Fioretti  

Della quinta e ultima considerazione delle sacre sante istimate del beato santo Francesco.

[1952] La quinta e ultima considerazione si è di certe apparizioni e rivelazioni e miracoli, li quali Iddio fece e dimostrò dopo la morte di santo Francesco, a confermazione delle sacre sante istimate sue e a notificazione del dì e dell' ora che Cristo gliele diede.

E quanto a questo, è da pensare che negli anni Domini mille dugento ottantadue, a dì ... del mese d' ottobre frate Filippo Ministro di Toscana, per comandamento di frate Bonagrazia generale Ministro, richiese per santa obbidienza frate Matteo da Castiglione Aretino, uomo di grande divozione e santità, che gli dicesse quello che sapea del dì e dell'ora nella quale le sacre sante istimate furono da Cristo impresse nel corpo di santo Francesco, imperò che sentia ch' egli di ciò ne avea avuta rivelazione.

Il quale frate Matteo, costretto dalla santa obbidienza, gli rispuose così: « Istando io di famiglia alla Vernia, questo anno passato, del mese di maggio, io mi puosi uno dì in orazione nella cella ch' è nel luogo si crede che fu quella apparizione serafica.

E nella mia orazione io pregai Iddio divotissimamente che gli piacesse di rivelare a qualche persona il dì e l' ora e 'l luogo, nel quale le sacre sante istimate furono impresse nel corpo di santo Francesco.

E perseverando io in orazione e in questo priego più oltre che il primo sonno, e' m' apparve santo Francesco con grandissimo lume e sì mi disse: « Figliuolo, di che prieghi tu Iddio? ».

E io gli dissi: « Padre, priego di cotale cosa ».

Ed egli a me disse: « Io sono il tuo Padre Francesco: conoscimi tu bene? ».

« Padre », diss' io, « sì ».

Allora egli mi mostrò le sacre sante istimate delle mani e de' piedi e del costato e disse: « Egli è venuto tempo che Iddio vuole che si manifesti a gloria sua quello che i frati per addietro non si sono curati di sapere.

Sappi che colui che mi apparve non fu Agnolo ma fu Gesù Cristo in ispezie di Serafino; il quale con le sue mani imprimette nel corpo mio queste cinque piaghe siccome egli le ricevette nel corpo suo in sulla croce.

E fu in questo modo: che il dì dinanzi alla esaltazione della santa Croce venne a me uno Agnolo e dissemi da parte di Dio ch' io m' apparecchiassi a pazienza e a ricevere ciò che Iddio mi volesse mandare.

E io rispuosi ch' io era apparecchiato a ogni cosa che fusse a piacere di Dio.

Poi la mattina seguente, cioè la mattina di santa Croce, la quale era quello anno venerdì, all' aurora io usci' della cella in fervore di spirito grandissimo e andai a stare in orazione in questo luogo ove tu se' ora; nel quale luogo io spesse volte orava.

E orando io, ecco per l' aire discendea da cielo un giovane crocifisso in forma di Serafino con sei alie, con grande empito: al cui maraviglioso aspetto io m' inginocchiai umilmente e cominciai a contemplare divotamente dello ismisurato amore di Gesù Cristo crocifisso e dello ismisurato dolore della sua passione: e lo aspetto suo generò in me tanta compassione, che a me parea di sentire propriamente nel mio corpo essa passione; e alla presenza sua tutto questo monte risplendeva come sole.

E così discendendo venne presso a me e, stando dinanzi a me, mi disse certe parole segrete le quali io non ho ancora rivelate a persona; ma s' appressa il tempo ch' elle si riveleranno.

Poi, dopo alcuno ispazio, Cristo si partì e tornò in cielo; e io mi trovai così segnato di coteste piaghe.

Va' dunque, » disse santo Francesco, « e queste cose sicuramente di' al tuo Ministro; però che questa è operazione di Dio e non d' uomo ».

E dette queste parole, santo Francesco sì mi benedisse e ritornossi in cielo con una grande moltitudine di giovani isplendentissimi ».

Tutte queste cose il detto frate Matteo disse sè avere vedute e udite non dormendo ma vegghiando.

E così giurò corporalmente al detto Ministro a Firenze, nella cella sua, quando egli lo richiese di ciò per obbidienza.

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco.

Amen.

[1953] Come un santo frate, leggendo la leggenda di santo Francesco, nel capitolo delle sacre sante istimate, delle segrete parole le quali disse il Serafino a santo Francesco quando gli apparve, pregò tanto Iddio, che santo Francesco gliele rivelò.

Un' altra volta un frate divoto e santo, leggendo la leggenda di santo Francesco nel capitolo delle sacre sante istimate, cominciò con grande ansietà di spirito a pensare che parole potessono essere istate quelle così segrete, le quali santo Francesco disse che non rivelerebbe a persona mentre ch' egli vivesse, le quali il Serafino gli avea dette quando gli apparve.

E dicea questo frate fra se medesimo: « Quelle parole non volle dire santo Francesco a persona in vita sua ma ora dopo la morte sua corporale forse le direbbe, s' egli ne fosse pregato divotamente ».

E d' allora innanzi cominciò il divoto frate a pregare Iddio e santo Francesco, che quelle parole piacesse loro di rivelare; e perseverando questo frate otto anni in questo priego, l' ottavo anno meritò d' essere esaudito in questo modo.

Che un dì dopo mangiare, rendute le grazie in chiesa, istandosi costui in orazione in alcuna parte della chiesa e pregando di questo Iddio e santo Francesco più divotamente che non solea e con molte lagrime, egli è chiamato da un altro frate ed ègli comandato da parte del Guardiano ch' egli l' accompagnasse alla terra per utilità del luogo.

Per la qual cosa egli, non dubitando che la obbidienza è più meritoria della orazione, immantanente ch' egli udì il comandamento del prelato, lascia l' orazione e va umilemente con quello frate che 'l chiamava.

E come piacque a Dio, costui in quello atto della pronta obbidienza meritò quello che per lungo tempo d' orazione non aveva meritato.

Onde sì tosto come fuori della porta del luogo e' furono, e' s' iscontrarono in due frati forestieri li quali pareano che venissono di lungi paesi, e l' uno di loro parea giovane e l' altro antico e magro, e per lo mal tempo erano tutti molli e fangosi.

Di che questo frate obbidiente, avendo loro grande compassione, disse al compagno con cui egli andava: « O fratello mio carissimo, se 'l fatto per lo quale noi andiamo si può un poco indugiare, però che cotesti frati forestieri hanno bisogno d' essere ricevuti caritatevolmente; io ti priego che tu mi lasci prima andare a lavare loro li piedi e ispezialmente a questo frate antico il quale n' ha maggiore bisogno, e voi potrete lavarli a questo più giovane; e poi andremo per li fatti del convento ».

Allora, condiscendendo questo frate alla carità del compagno, ritornarono dentro, e ricevendo questi frati forestieri molto caritatevolemente, sì li menarono in cucina al fuoco a scaldarsi e a rasciugarsi; al quale fuoco si scaldavano otto altri frati del luogo.

E istati che furono un poco al fuoco, li trassono da parte per lavare loro li piedi, secondo che insieme aveano composto.

E lavando quello frate obbediente e divoto li piedi a quel frate più antico, e levandone il fango, però ch' erano molto fangosi, e' guarda e vede li piedi suoi segnati d' istimate; e subitamente per la allegrezza e stupore abbracciandoli istretto, comincia a gridare: « O tu se' Cristo, o tu se' santo Francesco ».

A questa voce e a queste parole levansi suso i frati ch' erano al fuoco, e traggono là a vedere con grande timore e reverenza quelle gloriose istimate.

E allora questo frate antico a' loro prieghi permette ch' eglino chiaramente le veggano e tocchino e bacino.

E ancora più maravigliandosi eglino per la allegrezza, e' disse loro: « Non dubitate e non temete, frati carissimi e figliuoli; io sì sono il vostro padre frate Francesco, il quale, secondo la volontà di Dio, fondai tre Ordini.

E con ciò sia cosa ch' io sia istato pregato, già otto anni è, da questo frate il quale mi lava i piedi, e oggi più ferventemente che l' altre volte, che io gli riveli quelle parole segrete che mi disse il Serafino quando mi diede le stimate, le quali parole io non volli mai rivelare in vita mia; ma oggi per comandamento di Dio e per la sua perseveranza e per la sua pronta obbidienza, per la quale egli lasciò la sua dolcezza della contemplazione, io sono mandato da Dio a rivelargli dinanzi a voi quello ch' egli addimanda ».

E allora, volgendosi santo Francesco a quello frate, disse così: « Sappi, carissimo frate, che essendo io in sul monte della Vernia, tutto assorto nella memoria della passione di Cristo, in quella apparizione serafica io fui da Cristo così istimatizzato nel corpo mio, e allora Cristo mi disse: " Sai tu quello ch' io t' ho fatto?

Io t' ho dato i segnali della mia passione, acciò che tu sia mio gonfaloniere.

E com' io il dì della morte mia discesi al limbo e tutte l'anime le quali io vi trovai, in virtù delle mie istimate, le ne trassi e menaile a paradiso, così concedo a te infino a ora, acciò che tu mi sia conforme così nella morte come mi se' stato nella vita, che tu, poi che sarai passato di questa vita, ogni anno il dl della tua morte vada a purgatorio e tutte l' anime delli tuoi tre Ordini, cioè Minori, Suore e Continenti, e oltre a questo quelle de' tuoi divoti le quali tu vi troverai, ne tragghi in virtù delle tue istimate le quali io t' ho date, e menile a paradiso ".

E queste parole io non dissi mai, mentre ch' io vissi nel mondo ».

E dette queste parole, santo Francesco e 'l compagno subito isparirono.

Molti frati poi udirono questo da quelli otto frati che furono presenti a questa visione e parole di santo Francesco.

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco.

Amen.

[1954] Come santo Francesco essendo morto apparve a frate Giovanni della Vernia stando in orazione.

In sul monte della Vernia apparve una volta santo Francesco a frate Giovanni della Vernia, uomo di grande santità, istando egli in orazione, e istette e parlò con lui per grandissimo spazio: e finalmente volendosi partire sì gli disse: « Domandami ciò che tu vuogli ».

Disse frate Giovanni: « Padre, io ti priego che tu mi dica quello che io ho lungo tempo disiderato di sapere, cioè quello che voi facevate e ove voi eravate quando v' apparve il Serafino ».

Risponde santo Francesco: « Io orava in quello luogo dove è ora la cappella del conte Simone da Battifolle, e chiedea due grazie al mio Signore Gesù Cristo.

La prima, che mi concedesse in vita mia che io sentissi nella anima mia e nel corpo mio, quanto fosse possibile, tutto quel dolore il quale egli avea sentito in se medesimo al tempo della sua acerbissima passione.

La seconda grazia ch' io gli addomandai si era che similmente io sentissi nel cuore mio quello eccessivo amore del quale egli s' accendea a sostenere tanta passione per noi peccatori.

E allora Iddio mi mise nel cuore che mi concederebbe di sentire l' uno e l' altro, quanto fosse possibile a pura creatura: la quale cosa bene mi fu adempiuta nella impressione delle istimate ».

Allora frate Giovanni il domanda se quelle parole segrete le quali gli avea dette il Serafino erano istate in quel modo che ricitava quello santo frate detto di sopra, il quale affermava che le avea udite da santo Francesco in presenza d' otto frati.

Rispuose santo Francesco che così era il vero, sì come quel frate dicea.

Allora frate Giovanni prende sicurtà di domandare, per la liberalità del conceditore, e dice così: « O padre, io ti priego istantissimamente che tu mi lasci vedere e baciare le tue gloriose istimate, non perch' io ne dubiti niente, ma solo per mia consolazione; però ch' io ho questo sempre disiderato ».

E santo Francesco liberamente mostrandogliele e porgendogliele, frate Giovanni chiaramente le vide e toccò e baciò.

E finalmente il domandò: « Padre, quanta consolazione ebbe l' anima vostra veggendo Cristo benedetto venire a voi a donarvi i segnali della sua santissima passione!

Or volesse Iddio che io ne sentissi un poco di quella suavità! ».

Risponde allora santo Francesco: « Vedi tu questi chiodi? ».

E frate Giovanni: « Padre, sì ».

«Tocca un' altra volta », dice santo Francesco, « questo chiovo ch' è nella mia mano ».

Allora frate Giovanni con grande reverenza e timore tocca quello chiovo, e subitamente in quello toccare tanto odore n' uscì, come una vergola di fumo a modo che d' incenso, ed entrando per lo naso di frate Giovanni, di tanta soavità empiette l' anima sua e 'l corpo, che immantanente egli fu ratto in Dio in estasi e diventò insensibile; e così ratto stette da quella ora, ch' era terza, insino a vespro.

E questa visione e dimestico parlare con santo Francesco frate Giovanni non disse mai ad altri ch' al confessore suo, se non quando venne a morte, ma essendo presso alla morte, lo rivelò a più frati.

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco.

Amen.

[1955] D'uno santo frate che vide una mirabile visione di uno suo compagno essendo morto.

Nella provincia di Roma uno frate molto divoto e santo vide questa mirabile visione.

Essendo morto una notte e la mattina sotterrato dinanzi alla entrata del capitolo un frate carissimo suo compagno, il dì medesimo si ricolse quello frate in uno canto del capitolo dopo desinare a pregare Iddio e santo Francesco divotamente per l' anima di questo frate suo compagno morto.

E perseverando egli in orazione con prieghi e con lagrime, di meriggio, quando tutti gli altri frati erano iti a dormire, ecco che sentl uno grande strascinìo per lo chiostro: di che subitamente con grande paura egli dirizza gli occhi inverso il sipolcro di questo suo compagno; e videvi stare in sulla entrata del capitolo santo Francesco, e dietro a lui una grande moltitudine di frati dintorno al detto sepolcro.

Guarda più oltre, e vide nel mezzo del chiostro un fuoco di fiamma grandissima e nel mezzo della fiamma istare l' anima del suo compagno morto.

Guata dintorno al chiostro, e vide Gesù Cristo andare dintorno al chiostro con grande compagnia d' Agnoli e di Santi.

E ragguardando queste cose con grande stupore, e' vede che, quando Cristo passa dinanzi al capitolo, santo Francesco con tutti que' frati s' inginocchia e dice così: « Io ti priego, carissimo mio Padre e Signore, per quella inestimabile carità la quale tu mostrasti alla umana generazione nella tua incarnazione, che tu abbi misericordia della anima di quello mio frate il quale arde in quel fuoco ».

E Cristo non risponde niente ma passa oltre.

E ritornando la seconda volta e passando dinanzi al capitolo, santo Francesco anche s' inginocchia co' suoi frati come prima e priegalo in questa forma: « Io ti priego, piatoso Padre e Signore, per la ismisurata carità che tu mostrasti alla umana generazione quando moristi in sul legno della croce, che tu abbi misericordia dell' anima di quel mio frate ».

E Cristo similmente passava e non lo esaudiva.

E dando la volta dintorno al chiostro, ritornava la terza volta e passava dinanzi al capitolo; e allora santo Francesco, inginocchiandosi come prima, gli mostrò le mani e i piedi e 'l petto e disse così: « Io ti priego, piatoso Padre e Signore, per quello grande dolore e grande consolazione ch' io sostenni quando tu imponesti queste istimate nella carne mia, che tu abbi misericordia dell' anima di quel mio frate che è in quello fuoco di purgatorio ».

Mirabile cosa! Essendo pregato Cristo questa terza volta da santo Francesco sotto il nome delle sue istimate, immantanente ferma il passo e riguarda le istimate, esaudisce il priego e dice così: « A te, frate Francesco, io ti concedo l' anima del frate tuo ».

E in questo per certo volle onorare e confermare le gloriose istimate di santo Francesco e apertamente significare che l'anime de' suoi frati che vanno al purgatorio non più agevolmente che in virtù delle sue istimate sono liberate delle pene e menate alla gloria di paradiso, secondo le parole che Cristo, imprimendogliele, disse a santo Francesco.

Onde subitamente, dette queste parole, quel fuoco del chiostro isvanì, e 'l frate morto se ne venne a santo Francesco, e insieme con lui e con Cristo tutta quella beata compagnia gloriosa se ne andò in cielo.

Della qual cosa questo suo compagno frate ch' avea pregato per lui, vedendolo liberato delle pene e menato in paradiso, ebbe grandissima allegrezza; e poi innarrò agli altri frati per ordine tutta la visione, e insieme con loro laudò e ringraziò Iddio.

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco.

Amen.

[1956] Come uno nobile cavaliere, divoto di santo Francesco, fu certificato della morte e delle istimate di santo Francesco.

Uno nobile cavaliere da Massa di San Piero, ch' avea nome messere Landolfo, il quale era divotissimo di santo Francesco e finalmente per le sue mani ricevette l' abito del terzo Ordine, fu in questo modo certificato della morte di santo Francesco e delle sue istimate gloriose.

Chè, sendo santo Francesco vicino alla morte, in quel tempo entrò il demonio addosso a una femmina del detto castello e crudelmente la tormentava, e con questo la faceva parlare per lettera sì sottilemente, che tutti li savi uomini e letterati che veniano a disputare con lei ella vincea.

Avvenne che, partendosi da lei il demonio la lasciò libera due dì, e 'l terzo ritornando in lei l' affliggeva più crudelmente che prima.

La quale cosa udendo, messere Landolfo se ne va a questa femmina e domanda il demonio che abitava in lei, quale era la cagione che s' era partito da lei due dì e poi tornando la tormentava più aspramente che prima.

Risponde il demonio: « Quando io la lasciai, fu ch' io con tutti li miei compagni che sono in queste parti ci ricogliemmo insieme e andammo molto forti alla morte del mendico Francesco per disputare con lui e prendere l' anima sua: ma essendo ella attorneata e difesa da maggiore moltitudine d' Agnoli che non eravamo noi e da loro portata dirittamente in cielo, e noi ci siamo partiti confusi sì ch' io ristoro e rendo a questa misera femmina quello che in due dì io ho lasciato ».

E allora messere Landolfo lo scongiurò dalla parte di Dio che dovesse dire quello che era di verità della santità di santo Francesco, il quale diceva ch' era morto, e di santa Chiara ch' era viva.

Risponde il demonio: « Dirottene, o voglia io o no, quello ch' è vero.

Egli era tanto indegnato Iddio padre contra alli peccati del mondo, che in brieve parea che volesse dare contra agli uomini e contro le femmine la difinitiva sentenza e disterminarli dal mondo se non si correggessono.

Ma Cristo suo figliuolo, pregando per li peccatori, promise di rinnovare la sua vita e la sua passione in uno uomo, cioè in Francesco poverello mendico per la cui vita e dottrina riducerebbe di tutto il mondo molti alla via della verità e ancora a penitenza.

E ora, per mostrare al mondo che ciò egli avea fatto in santo Francesco, ha voluto che le stimate della sua passione, le quali egli gli aveva impresse nel suo corpo in vita sua, sieno ora vedute da molti e toccate nella morte sua.

Similemente e la Madre di Cristo promise di rinnovare la sua purità verginale e la sua umilità in una femmina, cioè in suora Chiara, per tale, modo che per suo esempio ella trarrebbe molte migliaia di femmine delle nostre mani.

E così per queste promesse Iddio padre mitigato indugiò la sua difinitiva sentenza ».

Allora messere Landolfo, volendo sapere di certo se 'l demonio, ch' è camera e padre di bugia, in queste cose dicea vero e spezialmente della morte di santo Francesco, mandò uno suo fedele donzello ad Ascesi a Santa Maria degli Agnoli a sapere se santo Francesco era vivo o morto.

Il quale donzello, giugnendo là, certamente trovò come il demonio avea detto, e così tornando riferì al suo signore, che appunto il dì e l' ora e come il demonio avea detto, santo Francesco era passato di questa vita.

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco.

Amen.

[1957] Come papa Gregorio nono, dubitando delle istimate di santo Francesco, ne fu chiarito.

Lasciando tutti li miracoli delle sacre sante istimate di santo Francesco, li quali sì si leggono nella sua leggenda, per conclusione di questa quinta considerazione è da sapere che papa Gregorio nono, dubitando un poco della piaga del costato di santo Francesco, secondo che poi egli recitò; gli apparve una notte santo Francesco e levando un poco alto il braccio ritto, iscoperse la ferita del costato e chiesegli una guastada; ed egli la faceva recare; e santo Francesco la si faceva porre sotto la ferita del costato, e parve veramente al Papa ch' ella s' empiesse insino al sommo di sangue mescolato con acqua ch' usciva della detta ferita.

E d' allora innanzi si partì da lui ogni dubitazione.

E poi egli, di consiglio di tutti i Cardinali, approvò le sacre sante istimate di santo Francesco; e di ciò ne diede alli frati privilegio ispeziale con la bolla pendente; e questo fece a Viterbo lo undecimo anno del suo papato: e poi l' anno duodecimo ne diede un altro più copioso.

[1958] Ancora papa Niccolò terzo e papa Alessandro ( quarto ) diedono di ciò copiosi privilegi, per li quali chi negasse le stimate di santo Francesco, si potrebbe procedere contra di lui siccome contra eretico.

E questo basti quanto alla quinta considerazione delle gloriose istimate del nostro padre santo Francesco, la cui vita Iddio ci dia grazia di sì seguitare in questo mondo, che per virtù delle sue istimate gloriose noi meritiamo d' essere salvati con lui in paradiso.

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco.

Amen.

Indice