente Dio, l'avrebbe offeso molto gravemente.

Come ho già detto, quello ch'io capivo essere peccato mortale, non l'avrei fatto davvero, e ritengo che la costatazione di questa mia fermezza abbia contribuito al suo amore per me.

Credo, infatti, che tutti gli uomini preferiscano le donne che vedono inclini alla virtù, e anche per quel che riguarda l'affezione terrena, credo che le donne ottengano da essi di più con questo mezzo, come dirò in seguito.

Sono sicura che egli si sia salvato.

Morì serenamente e del tutto fuori di quella situazione; sembra che il Signore l'abbia voluto salvare con questo mezzo.

7. Rimasi in quel luogo tre mesi, con grandissime sofferenze, perché la cura fu più forte di quel che consentisse la mia costituzione fisica.

Dopo due mesi, a forza di medicine, ero ridotta quasi in fin di vita, e il mal di cuore ch'ero andata a curarmi era molto più forte, tanto che a volte mi sembrava che me lo dilaniassero con denti aguzzi, e si temé che si trattasse di rabbia.

A causa della estrema mancanza di forza ( non potendo, per la gran nausea, cibarmi di nulla che non fosse liquido ), della febbre che non subiva interruzione, spossata oltre ogni dire, perché mi avevano dato una purga ogni giorno quasi per la durata di un mese, ero così consumata che mi si cominciarono a rattrappire i nervi, con dolori talmente intollerabili che non potevo aver riposo né giorno né notte e in più avevo una tristezza molto profonda.

8. Di fronte a questo bel guadagno, mio padre mi ricondusse a casa, dove tornarono a visitarmi i medici.

Tutti mi diedero per spacciata perché dicevano che, oltre a tutto il resto, ero anche tisica.

Di ciò m'importava poco; i dolori erano il mio tormento, perché li avevo in tutto il corpo, dalla testa ai piedi; quelli dei nervi sono intollerabili, a detta dei medici, e siccome i miei nervi si rattrappivano tutti, certamente – se io non ne avessi perduto il merito per colpa mia – sarebbe stato un duro ma meritorio tormento.

Rimasi in questo grave stato circa tre mesi, durante i quali mi pareva impossibile che si potessero sopportare tanti mali insieme.

Ora me ne stupisco e ritengo come una somma grazia del Signore la pazienza che egli mi diede, perché si vedeva chiaramente che mi veniva da lui.

Mi giovò molto in questo l'aver cominciato a far orazione e l'aver letto la storia di Giobbe nei Moralia di san Gregorio, con la quale il Signore volle forse prevenirmi, affinché io potessi sopportare tutto con rassegnazione.

Il mio colloquio era sempre con lui; pensavo spesso, ripetendole, a queste parole di Giobbe: Se abbiamo ricevuto i beni dalla mano del Signore, perché non ne accetteremo anche i mali?

E mi sembrava che mi dessero coraggio.

9. Giunse la festa della Madonna di agosto; il mio tormento durava dall'aprile ed era stato assai maggiore negli ultimi tre mesi.

Sollecitai la confessione, perché amavo sempre molto confessarmi spesso.

Pensarono che tale richiesta fosse dovuta alla paura di morire e mio padre non mi lasciò confessare per non darmi altro dolore.

Oh, esagerato amore della carne che, quantunque si trattasse dell'amore di un padre cattolico fervente – lo era infatti molto, e la sua non certo ignoranza –, avrebbe potuto arrecarmi un grave danno!

Quella notte ebbi una crisi che mi fece restare fuori dei sensi quattro giorni o poco meno.

In questo frattempo, mi amministrarono il sacramento dell'unzione e, pensando che spirassi da un momento all'altro, non facevano che indurmi a recitare il Credo, come se io potessi capire qualcosa.

A volte, dovettero ritenermi proprio morta, tanto che dopo mi trovai perfino la cera sugli occhi.

10. Il dolore di mio padre per non avermi fatto confessare era grande; molte le sue lacrime e le sue preghiere.

Benedetto sia colui che si degnò di ascoltarle!

Quando già da un giorno e mezzo, infatti, nel monastero era aperta la mia sepoltura in attesa della salma, e in un convento dei nostri frati fuori di città era stato celebrato l'ufficio dei defunti, il Signore si compiacque di farmi riprendere conoscenza.

Volli subito confessarmi e mi comunicai con molte lacrime; esse, però, a mio giudizio, non provenivano solo dal dolore e dal pentimento di avere offeso Dio, il che sarebbe bastato a salvarmi, se non bastava il fatto di essere stata tratta in inganno da coloro che mi avevano detto come alcune colpe non fossero peccati mortali, mentre poi ho visto con certezza che lo erano.

Continuavo infatti ad avere dolori insostenibili, tanto da perdere spesso la conoscenza, anche se credo di aver fatto una confessione completa, accusandomi di tutto ciò in cui capivo d'aver offeso Dio, giacché Sua Maestà, fra le altre grazie, mi ha concesso anche quella di non aver mai tralasciato di confessare, dopo la mia prima comunione, alcuna cosa che credessi peccato, sia pure veniale.

Ma, senza dubbio, la mia salvezza sarebbe stata molto in pericolo, se fossi morta allora, sia per il fatto che i confessori erano ben poco istruiti, sia perché io ero una miserabile, sia per molte altre ragioni.

11. È la pura verità se dico che, giunta a questo punto e considerando come il Signore mi abbia quasi risuscitata, mi sembra d'essere così sbigottita da stare quasi tremando dentro di me.

Mi pare che sarebbe stato bene, anima mia, che tu considerassi il pericolo da cui il Signore ti aveva liberato, e se l'amore non bastava a farti cessare di offenderlo, avresti almeno dovuto farlo per timore, potendo egli mille altre volte darti la morte in occasioni più pericolose.

Credo di non esagerare molto nel dire « mille altre volte » anche se chi mi ha imposto di essere moderata nel parlare dei miei peccati, debba rimproverarmene: sono già abbastanza abbelliti.

Io lo prego per amore di Dio di non togliere nulla di quanto riguarda le mie colpe, poiché in esse si vedono di più la magnificenza di Dio e la sua pazienza verso un'anima.

Sia egli per sempre benedetto!

Piaccia a Sua Maestà che io muoia piuttosto che cessare mai d'amarlo!

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