Antropocentrismo

Dizionario

1) Concezione filosofica che assegna all'uomo una posizione centrale nell'universo


Tendenza a considerare l'uomo ( anthropos in greco ) al centro della visione e della finalità dell'universo, ovvero di un tema particolare.

È quella presentazione delle verità teologiche che ha una cura particolare di mettere a fuoco il destinatario di ogni verità e di ogni dono dall'alto, ossia l'uomo con i suoi problemi, le sue domande, le sue attese, le sue grandezze e miserie.

Un'impostazione antropocentrica non dimentica Dio ne Cristo, ma li pone piuttosto al vertice di una ricerca che parte dal concreto dell'esperienza umana interrogata.

Approccio alle questioni teologiche che prende l'umana esperienza come punto di partenza e guida conseguente.

Quando questo approccio degenera fino a fare degli esseri umani il centro e l'unica misura di tutte le cose, l'antropocentrismo rende impossibile una teologia genuina.

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L'antropocentrismo ( dal greco άνθρωπος, anthropos, "uomo, essere umano", κέντρον, kentron, "centro" ) è la tendenza - che può essere propria di una teoria, di una religione o di una semplice opinione - a considerare l'essere umano, e tutto ciò che gli è proprio, come centrale nell'Universo.

Una centralità che può essere intesa secondo diversi accenti e sfumature: semplice superiorità rispetto al resto del mondo animale o preminenza ontologica su tutta la realtà, in quanto si intende l'uomo come espressione immanente dello spirito che è alla base dell'Universo.

Storia

Aspetto che accomuna le più rilevanti posizioni filosofiche occidentali apparve prima della metà del XX secolo è la tendenza ad assumere una prospettiva human-centered, incapace cioè di decentrare la riflessione etica, ontologica ed epistemologica dagli agenti umani.

Un primo esempio di concezione antropocentrica si ha nel V secolo a.C. con Socrate e i sofisti.

I filosofi presocratici si interessavano principalmente della natura circostante.

Con Socrate e i sofisti, invece, l'attenzione si sposta sull'uomo.

Protagora diceva che l'uomo è la misura di tutte le cose, ponendo quindi l'essere umano come criterio al centro dell'universo.

Conosci te stesso, diceva Socrate, proprio indicando la superiorità della conoscenza dell'uomo stesso rispetto alla conoscenza della natura.

Dopo questi filosofi, tutti si occuparono di studiare l'uomo, quasi tralasciando lo studio di come sia nato l'universo, argomento di cui si erano occupati tutti i presocratici.

Con il periodo medioevale, con Agostino mantiene e rafforza la visione antropocentrica e mistica dell'universo, ponendo l'uomo al centro del mondo in quanto maggiore creazione di Dio e nel fare questo si affida alla visione aristotelica del cosmo, l'uomo ha la responsabilità di scegliere tra bene e male, ed in questo è unico tra i viventi, essendo l'unico dotato di intelletto, San Tommaso rafforzerà ulteriormente tale concezione.

Nel corso di questo lungo periodo saranno in pochi a contestare la visione di un mondo antropocentrico, Giordano Bruno contesterà la finitezza dell'universo, l'esclusiva umana dell'intelletto e sosterrà addirittura la metempsicosi, tutto questo gli costerà la vita, vittima della Santa Inquisizione nel 1600.

Galileo Galilei riuscirà invece a salvare la sua vita, abiurando alla visione copernicana dell'universo, che toglieva la terra dal centro del cosmo per piazzarvi il Sole.

A Galileo Galilei si deve il grandissimo contributo della formulazione del metodo scientifico, che poco alla volta riuscirà a separare la filosofia dalla teologia e l'uomo da Dio.

Il più grande colpo contro la prospettiva antropocentrica viene sferrato nel 1859 ad opera di Charles Darwin, che nel saggio L'origine delle specie esporrà il meccanismo della selezione naturale, del quale l'uomo sarebbe un prodotto casuale assieme alle altre creature che convivono con noi nel nostro pianeta.

Diffusione e limiti

Bisogna precisare che l'antropocentrismo è una caratteristica peculiare delle civiltà euroasiatiche: le culture africane, precolombiane e aborigena non contemplano tale visione del cosmo, per cui è probabile che le visioni antropocentriche del mondo siano inevitabili in tutte le civiltà che sviluppano un certo livello tecnologico, con relativa antropizzazione del territorio.

La visione antropocentrica continua a contraddistinguere la civiltà globale contemporanea, spesso osteggiata da correnti etiche non antropocentriche, come l'antispecismo o l'ecologia profonda, che invece cercano di reinserire l'essere umano nella natura.

Ciò che, infatti, le etiche dell'ambiente generalmente sottolineano essere un aspetto particolarmente problematico dell'impostazione antropocentrica è il suo considerare l'essere umano come il legittimo proprietario o conquistatore della natura.

Anche dal punto di vista del cosiddetto antropocentrismo debole, nobile o autocritico, difeso in anni più recenti da autori quali soprattutto John Passmore, il modo migliore di tutelare la natura non consiste nell'attribuirle un valore intrinseco, ma nel difenderne maggiormente i valori strumentali ( alimentari, energetici, estetici, spirituali o culturali ), evidenziando la connessione esistente tra questi e il benessere dell'umanità presente e futura.

Le riflessioni riconducibili a quest'ultima e più recente posizione costituiscono la spesso implicita base di riferimento della cultura cosiddetta green e dello "sviluppo sostenibile", e rappresentano perciò anche il sostrato fondamentale delle opinioni ambientaliste oggi più diffuse e accettate all'interno del senso comune.

La maggior parte degli esponenti filosofici di questa prospettiva sostengono che si debba allargare l'ambito della considerazione morale verso la natura, portandole rispetto e prendendosene cura, senza però anche estendere la comunità morale oltre l'umanità.

Viene in sostanza riconosciuta l'importanza di non fondare simmetricamente il concetto di dovere su esigenze che la controparte possa autonomamente sollevare, ma non viene comunque messo in discussione che sia assurdo cercare di conferire diritti all'ambiente non-umano: bisogna dunque limitarsi a rivolgere, seppure asimmetricamente, lo sguardo morale su di esso.

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Esperienza mistica

L'esperienza mistica è dovuta fondamentalmente non alla nostra ascesi, ma alla autocomunicazione di Dio nello Spirito di Cristo all'anima.

Lo Spirito comunica tale esperienza in forme varie attingendo dall'inesauribile ricchezza dei suoi carismi.

Egli la offre armonizzata sull'essere socio caratteriale della persona che eleva allo stato mistico, perché ama rispettare la configurazione personale del soggetto beneficiato: s'immedesima con il suo stato umile valorizzandolo nel suo essere specifico.

Ne è testimonianza lo stesso Verbo che, con la collaborazione dello Spirito, si è fatto carne: ha assunto la carne nostra segnata dal peccato ( 2 Cor 5,21 ).

Il condizionamento umano dell'esperienza mistica indica non la grandezza nostra, ma che Dio è infinitamente dono caritativo verso di noi nel rispetto dei nostri limiti.

Un discorso spirituale sull'esperienza mistica include necessariamente la considerazione sul come noi ci offriamo al dono carismatico ( antropocentrismo ); anzi su come Dio stesso ama unirsi intimamente a noi ( antropomorfismo ).

Nella determinazione delle forme del vissuto mistico, oltre all'apporto primario dello Spirito di Cristo e del condizionamento antropologico, sono operanti molteplici altri fattori.

Qui il discorso di proposito si limita a mettere solo in luce quale condizionamento rechi l'aspetto antropologico attraverso talune sue configurazioni socio culturali.

I. Concezione antropologica greco romana e biblico ebraica.

Nella concezione antropologica classica greco romana l'uomo è ritenuto stimabile a motivo della sua facoltà razionale.

Se viene valutato delimitato nella sua esistenzialità sensibile, è esaltato per le sue facoltà spirituali.

Lo Spirito nel comunicare il carisma mistico in Cristo rispetta l'autocoscienza del credente di possedere nel suo intimo un valore inestimabile che lo predispone alla comunione con Dio.

È quanto viene affermato nell'esperienza mistica renano fiamminga dell'essenza, secondo la quale l'unione mistica con Dio avviene nel fondo estremo dell'anima, proprio perché questa profondità interiore è ritenuta imparentata con il mistero di Dio.

Meister Eckhart precisava: « Chi vuol penetrare nel fondo di Dio, in ciò che esso ha di più intimo, deve prima penetrare nel suo proprio nel fondo, in ciò che esso ha di più intimo.

In effetti, nessuno può conoscere Dio se non conosce prima se stesso ».

Nella concezione antropologica biblico ebraica l'uomo è non tanto « ratio », ma creatura fatta a immagine di Dio ( cf Gen 1,26-27 ).

Egli giace tra due dati esperienziali: dal profondo di se stesso aspira al totale infinito e, insieme, rimane amareggiato dalla parzialità delimitata dei propri esiti.

Questo sfondo antropologico biblico orienta e predispone a comprendere talune forme di esperienza mistica.

La prima forma si delinea nell'elevata visione esperienziale mistica di s. Agostino e di s. Bernardo.

Essi vivono nell'inquietudine di riuscire ad appagarsi in Dio.

Al dire di s. Gregorio di Nissa l'anima è tutta sospinta dalla propria immagine originaria di Dio, così da sapersi immergere nel divino increato.

Su questo sfondo antropologico, s. Tommaso riterrà che l'uomo ha bisogno di Dio per attuarsi in una propria beatitudine definitiva.

Dio non viene asservito alla propria felicità, ma è amato anche perché nostra felicità.

Su questo medesimo sfondo antropologico biblico fiorirà successivamente la stessa esperienza mistica sponsale, secondo la quale l'anima è tutta unita a Dio, godendo e partecipando al suo medesimo amore secondo la simbologia nuziale.

Matilde di Magdeburgo si sente dire da Dio: « Nel mio regno vivrai quale novella sposa e allora ti darò il dolce bacio della bocca.

Tutta la mia divinità vibrerà attraverso l'anima tua e i miei sguardi si specchieranno senza posa nel tuo cuore ».

Invece, in modo del tutto differente, gli Esercizi di s. Ignazio di Loyola concepiscono Dio non come beatitudine dell'uomo, ma come colui che chiama al suo servizio.

« L'uomo è stato creato allo scopo di lodare Dio, di venerarlo e di servirlo e di salvare in tal modo l'anima sua ».

È una forma mistica della vita umana che appare svelata presso la stessa missione svolta da Gesù Cristo.

Egli, « vero cibo e vera bevanda » è apparso in totale dedizione sacrificale al Padre.

Entro questa stessa concezione antropologica biblica si svolge l'esperienza mistica di s. Bonaventura e di Guglielmo di Saint Thierry.

Un'esperienza mistica che tende non solo ad uniformarsi al vissuto mistico di Cristo, ma a condividerlo e a comparteciparlo.

Lo Spirito Santo introduce a convivere il mistero pasquale di Cristo così da essere con lui spiriti risorti.

Allora l'anima e Cristo risorto « si penetrano vicendevolmente a tal punto che ognuno non sa più essere da sé …

Anima nell'anima, mentre una stessa dolce natura divina li attraversa, i due diventano una sola cosa, per sempre ».

La persona umana perde se stessa per diventare membro del Cristo integrale.

II. Cultura antropologica secolare odierna.

Nella cultura contemporanea viene emergendo e diffondendosi un'attenzione prevalente all'antropologia detta « secolare », così da costituirla centro anche della riflessione spirituale.

Si parla di svolta antropologica della teologia spirituale.

Sullo sfondo di questa contemporanea cultura antropologica vengono indicate nuove forme di esperienza mistica con ricchezza di sfaccettature varie.

Ne ricordiamo alcune in forma sintetica.

È affiorata la spiritualità della teologia della liberazione.

Essa è un nuovo umanesimo in cui l'uomo si definisce innanzitutto per la sua responsabilità verso i fratelli e verso la storia » ( GS 55 ).

R. Tonelli invita a realizzare l'intera esistenza spirituale nella meditazione del Cristo, considerato come colui che, attraverso la propria morte in croce, testimonia « l'amore alla vita terrena trascinato fino alle estreme conseguenze ».

A. Rizzi afferma che si vive in modo spirituale mistico qualora si raccolga il comando di Dio a rendersi responsabili del bene creato promuovendolo.

« La gloria di Dio è questa realizzazione dell'umano ».

« Nella creazione e nella redenzione Dio si è fatto antropocentrico; e in questo consiste il suo essersi rivelato come Dio ».

Dio non ambisce a divinizzare l'uomo, « ma lo vuole compiutamente umano ».

Soggiacente a queste proposte mistiche contemporanee sta il presupposto teologico che Dio è tutto donato a noi.

Lo stesso amore divino, che si autocomunica in forma pericoretica tra le Persone divine, è rivolto al bene delle creature.

Dio ignora se stesso, conoscendo unicamente il volto amato della creatura.

In pratica si nega il teocentrismo per sostituirvi un antropocentrismo, confermato dall'antropomorfismo vissuto dal Figlio di Dio incarnato.

Sembra necessario precisare, innanzitutto, che dal lato spirituale non è consentito ripiegarci su noi stessi.

Siamo chiamati, come immagine di Dio, a essere rivolti e donati all'altro, a Dio e ai fratelli, nello Spirito di Cristo.

In secondo luogo, viene trascurata l'esperienza caritativa pasquale della croce, come morire alla carne e risorgere spirito.

La via pasquale è irrinunciabile per una stessa completezza umana ( cf GS 41 ).


Magistero

Catechesi Paolo VI 24-7-1968
la posizione centrale che Dio occupa nella concezione della vita cristiana, in confronto con l'autoidolatria moderna, con l'antropocentrismo
Enciclica Giovanni Paolo II - Dives in misericordia 30-11-1980
Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l'antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uomo in maniera organica e profonda
Catechesi Francesco 16-9-2020
Senza contemplazione, è facile cadere in un antropocentrismo squilibrato e superbo, l'"io" al centro di tutto