Leggenda perugina

[1647] Il finto santo

91. C'era un frate di vita esemplare e santa, intento all'orazione giorno e notte.

Osservava un silenzio ininterrotto, al punto che talora, confessandosi a un frate sacerdote, non si esprimeva con parole ma con dei gesti.

Appariva talmente devoto e fervente nell'amore di Dio che a volte, sedendo in mezzo ai confratelli, pur standosene muto manifestava una tale gioia interiore ed esteriore nell'ascoltare la conversazione edificante, che tutti i frati e gli altri che lo vedevano, si sentivano attirati a devozione, e lo consideravano come un santo.

Da molti anni ormai perseverava in questo genere di vita, quando Francesco venne al luogo dov'egli dimorava.

Udendo dai fratelli come si comportava, disse: « Sappiate in verità che si tratta di tentazione e inganno diabolico, dal momento che rifiuta di confessarsi ».

Nel frattempo, ecco capitare colà il ministro generale per un incontro con Francesco.

Anche lui magnificava quel religioso alla presenza del Santo, che però ribatté: « Credimi, fratello, che quello è guidato e ingannato dallo spirito maligno ».

Il ministro generale rispose: « Mi sembra cosa straordinaria e quasi incredibile che un uomo, il quale mostra tanti segni e prove di santità, possa essere quello che tu dici ».

Francesco ripigliò: « Mettilo alla prova, chiedendogli di confessarsi due o almeno una volta la settimana.

Se non ti dà retta, constaterai che ti ho detto il vero ».

Un giorno che il ministro generale ebbe a parlargli, gli ingiunse: « Fratello, ti impongo di confessarti due o almeno una volta per settimana ».

Quello si mise un dito sulle labbra, scotendo il capo e mostrando con segni che non intendeva obbedire.

Il ministro, per non esasperarlo, non insistette.

Ma non passarono molti giorni che colui uscì di sua volontà dall'Ordine e tornò nel mondo, rindossando l'abito secolare.

E una volta che due compagni di Francesco camminando per via si imbatterono in lui che veniva avanti da solo, come un poverissimo pellegrino, impietositi gli dissero: « O sventurato, dov'è la tua virtuosa e santa vita?

Non volevi farti vedere dai tuoi fratelli né parlare con loro, tanto amavi la solitudine; ed ora, eccoti vagabondo per il mondo, come uno che ignora Dio e i suoi servi ».

Quell'uomo cominciò a parlare, bestemmiando a ogni momento, come fanno i mondani.

I frati gli dissero: « Miserabile, perché bestemmi al modo degli empi? proprio tu, che una volta ti astenevi non solo dal parlare ozioso, ma perfino dalle conversazioni edificanti ».

Quello ribatté: « Non può essere altrimenti ».

Così si separarono.

E pochi giorni appresso morì.

I frati e le altre persone a conoscenza della cosa, ne rimasero stupefatti, considerando la santità di Francesco che aveva predetto la defezione di quell'infelice ai tempi che tutti lo stimavano santo.

[1648] Persecuzione diabolica

92. Quando Francesco andò a Roma per incontrare Ugolino vescovo di Ostia, più tardi eletto papa, si trattenne con lui alcuni giorni.

Accomiatatosi, andò a far visita a Leone cardinale di Santa Croce.

Era questo un uomo molto affabile e gentile ed era felice di vedere Francesco e lo venerava sentitamente.

In quella circostanza egli pregò il Santo con viva devozione a restarsene da lui un po' di giorni, anche perché si era d'inverno e faceva un freddo crudo e quasi ogni giorno si scatenavano vento e pioggia, come succede in quella stagione.

Gli disse: « Fratello, il maltempo non permette di viaggiare.

Vorrei, se ti piace, che tu soggiornassi in casa mia finché il tempo consentirà di rimetterti in cammino.

Io passo gli alimenti ogni giorno a un gruppo di poveri qui da me; ebbene, tu sarai trattato come uno di loro ».

Disse questo il cardinale, perché sapeva che Francesco, nella sua umiltà, voleva sempre esser trattato come un poverello, dovunque lo ospitassero, benché fosse di così alta santità che dal Papa dai cardinali e da tutti i grandi di questo mondo che lo conoscevano era venerato come santo.

Il dignitario aggiunse: « Ti assegnerò una dimora lontana dal palazzo, dove potrai pregare e prendere i pasti a tuo piacimento ».

Soggiornava allora con il cardinale Leone uno dei primi dodici compagni di Francesco: frate Angelo Tancredi.

Questi suggerì a Francesco: « Fratello, qui vicino, nelle mura della città, sorge una bella torre, molto ampia e spaziosa all'interno, con nove locali a volta, dove potrai stare appartato come in un eremo ».

Il Santo propose: « Andiamo a vederla ».

La vide e gli piacque.

Tornato dal cardinale gli disse: « Signore, forse resterò presso di voi alcuni giorni ».

Il cardinale ne fu tutto contento.

Angelo allora andò a preparare un alloggio nella torre, in modo che Francesco e il suo compagno potessero abitarvi giorno e notte, poiché il Santo non intendeva discendere da là in nessun momento della giornata, finché fosse rimasto ospite del cardinale Leone.

Lo stesso Angelo si offrì a Francesco e al compagno di recare quotidianamente il cibo, lasciandolo fuori, in modo che né lui né altri entrassero a disturbare.

Francesco salì dunque sulla torre, per abitarvi con il compagno.

Durante la prima notte, mentre Francesco si disponeva a dormire, irruppero i demoni e lo coprirono di botte.

Egli chiamò subito il compagno, che stava lontano: « Vieni da me! ».

Quello gli fu vicino d'un balzo.

Gli disse il Santo: « Fratello, i demoni mi hanno pestato duramente.

Desidero che tu mi rimanga accanto, perché ho paura di starmene qui solo ».

Il compagno gli fu appresso per l'intera notte.

Francesco tremava tutto, come in preda alla febbre.

Durarono svegli entrambi fino al mattino.

Nel frattempo Francesco conversava con il suo compagno: « Perché i demoni mi hanno battuto?

Perché il Signore ha dato loro il potere di farmi del male? ».

Si mise a riflettere: « I demoni sono i "castaldi" del Signore nostro.

Come il podestà spedisce il suo castaldo a punire il cittadino che ha commesso un reato, così il Signore corregge e castiga coloro che ama, per mezzo dei suoi castaldi, i demoni, esecutori della sua giustizia.

Molte volte anche il perfetto religioso pecca per ignoranza.

Allora, siccome non è consapevole della sua colpa, viene punito dal diavolo, affinché messo sull'avviso dal castigo, controlli interiormente ed esteriormente in cosa è consistito il suo fallo e cerchi di individuarlo.

A quelli che il Signore ama teneramente nella vita terrestre non risparmia le punizioni.

Quanto a me, per misericordia e grazia di Dio, non sono conscio di aver commesso peccati che non abbia scontato confessandomi e facendo penitenza.

Di più, la sua misericordia mi ha largito questo dono: egli durante la preghiera mi dà conoscenza di ogni cosa in cui gli piaccio o gli dispiaccio.

Ma può darsi, secondo me, che il Signore mi abbia punito stavolta mediante i suoi castaldi per questo motivo: il cardinale è spontaneamente generoso con me, e d'altra parte il mio corpo ha necessità di avere questi aiuti e io li ricevo con semplicità.

Tuttavia, sia i miei fratelli che vanno per il mondo affrontando la farne e molti disagi, sia gli altri che dimorano in misere abitazioni e romitaggi, venendo a sapere che dimoro presso un cardinale, potrebbero aver motivo di protestare contro di me.

Noi qui a sopportare ogni sorta di privazioni, e lui a godersi le agiatezze!

Ebbene, io sono tenuto sempre a dare il buon esempio ai frati; è per questo che sono stato dato ad essi.

I frati sono più edificati quando io vivo tra loro in luoghi poverelli, che quando sto altrove; e sopportano con più coraggiosa pazienza le loro asprezze, quando sentono e sanno che le sopporto io pure ».

Francesco non ebbe invero buona salute, mai; anche mentre visse nel mondo era di costituzione fragile e delicata, e fu sempre più malato di giorno in giorno fino alla sua morte.

Eppure, costantemente si preoccupava di dare il buon esempio ai fratelli e di togliere ogni occasione di mormorare contro di lui: « Eccolo, si concede tutto quello di cui abbisogna, mentre noi peniamo, privi di tutto! ».

E così, fosse in salute o fosse infermo, fino al giorno del suo trapasso volle patire tante privazioni che, se ogni frate ne fosse a conoscenza come noi, che siamo vissuti assieme a lui per un certo tempo fino a che morì, non potrebbero ricordarlo senza piangere, e sopporterebbero con più serena pazienza necessità e tribolazioni.

Allo spuntar del giorno, Francesco scese dalla torre e andò dal cardinale a raccontargli quanto gli era accaduto e i discorsi fatti con il compagno.

Aggiunse: « La gente ha gran fede in me e mi crede un sant'uomo, ma ecco che i demoni mi hanno buttato fuori dal mio carcere ».

Egli voleva stare recluso nella torre come in un carcere, non parlando che con il suo compagno.

Il cardinale fu felice di rivederlo; però, siccome lo riguardava e venerava come santo, accettò la sua decisione di non trattenersi oltre colà.

Francesco, accomiatatosi dall'ospite, tornò all'eremo di Fonte Colombo presso Rieti.

[1649] Quaresima sulla Verna

93. Una volta che Francesco salì all'eremo della Verna, quel luogo così isolato gli piacque talmente, che decise di passare lassù una quaresima in onore di san Michele.

Vi era salito prima della festa dell'Assunzione della gloriosa vergine Maria, e contando i giorni da questa festività fino a quella di san Michele, trovò che erano quaranta.

Allora disse: « A onore di Dio e della beata Vergine Maria, sua madre e di san Michele, principe degli angeli e delle anime, voglio fare una quaresima quassù ».

Entrato nella cella dove intendeva soggiornare tutto quel periodo, nella prima notte pregò il Signore di mostrargli qualche segno da cui potesse conoscere se era volontà divina ch'egli rimanesse sulla Verna.

Infatti, Francesco, allorché si fermava in qualche luogo per un periodo di orazione o andava in giro per il mondo a predicare, sempre si preoccupava di conoscere il volere di Dio, affine di maggiormente piacergli.

A volte egli temeva che, sotto pretesto di stare isolato per attendere all'orazione, il suo corpo volesse riposare, rifiutando la fatica di andare a predicare per il mondo, per la salvezza del quale Cristo discese dal cielo.

E faceva pregare quelli che gli parevano prediletti dal Signore, affinché Dio mostrasse loro la sua volontà, se cioè Francesco dovesse andare per il mondo a evangelizzare il popolo o se talora dovesse ritirarsi in qualche luogo solitario a fare orazione.

Sul far del mattino, mentre era in preghiera, uccelli di ogni specie volarono sulla cella del Santo; non tutti insieme però, ma prima veniva uno e cantava, facendo dolcemente il suo verso, e poi volava via, indi veniva un altro, cantava, ripartiva; e così fecero tutti.

Francesco fu assai meravigliato della cosa, e ne trasse grande consolazione.

Ma poi prese a riflettere cosa volesse significare quell'omaggio, e il Signore gli rispose in spirito: « Questo è il segno che il Signore ti farà delle grazie in questa cella e ti darà copiose consolazioni ».

E fu veramente così.

Invero, fra le altre consolazioni intime o palesi comunicategli dal Signore, ebbe l'apparizione del Serafino da cui trasse viva consolazione spirituale per tutto il tempo che visse.

Quando quello stesso giorno il compagno venne a portargli da mangiare, il Santo gli narrò tutto l'accaduto.

Quantunque godesse molte gioie in quella celletta, di notte i demoni gli inflissero parecchie molestie, com'egli stesso raccontò a quello stesso compagno.

Una volta gli confidò: « Se i fratelli sapessero quante tribolazioni mi infliggono i demoni, ognuno di loro sarebbe commosso a pietà e compassione grande verso di me ».

Come a più riprese disse ai compagni, Francesco a motivo di queste persecuzioni non poteva essere a disposizione dei fratelli e mostrare loro quell'affetto che avrebbero desiderato.

[1650] Il guanciale di piume

94. In altra occasione, Francesco soggiornava nell'eremitaggio di Greccio, e passava i giorni e le notti pregando, nella ultima celletta che sorge dopo la cella maggiore.

Una notte, durante il primo sonno, chiamò il compagno che riposava non lontano, nella cella più grande e antica.

Il compagno si alzò all'istante e andò, entrando nell'atrio della celletta dove Francesco era coricato, fermandosi però vicino all'uscio.

Gli disse il Santo: « Fratello, stanotte non ho potuto dormire né tenermi in piedi a pregare.

Mi tremano la testa e il corpo, come avessi mangiato pane di loglio ».

Il compagno si trattenne a parlare con lui dell'accaduto, confortandolo.

Francesco rispose: « Io credo che c'era il diavolo in questo cuscino che ho sotto il capo ».

Quel guanciale di piume glielo aveva comprato messer Giovanni di Greccio, che il Santo amava di cuore e a cui mostrò profonda amicizia tutto il tempo che visse.

Da quando aveva abbandonato il mondo, Francesco non volle più coricarsi su un coltrone né tenere sotto il capo un cuscino di piume, mai, nemmeno nelle malattie.

Ma quella volta i fratelli ve lo avevano obbligato, riluttante, a causa della gravissima affezione agli occhi.

Prese dunque quel guanciale e lo gettò al suo compagno, che afferratolo con la destra se lo gettò sulla spalla sinistra, tenendolo con la stessa mano, e uscì dall'atrio.

Immediatamente perse la parola e non riusciva a spostarsi da lì, né riusciva a sbarazzarsi del cuscino; ma se ne stava immobile, con la sensazione di essere fuori di sé, incosciente di quello che avveniva in lui e negli altri.

Restò in quello stato per non breve tempo, fin quando, per grazia di Dio, Francesco non lo richiamò.

Allora tornò in sé, lasciò cadere dietro quel cuscino e rientrò da Francesco a raccontargli quello che gli era capitato.

Gli rispose il Santo: « In serata, mentre recitavo compieta, sentii che il diavolo penetrava nella cella ».

E fu certo allora ch'era stato il diavolo a impedirgli di dormire e di tenersi dritto a pregare.

Disse al compagno: « Il diavolo è molto sottile e astuto.

Dal momento che, per la misericordia e grazia di Dio, non può nuocere alla mia anima, si sfoga contro il mio corpo, rendendomi impossibile il riposo e lo stare in piedi a pregare, in modo da impedire la devozione e la gioia del cuore e da farmi mormorare contro la mia infermità ».

[1651] Suo fervore nel recitare l'ufficio

95. Sebbene soffrisse per molti anni di gravi disturbi di stomaco, milza, fegato e occhi, era così fervoroso e pregava con tanto raccoglimento, che durante l'orazione non voleva appoggiarsi al muro o alla parete, ma stava dritto, senza cappuccio sulla testa, e talora in ginocchio, e passava nella preghiera la maggior parte del giorno e della notte.

Quando andava a piedi per il mondo, sempre si fermava al momento di recitare le ore liturgiche.

Se poi viaggiava a cavallo ( era abitualmente infermiccio ), ne scendeva per dire le ore.

E una volta che tornava da Roma, dopo aver soggiornato alcuni giorni presso il cardinale Leone, il giorno stesso che uscì dalla città piovve senza interruzione.

Malato com'era, cavalcava; però, quando volle dire le ore scese da cavallo e stette in piedi al margine della strada, sotto la pioggia che lo ammollava.

E spiegò: « Se vuol prendere i suoi alimenti in pace e quiete questo corpo che assieme ai suoi cibi diventerà pasto dei vermi, con quanta maggior pace e quiete non deve l'anima prendere il suo nutrimento, che è Dio stesso ».

[1652] Fratello corpo

96. Diceva: « Il diavolo esulta quando riesce a spegnere o affievolire, nel cuore del servo di Dio, la tenerezza e la letizia provenienti da una pura preghiera e da altre opere buone.

Chè se il diavolo riesce a penetrare nel cuore del servo di Dio, e questi non se ne sta all'erta e quanto prima può non affronta ed elimina l'invasore con il pentimento, la confessione e la penitenza, in breve tempo l'avversario trasformerà un capello in una trave ».

E seguitava: « Il servo di Dio deve soddisfare in modo equilibrato al proprio corpo nel nutrimento, nel riposo e nelle altre necessità, affinché fratello corpo non trovi da mormorare, protestando: - Non posso stare dritto, né resistere a lungo nell'orazione, né compiere altre opere buone, perché non mi procuri ciò che mi abbisogna! - ».

Soggiungeva: « Se il servo di Dio provvede saggiamente al proprio corpo con buon garbo e nella misura del possibile, e fratello corpo si mostra pigro, negligente e sonnolento nell'orazione, nelle veglie e nelle altre buone opere dello spirito, allora deve castigarlo come un giumento riottoso e indolente, che vuole, sì, mangiare, ma ricusa di lavorare e portare il carico.

Se infine fratello corpo, malato o sano, a causa della penuria e ristrettezza non può ottenere il necessario, quando ne fa richiesta per amore di Dio con rispetto e umiltà al fratello suo o al prelato, sopporti le privazioni per amore del Signore: e il Signore considererà come martirio queste rinuncie.

E poiché il servo di Dio ha fatto ciò che stava in lui, cioè ha chiesto il necessario, non pecca, anche se il corpo ne dovesse patire gravi conseguenze ».

[1653] La gioia spirituale

97. Dal momento della conversione al giorno della morte, Francesco fu molto duro, sempre, con il suo corpo.

Ma il suo più alto e appassionato impegno fu quello di possedere e conservare in se stesso la gioia spirituale.

Affermava: « Se il servo di Dio si preoccuperà di avere e conservare abitualmente la gioia interiore ed esteriore, gioia che sgorga da un cuore puro, in nulla gli possono nuocere i demoni, che diranno: - Dato che questo servo di Dio si mantiene lieto nella tribolazione come nella prosperità, non troviamo una breccia per entrare in lui e fargli danno - ».

Una volta il Santo rimproverò uno dei compagni che aveva un'aria triste e una faccia mesta: « Perché mostri così la tristezza e l'angoscia dei tuoi peccati?

È una questione privata tra te e Dio.

Pregalo che nella sua misericordia ti doni la gioia della salvezza.

Ma alla presenza mia e degli altri procura di mantenerti lieto.

Non conviene che il servo di Dio si mostri depresso e con la faccia dolente al suo fratello o ad altra persona ».

Diceva altresì: « So che i demoni mi sono invidiosi per i benefici concessimi dal Signore per sua bontà.

E siccome non possono danneggiare me, si sforzano di insidiarmi e nuocermi attraverso i miei compagni.

Se poi non riescono a colpire né me né i compagni, allora si ritirano scornati.

Quando mi trovo in un momento di tentazione e di avvilimento, mi basta guardare la gioia del mio compagno per riavermi dalla crisi di abbattimento e riconquistare la gioia interiore ».

[1654] Predice la sua gloria

98. Mentre Francesco giaceva infermo nel palazzo vescovile d'Assisi, un frate, uomo spirituale e santo, gli disse un giorno in tono scherzoso: « A che prezzo venderai al Signore i tuoi cenci?

Molte stoffe preziose e drappi di seta avvolgeranno questo tuo corpo, ricoperto adesso di vili panni ».

Francesco portava allora, a motivo della sua malattia, un copricapo di pelle ricoperto di sacco, e di sacco era la sua veste.

Rispose Francesco, o meglio lo Spirito Santo per bocca di lui, con grande ardore di spirito e gioia: « Tu dici il vero: sarà proprio così! ».

[1655] Benedizione alla città di Assisi

99 Sempre durante la sua dimora in quel palazzo, sentendo Francesco di peggiorare di giorno in giorno, si fece portare alla Porziuncola in barella, giacché non avrebbe potuto cavalcare per l'aggravarsi della sua malattia.

Quando i frati, che lo portavano giunsero vicino allo ospedale, disse loro di posare la barella per terra, ma voltandolo, in modo che tenesse il viso rivolto verso la città di Assisi: egli aveva perduto quasi del tutto la vista, per la gravissima lunga infermità d'occhi.

Si drizzò allora un poco sulla lettiga e benedisse Assisi con queste parole: « Signore, credo che questa città sia stata anticamente rifugio e dimora di malvagi iniqui uomini, malfamati in tutte queste regioni.

Ma per la tua copiosa misericordia, nel tempo che piacque a te, vedo che hai mostrato la sovrabbondanza della tua bontà, così che la città è diventata rifugio e soggiorno di quelli che ti conoscono e danno gloria al tuo nome e spandono profumo di vita santa, di retta dottrina e buona fama in tutto il popolo cristiano.

Io ti prego dunque, o Signore Gesù Cristo, padre delle misericordie, di non guardare alla nostra ingratitudine, ma di ricordare solo l'abbondanza della tua bontà che le hai dimostrato.

Sia sempre, questa città, terra e abitazione di quelli che ti conoscono e glorificano il tuo nome benedetto e glorioso nei secoli dei secoli. Amen ».

Detta che ebbe questa preghiera, fu trasportato a Santa Maria della Porziuncola.

[1656] Sorella morte

100. Dal giorno della conversione fino a quello della morte, Francesco, fosse in salute o malato, sempre si preoccupò di conoscere ed eseguire la volontà del Signore.

Un giorno un frate gli disse: « Padre, la tua vita e condotta è stata ed è una fiaccola e un modello non solo per i tuoi frati, ma per l'intera Chiesa di Dio: e così sarà anche la tua morte.

Certo, ai tuoi frati e a moltissime altre persone la tua scomparsa provocherà indicibile dolore e tristezza; ma per te sarà immensa consolazione e gioia infinita.

Infatti, tu passerai da questo lavoro gravoso al più grande riposo da molte sofferenze e prove al gaudio senza fine, dalla dura povertà ( che hai sempre amato e gioiosamente abbracciato dal momento della conversione fino a oggi ) alle ricchezze più grandi e vere, infinite; dalla morte fisica passerai alla vita eterna, dove vedrai faccia a faccia per sempre il Signore Dio tuo, che in questo mondo hai contemplato con tanto fervore, desiderio e amore ».

Detto ciò, gli parlò francamente: « Padre, sappi in verità che, se il Signore non manda al tuo corpo la sua medicina dal cielo, la tua malattia è incurabile e poco ti resta da vivere, come hanno già pronosticato i medici.

Dico questo per confortare il tuo spirito, affinché tu sia sempre felice interiormente ed esteriormente nel Signore, e i tuoi frati e gli altri che vengono a visitarti ti trovino lieto nel Signore.

Siccome sanno che presto morrai, vedendoti così sereno o venendolo a sapere dalla gente dopo il tuo trapasso, ciò costituirà per tutti un ricordo e un esempio, come lo è stata tutta la tua vita ».

Allora Francesco, sebbene disfatto dalle malattie, con grande fervore di spirito e raggiante di gioia profonda, lodò il Signore.

Poi rispose al compagno: « Ebbene, se la morte è imminente, chiamatemi i fratelli Angelo e Leone, affinché mi cantino di sorella Morte ».

Vennero i due da Francesco e cantarono, in lacrime, il Cantico di frate Sole e delle altre creature del Signore, composto dal Santo durante la sua infermità, a lode del Signore e a consolazione dell'anima sua e degli altri.

In questo Cantico, innanzi all'ultima strofa, egli inserì la lassa di sorella Morte, questa:

Laudato sie, mi Segnore,

per sora nostra morte corporale,

dalla quale null'omo vivente po' scampare.

Guai a quilli ke morirà ne li peccati mortali!

Biati quilli ke trovarà ne li toi

sanctissime volontade

ke lla morte seconda no li farà male

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