Aborto

Dizionario

1) Interruzione della gravidanza prima che il feto sia maturo

2) fig. spreg. Mostro, obbrobrio

3) Feto nato prematuro e morto


Con aborto ( dal latino ab-orior, "non nascere", "non sorgere" ) si intende etimologicamente l'evento che causa la mancata nascita del bambino, oppure lo stesso feto non vitale conseguenza del processo abortivo.

Può avere cause naturali, e in tal caso è detto aborto spontaneo, o essere procurato intenzionalmente, e si parla di aborto medico, aborto procurato, interruzione volontaria della gravidanza, IVG. Il secondo significato ha notevoli implicazioni mediche, etiche, religiose.

Il termine aborto indica nel linguaggio comune l'interruzione del processo fisiologico della gravidanza, prima che il nuovo essere abbia raggiunto la "vitalità", cioè la capacità di continuare a vivere al di fuori dell'utero materno.

Si distingue tra aborto "spontaneo", quando l'interruzione non dipende da interventi umani, e aborto "procurato", quando è frutto dell'intervento diretto dell'uomo.

Il linguaggio clinico e legale preferisce invece abbandonare l'uso del termine "aborto", privilegiando il concetto di "interruzione della gravidanza", con il quale si pone più immediatamente l'accento sul processo fisiologico della donna.

Nell'ambito della riflessione morale è tuttavia opportuno conservare la distinzione tra le due espressioni, identificando soprattutto l'aborto con l'interruzione volontaria della gravidanza, in cui l'aspetto che va primariamente considerato è perciò la soppressione del feto mediante la sua espulsione dall'utero materno prima che sia in grado di sopravvivere.

v. Procreazione; Vita

L'evoluzione del giudizio morale.

La morale cristiana ha sempre concepito l'aborto provocato come un atto moralmente negativo, la cui gravita è determinata dalla negazione del valore della vita, che è un bene fondamentale della persona umana.

Le modalità della condanna dell'aborto, e soprattutto le motivazioni alle quali si è di volta in volta ricorsi per giustificarla, sono andate tuttavia soggette ad un processo di forte evoluzione.

La ragione principale di questa evoluzione è costituita dalle diverse ipotesi circa il momento in cui ha origine l'essere umano che si sono succedute nel corso del tempo.

La Bibbia, pur non fornendo indicazioni precise circa il momento dell'animazione del singolo, contiene espressioni che indicano come Dio ami l'essere umano già nel suo formarsi nel grembo materno: "Sei tu che hai creato le mie viscere, mi hai tessuto nel seno di mia madre" ( Sal 139,13 ).

Ancor più incisiva è l'affermazione di Luca: "Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo" ( Lc 1,41 ).

La consapevolezza dell'esistenza di una vera vita umana prima della nascita è dunque chiaramente presente nella Rivelazione, pur non essendo ancora precisato il momento della sua insorgenza.

La tradizione della Chiesa delle origini conferma pienamente questa consapevolezza.

La più antica denuncia cristiana contro l'aborto è contenuta nella Didaché ( v. ); "Tu non ucciderai con l'aborto il frutto del grembo e non farai perire il bimbo già nato".

A essa fa eco la nota affermazione di Tertulliano: "L'aborto è un omicidio anticipato …

È già un uomo colui che lo sarà".

I Padri della Chiesa affrontano per primi la questione del momento dell'infusione dell'anima, giungendo tuttavia a soluzioni diverse.

Vi sono infatti coloro che - come Gregorio di Nissa, Basilio e lo stesso Tertulliano - sostengono l'animazione immediata, e chi invece - come Agostino - ritiene si possa parlare di animazione solo entro un certo periodo successivo al concepimento.

La dottrina agostiniana, confermata autorevolmente da Tommaso d'Aquino, prevale nel Medioevo.

L'opinione che il feto non sia animato nelle prime settimane dopo la fecondazione spinge diversi autori medioevali ad ammettere una diversa gravita di colpa e di sanzione penale a seconda del tempo in cui l'aborto viene procurato.

Unanime è tuttavia la convinzione che la soppressione del feto,anche se non animato, costituisce comunque un grave peccato.

Dal punto di vista psicologico gli effetti sono dibattuti: studiosi ed enti concordano nel considerare le donne che hanno abortito come a maggiore rischio sotto diversi punti di vista (ansia, depressione, suicidio…, cf. sindrome post-abortiva), ma secondo l'interpretazione pro-choice tali fattori di rischio sarebbero indipendenti dalla scelta abortiva.

Le ragioni della posizione della Chiesa cattolica.

La dottrina cattolica considera l'aborto alla stregua di un omicidio e dunque di un peccato mortale, considerando il feto come un essere vivente dal suo concepimento (cfr. statuto dell'embrione). Tale interpretazione è in accordo con la moderna genetica, la quale considera ogni essere umano come identificato da uno specifico DNA, che si forma al momento del concepimento a partire dai gameti maschili e femminili.

La morale cattolica considera l'embrione come un essere vivente, e dunque la sua soppressione come ingiusto omicidio di un innocente. In alcuni autori, lungo i secoli, è riaffiorata la distinzione aristotelica tra feto formato e non formato, ma il magistero recente è riuscito a svincolarsi da questo retaggio considerando l'embrione come un essere umano a partire dal suo concepimento. L'aborto può essere moralmente lecito, come male minore, allorquando la prosecuzione della gravidanza possa portare a un sicuro pericolo di vita della gestante.

Nel XX sec. il magistero della Chiesa cattolica ha più volte ribadito la condanna dell'aborto volontario, omettendo di proposito ogni distinzione tra le varie fasi della vita embrionale.

Il concilio Vaticano II ha decisamente preso posizione contro di esso, affermando che "l'aborto come l'infanticidio sono abominevoli delitti" ( Gaudium et spes 51 ).

Giovanni Paolo II ha più volte ribadito questo assunto, offrendone un'ampia esposizione delle motivazioni soprattutto nell'enciclica Evangelium vitae (1995).

La ragione fondamentale della ferma ricusazione dell'aborto da parte della Chiesa cattolica discende dal fatto che esso consiste nella soppressione di una vita umana già esistente e implica perciò la lesione del diritto ad esistere, il quale appartiene originariamente e costitutivamente alla persona umana.

La gravita dell'atto abortivo è inoltre legata alla consapevolezza che tale diritto ha il suo fondamento nel fatto stesso che si esiste ( e non può pertanto essere vincolato ad altre motivazioni ) e che esso costituisce il fondamento di tutti gli altri diritti umani.

La Chiesa cattolica ritiene che il diritto ad esistere debba essere assolutamente riconosciuto all'embrione fin dal momento del suo concepimento.

Senza entrare nel merito di una determinazione puntuale del momento di inizio della vita personale, si deve infatti riconoscere che la fecondazione innesca un processo destinato irreversibilmente a dare origine alla persona umana.

Ciò che avviene successivamente, nei vari stadi di sviluppo, non rappresenta un vero e proprio salto qualitativo, ma solo l'attuazione di potenzialità specificamente umane inscritte fin dal principio.

I dati dell'embriologia sembrano oggi confermare questo assunto.

La scoperta del DNA ci assicura che lo zigote appartiene geneticamente alla natura umana, perché in esso sono presenti le caratteristiche del nuovo essere umano che andrà progressivamente formandosi.

La ragione della condanna dell'aborto, a partire dal momento del concepimento, è dunque legata al fatto che l'embrione per la sua origine, per la sua struttura e per la sua destinazione deve essere trattato come persona umana.

L'aborto e la legge.

In campo legale diverse legislazioni contemporanee hanno legalizzato l'aborto medico entro un certo limite di tempo dal concepimento ( p.es. per l'Italia 90 giorni, cfr. legge 194/1978 ), passato il quale si compie il reato di infanticidio. In campo sociale si confrontano le opinioni dei movimenti pro-choice ( "pro-scelta", di matrice laicista e femminista ), a favore dell'aborto, e pro-life ( "pro-vita" ), che salvaguardano i diritti dell'embrione e aiutano le madri in difficoltà a portare a termine la gravidanza.

Nella seconda metà del '900 la legislazione di molti Stati ha introdotto forme di legalizzazione dell'aborto, fissando i tempi entro i quali può essere praticato e le motivazioni che ne legittimano il ricorso.

Di fronte al dilagare della piaga dell'aborto clandestino, con gravi rischi per la salute e la vita delle donne e con la possibilità di forti speculazioni economiche, il tentativo della legge è quello di tornire una soluzione di compromesso tra il rispetto di ogni vita umana e la difficoltà, in alcuni casi, di proseguire una gravidanza per vari motivi indesiderata.

Anche in Italia, con l'approvazione della legge 194 del 22.V.1978, l'aborto è stato legalizzato con l'indicazione di precise clausole che ne delimitano il tempo ( entro i primi tre mesi, eccettuati alcuni casi particolari ) e dettano le condizioni per la sua praticabilità.

I principi ispiratori della legge italiana, che ha di per sé l'obiettivo di ridimensionare il fenomeno abortivo, sono, da un lato, la socializzazione del problema mediante il ricorso al consultorio e, dall'altro, l'autodeterminazione della donna, considerata come colei che deve in definitiva farsi carico della decisione in quanto più direttamente coinvolta.

La Chiesa cattolica ha assunto una posizione di aperta condanna nei confronti delle diverse legislazioni abortiste, difendendo il diritto alla vita del nascituro e sottolineando come la rinuncia alla sua tutela pregiudichi gravemente gli stessi presupposti fondamentali dell'ordine democratico.

Il rifiuto dell'aborto e delle leggi che lo legittimano è tuttavia soltanto il risvolto negativo di una più ampia azione di formazione delle coscienze, che costituisce il compito fondamentale delle comunità cristiane.

La prevenzione dell'aborto esige infatti l'adozione di una serie di interventi tesi a valorizzare la sessualità in tutta la ricchezza dei suoi significati e delle sue espressioni e a favorire lo sviluppo di una seria responsabilità procreativa.

Ma esige soprattutto il consolidarsi di una "cultura della vita", che sappia renderne trasparente l'inestimabile valore e l'assoluta bellezza, vincendo le resistenze dell'istinto di morte e creando le condizioni per la piena accoglienza di ogni vita umana.

La posizione della Chiesa ortodossa.

La Chiesa ortodossa considera l'aborto una trasgressione del precetto "Non uccidere!" e, come tale, peccato grave, che richiede un lungo periodo di penitenza ( digiuno, preghiere, atti di carità ) per essere di nuovo accolti nella comunione eucaristica.

Il concilio locale di Ancira ( 314 ) modificò la prassi che accordava la comunione solo in punto di morte e richiese dieci anni di penitenza ( can. 21 ).

San Basilio il Grande confermò tale periodo, ma previde la possibilità di abbreviarlo nei casi in cui il pentimento si esprime con atti penitenziali manifesti (can. 2).

San Giovanni il Digiunatore accordò particolare importanza ai segni concreti del pentimento ( can. 3 ) e, quando si manifestano, riduce il periodo di penitenza a cinque e anche a tre anni per l'aborto volontario ( can. 33 ) e a un anno per l'aborto involontario causato da negligenza ( can. 34 ).

Tale prassi, affidata nei casi concreti al discernimento del confessore, è valida anche oggi nella Chiesa ortodossa.

La posizione protestante.

A proposito dell'aborto ( che oggi chiamiamo interruzione volontaria della gravidanza ), il giudizio dei Riformatori del XVI scc. non si scostò da quello della tradizione cristiana: per Luterò la procreazione di un bambino "è un grande, incomprensibile miracolo di Dio", mentre Calvino, commentando Es 21,22, afferma che "il feto, benché rinchiuso nel grembo di sua madre, è già un essere umano ( homo ) ed è quasi un crimine mostruoso privarlo della vita di cui non ha ancora cominciato a gioire".

Oggi tutte le Chiese protestanti - come tutte le Chiese cristiane - sono ovviamente contrarie all'aborto, lo combattono, lo rifiutano recisamente come mezzo di controllo demografico.

Ma molte di loro ( in particolare le grandi chiese protestanti storiche: luterane, riformate, battiste, metodiste ) sono per lo più favorevoli a una legislazione che non criminalizzi automaticamente l'aborto e lo autorizzi in determinate circostanze, offrendo alle donne adeguata assistenza sanitaria in strutture pubbliche.

Fondamentalmente per due ragioni: per combattere la piaga invisibile ma terribile dell'aborto clandestino, e per salvaguardare il diritto delle donne di disporre in ogni circostanza del loro corpo.

D'altra parte è evidente che la vita è vita fin dal suo concepimento e che l'obbligo morale e sociale, individuale e collettivo, della sua tutela e difesa non può non estendersi a tutto il processo che normalmente sfocia nella nascita di una creatura umana.

L'estrema complessità del problema, nel quale entrano in gioco e sovente in conflitto considerazioni di carattere etico, filosofico, teologico, giuridico, sanitario, psicologico e sociale, impone a tutti, credenti e laici, di evitare la scorciatoia di giudizi sommari ( come "l'aborto è omicidio" o, sul versante opposto, "il feto è un'appendice" ), che semplificano talmente la realtà da deformarla.

Per vincere l'aborto, che è e resta un male, occorre rimuoverne le cause, educando a una procreazione responsabile e promuovendo l'istituto dell'adozione.


Magistero

Tra i documenti del magistero, la più antica condanna dell'aborto si trova nel provinciale Concilio di Elvira ( attuale Granada ), tenutosi in una data non precisabile tra il 300 e il 312. Il canone 63 impone la scomunica ( cioè l'esclusione dall'Eucaristia, con preghiere e penitenze particolari ) per tutta la vita per le cristiane che concepiscono da un adulterio e abortiscono il figlio; il canone 68 poi procrastina il Battesimo alle catecumene che hanno commesso lo stesso peccato, fino al punto di morte.

Il di poco successivo Concilio di Ancira ( attuale Ankara ), del 314, alleggerisce la pena canonica per le donne che abortiscono, fissandola a dieci anni di penitenza.

Il Concilio di Lerida ( 524 ) abbassa la pena a 7 anni, per la donna che ha abortito o commesso infanticidio neonatale, mentre la mantiene valida fino alla morte per coloro che praticano l'aborto.

Il concilio ecumenico Costantinopoli III ( 680-681 ) equipara le donne che abortiscono alle omicide.

Il locale Concilio di Magonza ( 847 ), che cita sia i concili di Elvira che Lerida, ritorna a una pena di 10 anni per i colpevoli di aborto.

Oltre ai canoni di questi antichi concili, vi sono stati anche pronunciamenti di papi circa l'aborto:

Gregorio III ( † 741, fino a 10 anni di penitenza per infanticidio e aborto, anche prima del 40° giorno );

Stefano V ( † 891, aborto e infanticidio sono omicidio ),

Sisto V ( 1588, identificando gli abortisti con gli omicidi, oltre alla scomunica a vita arriva a ipotizzare per essi, dal punto di vista civile, la pena capitale ),

Gregorio XIV ( 1591, giudica eccessivo l'intervento del predecessore, "acceso di zelo di giustizia", e lo invalida ),

Innocenzo XI ( 1679, condanna posizioni lassiste a favore dell'aborto ),

Pio IX ( 1869 ),

Leone XIII ( in diversi interventi tra 1889 e 1902, accetta l'aborto o la nascita anticipata solo come mezzo medico per salvare la vita della partoriente in sicuro pericolo ),

Pio XI ( 1930, l'aborto è un "gravissimo delitto" in quanto "uccisione diretta di un innocente" ),

Pio XII ( 1944; 1951, dove afferma che il feto "ha il diritto alla vita immediatamente da Dio, non dai genitori" ),

Giovanni XXIII ( 1961, "la vita umana è sacra: fin dal suo affiorare impegna direttamente l'azione creatrice di Dio" ).

Paolo VI, enciclica Humanae vitae

25-7-1968

Afferma tra l'altro che "è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l'interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l'aborto direttamente voluto e procurato".

CEI, Il diritto a nascere

11-1-1972

Discorso Paolo VI

9-12-1972

Quindi non vi è nessun uomo, nessuna autorità umana, nessuna scienza, nessuna "indicazione" medica, eugenica, sociale, economica, morale, che possa esibire o dare un valido titolo giuridico, per una diretta deliberata disposizione sopra una vita umana innocente, vale a dire una disposizione che miri alla sua distruzione, sia come a scopo, sia come a mezzo per un altro scopo, per sé forse in nessun modo illecito.

Anzitutto la dignità della persona umana, che viene lesa non solo nella innocente vittima dell'uccisione, ma nella madre stessa che volontariamente a ciò si adoperi, ed in quanti - medici od infermieri - cooperino all'aborto volontario.

Congr. Dottrina della fede: Dichiarazione sull'aborto procurato

18-11-1974

CEI, Aborto e legge di aborto

27-2-1975

Catechesi Paolo VI

7-6-1978

La vera pietà per le difficoltà e le angustie della vita umana non consiste nel sopprimere chi è frutto o del fallo o del dolore umano, ma nel sollevare, consolare, beneficare la sofferenza, la miseria, la vergogna della debolezza, o della passione umana: ucciderlo non mai!

CEI, Comunità cristiana e accoglienza della vita umana nascente

8-12-1978

Cons. per la famiglia, Carta dei diritti della famiglia

22-10-1983

Congr. Dottrina della fede, Istruzione Donum vitae

22-2-1987

Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione

Tratta anche di alcune biotecnologie di fatto abortive, come sperimentazioni embrionali, fecondazione assistita e ( potenzialmente ) diagnosi prenatale ( che può concludersi con IVG nel caso di "tare genetiche", p.es. Down

CEI, Evangelizzazione e cultura della vita umana

8-12-1989

Giovanni Paolo II, enciclica Evangelium vitae

25-3-1995

Vera e propria magna charta della vita nascente, dove l'aborto viene autorevolmente condannato: « Con l'autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi – che a varie riprese hanno condannato l'aborto e che nella consultazione precedentemente citata, pur dispersi per il mondo, hanno unanimemente consentito circa questa dottrina – dichiaro che l'aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente.

Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale.

Nessuna circostanza, nessuna finalità, nessuna legge al mondo potrà mai rendere lecito un atto che è intrinsecamente illecito, perché contrario alla Legge di Dio, scritta nel cuore di ogni uomo, riconoscibile dalla ragione stessa, e proclamata dalla Chiesa. La valutazione morale dell'aborto è da applicare anche alle recenti forme di intervento sugli embrioni umani che, pur mirando a scopi in sé legittimi, ne comportano inevitabilmente l'uccisione » ( Evangelium vitae, nn. 62-63 )

Concilio Ecumenico Vaticano II

Offesa di Dio, attentato alla civiltà GS 27
Abominevole delitto GS 51

Catechismo della Chiesa Cattolica

Culto della vita e aborto 2270
Cooperazione all'aborto 2272
Precetti morali e aborto 2271
  2274
  Comp. 470

Codice Diritto Canonico

irregolarità per l'Ordinazione 1041 n. 4
pena per chi lo procura 1398

Compendio della dottrina sociale

Illiceità dell'aborto procurato. 155
Aborto, abominevole delitto 233
Parlamentari cristiani e legge abortista 570