Audiovisivi

Dizionario

1) agg. Di strumento che permette di vedere immagini e contemporaneamente ascoltare suoni riprodotti

s.m. ( spec. pl. ) Mezzi audiovisivi


La parola audiovisivo ( AV ) può applicarsi ai mezzi di comunicazione sociale, o mezzi di massa ( stampa, radio, cinema, televisione … ), ai mezzi di gruppo ( diapositive, dischi, video-cassette … ) e all'informatica ( utilizzazione di dati, mediante il computer ).

La catechesi dà una grande importanza al secondo gruppo.

Mentre il libro usa lettere convenzionali per rimandare a parole convenzionali, l'audiovisivo è molto più ricco: voci, suoni, immagini, colori …

Nel campo educativo, si possono usare gli audiovisivi in due modi:

per accompagnare e completare la pedagogia tradizionale ( per esempio: illustrare una conferenza od una lezione con diapositive ),

o come linguaggio nuovo, rivolto soprattutto alla sensibilità, all'immaginazione e all'affettività: far sentire per far pensare, o passare dall'emozione all'idea, dal vissuto al tema, dal globale allo specifico.

Oggi, la catechesi preferisce questa seconda modalità perché è più propria dell'audio visivo moderno e perché contiene più vita, vicinanza e creatività.

Ha, però, anche i suoi limiti: meno precisione e meno strutturazione.

Conseguentemente, l'audiovisivo va completato per la dottrina e la sistematizzazione.

L'audiovisivo può essere usato per motivare, coscientizzare, informare, analizzare, approfondire, valutare, celebrare, esprimere, ecc.

Tuttavia, ciò che importa di più non è cambiare metodi, ma mentalità.

La mentalità audiovisiva contemporanea si accosta al vangelo attraverso il vissuto, dell'uomo d'oggi; cerca di trasformare l'uomo e la società; valorizza molto la sensibilità, l'immaginazione, e l'affettività; dà la priorità al gruppo che ha la possibilità di prendere la parola e di condividere.

Nel gruppo, le nostre esperienze e conoscenze rimangono umanizzate e socializzate, relativizzate, criticate ed equilibrate, arricchite con la tradizione.

Però, l'elemento chiave è l'animatore cristiano: deve essere un testimone ( " è lui il primo audiovisivo " ); deve vivere incarnato negli audiovisivi, nel nostro mondo e nel vangelo, e saperli interpretare agli altri.

A poco o a niente servono gli apparecchi e i materiali senza la formazione adeguata.

Non basta consumare gli audiovisivi: bisogna anche produrli ed esprimerli.

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Il termine audiovisivo ( AV ) si riferisce ad una tipologia di informazione costituita da suono e video.

Può pertanto riferirsi ad una proiezione di diapositive accompagnata da un commento parlato e/o musicale, una proiezione di diapositive durante una lezione o una conferenza, ma anche un film o un programma televisivo possono essere considerati un audiovisivo.

Anche le presentazioni nel campo del commercio e/o aziendale sono da considerarsi degli audiovisivi, visto che alle parole pronunciate dal relatore si accompagnano le immagini delle diapositive proiettate su uno schermo, o da un proiettore o direttamente da un computer attraverso un videoproiettore.

Il termine audiovisivo è usato di solito nel gergo industriale, per esprimere media costituiti da video e audio insieme.

Nei paesi occidentali, vi è stata una grande diffusione di computer basati su materiali audiovisivi nel settore dell'istruzione, avendo ormai, la quasi totalità delle scuole e istituti di insegnamento superiore installato impianti di proiezione, spesso utilizzando le lavagne interattive.

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Il linguaggio audiovisivo è in realtà un macrolinguaggio, risultante della fusione di più linguaggi costitutivi.

Le opere realizzate con il linguaggio audiovisivo hanno bisogno dell'apporto separato e convergente delle specifiche varianti di altri linguaggi.

Ognuno di essi è a sua volta una versione particolare di linguaggi più generali, preesistenti a quello audiovisivo.

Si tratta di linguaggi ( con proprie autonome tradizioni, evoluzioni e regole ) che, integrati nel più complesso linguaggio audiovisivo, si adattano e si trasformano dando vita a varianti linguistiche.

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Quando parliamo di audiovisivo ci riferiamo ad una tipologia di comunicazione costituita da suono e video: una proiezione di diapositive accompagnate da un commento musicale o parlato, una presentazione aziendale come quella che ha luogo durante una conferenza o situazioni in cui le parole del relatore sono accompagnate da immagini su uno schermo sono tutti esempi diversi di audiovisivo.

Il termine audiovisivo è nato negli anni Trenta, nel periodo in cui la diffusione del cinema sonoro e la fotografia guadagnavano sempre maggiore attenzione ed in cui la riproduzione del suono iniziava ad avere un grande rilievo.

L'audiovisivo si intende quindi, come vedremo più avanti, anche come nuova tecnologia della comunicazione, fondata sulla riproduzione tecnica dell'immagine e del suono, ovvero sulla registrazione.

Oltre a questo significato, c'è quello utilizzato invece a livello industriale o politico: in tale caso, quando si parla di audiovisivo, ci si riferisce all'industria che si occupa della produzione di film, di programmi televisivi, di video didattici, di dischi e di CD multimediali.

Siamo comunque di fronte ad un termine che, sulla base della sua sola etimologia, non è del tutto in grado di autodefinirsi: basti pensare al fatto che anche il teatro potrebbe essere considerato un audiovisivo, perché usa contemporaneamente sia l'immagine che il suono.

Il linguaggio audiovisivo

Il linguaggio audiovisivo è una fusione di più linguaggi: una sorta di macro-linguaggio che si sviluppa da linguaggi preesistenti e con proprie autonome tradizioni che, a seguito di evoluzioni e nuove regole, hanno dato luogo a varianti linguistiche tali da costituirne uno nuovo, più complesso ed articolato.

Questa è la ragione per cui le opere audiovisive hanno bisogno dell'apporto separato e convergente di diverse altre discipline e delle loro specifiche varianti linguistiche.

Alla pari di ogni linguaggio, anche quello audiovisivo si compone di una precisa grammatica e sintassi, per cui gli elementi che lo costituiscono stanno tra loro secondo una scrittura significante che determina strutture espressive ben precise.

La struttura del linguaggio audiovisivo va allora indagata analizzando gli aspetti che riguardano l'inquadratura, ovvero l'elemento base di questo linguaggio, e il montaggio, che possiamo definire come un espediente tecnico che articola il materiale audiovisivo attraverso tagli e giunture, con la funzione primaria di organizzare il flusso delle immagini in un testo dotato di partizioni riconoscibili.

Chiaramente, il linguaggio audiovisivo ai suoi albori non è quello che conosciamo oggi; al contrario ha elaborato solo nel tempo una vera e propria grammatica, allo scopo di costruire efficacemente uno spazio illusivo attorno allo spettatore.

Tale grammatica è ancora oggi operante – con le dovute varianti – anche nelle forme audiovisive che si sono originate e modificate a seguito della digitalizzazione dei supporti.

Le principali trasformazioni storiche dei linguaggi audiovisivi vanno comunque intese come parte di una più generale storia della comunicazione novecentesca e, se volessimo partire dalla nascita del cinema per giungere sino alla contemporaneità, potremmo considerare come tappe fondamentali il cinema muto europeo, il cinema hollywoodiano, il neorealismo, il nuovo cinema degli anni Sessanta, la New Hollywood ed cinema postmoderno, da comprendere necessariamente attraverso l'analisi approfondita di una selezione di testi filmici particolarmente rappresentativi dal punto di vista socioculturale ed estetico e stilistico.

L'audiovisivo nella scuola

Una delle accezioni possibili del termine audiovisivo può essere collocata nel contesto didattico-educativo, in cui riferirsi agli audiovisivi nella forma plurale indica i vari sussidi che la tecnologia mette a disposizione degli operatori.

Quando si parla di sussidi, di strumenti o di mezzi audiovisivi, ci si riferisce sia ad hardware come proiettori di vario tipo, registratore audio e video, sistemi d'amplificazione, macchina fotografica, ecc. sia a software di montaggio o a programmi di apprendimento preparati dalle case editrici o prodotti in proprio dall'insegnante o dal gruppo degli allievi.

Già negli anni Cinquanta la scuola ha iniziato a maturare la convinzione che i sussidi audiovisivi avrebbero potuto mostrarsi molto validi nel sostenere l'azione didattica e nel potenziare l'apprendimento; poco più avanti, intorno agli anni Sessanta, crebbero gli investimenti per proiettori, epidiascopi e registratori.

Solo dopo giunse anche la consapevolezza di un errore di prospettiva, per cui ingenuamente si era creduto di poter integrare facilmente l'audiovisivo nella didattica, senza l'apprendimento di alcune tecniche di base.

Anche oggi – parecchio lentamente – matura la consapevolezza che la nostra cultura si è andata arricchendo non solo di strumenti tecnici ma soprattutto di un linguaggio molteplice e particolarmente potente, di fronte al quale è però necessario procedere all'applicazione degli strumenti didattici utili a sviluppare nell'alunno la capacità di analisi del linguaggio audiovisivo.

Con l'espressione media education si vuole pertanto indicare un'attività educativa e didattica che lavori sulle competenze necessarie agli alunni per conoscere i diversi media e le loro caratteristiche, ma che consenta loro anche di sviluppare una padronanza delle tecniche necessarie alla loro produzione.

Conoscere tali dinamiche è soprattutto molto utile per una comprensione critica dei mezzi di comunicazione e per una efficace base di partenza per la produzione di testi che usano i linguaggi e le tecnologie dei media.

Tutte le tipologie di comunicazione possono essere ricondotte ad un sistema che contiene, tra gli altri, tre elementi fondamentali: l'emittente, il destinatario, ed il messaggio.

Affinché il messaggio sia comprensibile, deve essere elaborato avvalendosi di un linguaggio in quanto complesso sistema di segni visivi e/o auditivi, ognuno dei quali si riferisce in maniera tendenzialmente univoca ad altrettanti significati.

Riguardo alla comunicazione audiovisiva dobbiamo quindi dire che si basa su diversi linguaggi costitutivi, come ad esempio la musica per film, che è una variante del vasto mondo del linguaggio musicale ma anche una parte del linguaggio audiovisivo più in generale.

Dal momento che tale comunicazione si presenta unitaria solo nella sua forma condensata e concreta è necessario analizzare attentamente, a partire dall'opera, i diversi linguaggi autonomi, risalendo ai vari contributi ed anche a come influiscono nel contesto generale dell'opera audiovisiva.

La ripresa

Le inquadrature di un film non sono l'insieme di un numero molto alto di fotografie in movimento: non si possono considerare come una replica moltiplicata della tecnica fotografica, ma vanno diversamente intese come composizioni mobili che hanno semmai in comune con la fotografia la sola natura evolutiva da un punto di vista cronologico.

Scopo dell'inquadratura cinematografica è descrivere gli eventi nel loro mutamento, i gesti e le azioni che comportano un passaggio significativo da una situazione a un'altra.

In semiotica, la funzione dell'inquadratura è in rapporto dialettico con quella svolta dal montaggio, ovvero l'unione sequenziale di più inquadrature differenti.

Pertanto, la variazione delle inquadrature all'interno dell'illusione di continuità che l'immagine proiettata sullo schermo fornisce allo sguardo dello spettatore è uno dei fondamenti della narrazione cinematografica.

La corretta analisi del concetto di inquadratura può comunque complicarsi ulteriormente quando si considera diversamente il punto di vista e il punto di ascolto, per cui al montaggio visivo si affianca un montaggio sonoro, spesso asincrono rispetto all'inquadratura o difforme sul piano della percezione della spazialità.

Può accadere allora che il suono anticipi l'inquadratura successiva, o prolunghi in essa la precedente, o che alla distanza del personaggio inquadrato dalla macchina da presa non corrisponda adeguata e credibile distanza sonora.

Sotto il profilo tecnico, l'inquadratura va dunque considerata come la risultante di quattro processi distinti: la ripresa visiva e quella fonica, il montaggio e il missaggio.

L'illuminazione

Se il set deve essere illuminato per rendere visibile la scena, è vero ancor di più che l'atmosfera generata dalla particolare tecnica di illuminazione scelta serve a comunicare significati ulteriori rispetto alla sola narrazione.

La specificità di questo linguaggio risiede allora non soltanto nel rendere l'immagine leggibile, suggestiva, espressiva o verosimile – nascondendo sempre le fonti dell'illuminazione – ma anche nel saper mettere in relazione la resa fotografica con l'apparato scenico nella sua complessità.

Ai fini della messa in scena, l'illuminazione può essere dunque studiata considerando due aspetti principali:

• luminosità e contrasto, ovvero la percezione di intensità luminosa che una luce emette o un oggetto riflette e la differenza tra l'area più scura e l'area più chiara dell'inquadratura;

• colore, che non è mai percepito come puro ma più o meno intenso o più o meno scuro, con qualità che ne definiscono caratteristiche importanti per l'analisi della resa figurativa, ovvero tinta, saturazione e luminosità.

L'ambientazione

Attraverso la costruzione di ambienti o la scelta di luoghi già esistenti e la costruzione o scelta di oggetti, i personaggi di un'opera audiovisiva interagiscono con la realtà che li circonda, vera o fittizia che sia.

Il linguaggio dell'ambientazione può essere considerato come una variante dei più generali architettura, arredamento e design ed è sicuramente legato al linguaggio scenografico del mondo teatrale.

Sicuramente, se il cinema delle origini detiene diversi punti di contatto con la scenografia teatrale, nelle opere contemporanee il linguaggio dell'ambientazione è più concreto e complesso ed è particolarmente propenso all'impressione di verosimiglianza, che lo spettatore trae anche attraverso un sapiente uso dell'inquadratura.

I professionisti che lavorano in questo ambito costituiscono probabilmente il comparto più numeroso della realizzazione di un'opera: dallo scenografo al decoratore, all'arredatore, al location manager.

Negli ultimi anni questo linguaggio si è fortemente intrecciato con quello dei videogiochi, dunque l'ambientazione gioca un ruolo ancor più decisivo in funzione delle intersezioni con la matrice narrativa.

La costruzione virtuale di ambienti e location impone d'altro canto una maggiore competenza dal punto di vista professionale, così come una maggiore flessibilità in capo alla libertà creativa e al potere della rappresentazione scenica.

La caratterizzazione e il linguaggio del corpo

Per quanto riguarda il cinema, il linguaggio della caratterizzazione deriva dal mondo del teatro, ma può presentare, a seconda del genere di riferimento, degli influssi derivanti dal circo, dal vaudeville o dal varietà.

Chiaramente, a loro volta, questi linguaggi sono parte di tradizioni più ampie, che nella cinematografia si uniscono ad aspetti come il make up o l'acconciatura, tutt'altro che puri espedienti estetici quanto piuttosto aspetti espressivi che si rivelano di fatto indici dalla valenza comunicativa.

Sebbene non sia questa la sede per un approfondimento del tema, la caratterizzazione fisiognomica di un personaggio non è poi così distinta dall'aspetto antropologico o dalla caratterizzazione sociale, o da aspetti ideologici e psicologici.

Un attento sguardo a questi aspetti suggerisce un approccio al linguaggio cinematografico sicuramente dettagliato e passibile di ulteriori sviluppi e consentirebbe, tra l'altro, un'analisi della dimensione corporea come spettro della comunicazione non verbale.

Il montaggio

La fase di postproduzione è costituita in maniera dominante dalla fase di montaggio, che articola di fatto l'opera cinematografica attraverso tagli e giustapposizione.

Costituendosi dunque come linguaggio di base del cinema, il montaggio non presenta grandi relazioni con altre forme espressive e la sua tradizione è quindi tutta interna alle opere cinematografiche e televisive.

Il montaggio, essendo un processo di articolazione e ricomposizione del materiale audiovisivo attraverso tagli e giunture, ha la funzione primaria di organizzare il flusso delle immagini in un testo dotato di partizioni riconoscibili.

La discontinuità introdotta dal montaggio fa in modo che il flusso delle immagini assuma un prevalente tenore discorsivo e che lo spettatore vi possa discernere una strutturazione narrativa.

Il montaggio coopera così in modo potente all'organizzazione di quell'attività, verosimilmente nata insieme all'esperienza umana del tempo, che consiste nel seguire una storia.

l suono e la musica

La musica del film può essere inserita all'interno della scena o esserne del tutto estranea.

Questa è la discriminante per cui si distinguono suoni diegetici da suoni extra diegetici, ovvero inseriti in fase di post-produzione con precisi scopi: emozionare, segnalare un momento di particolare attenzione, ecc …

Quando la musica accentua le impressioni suggerite dallo schermo siamo di fronte a un uso convergente della musica, detto sincronismo; a volte invece la musica è chiaramente in contrasto con ciò che la scena mostra e parliamo quindi di un uso divergente della musica, detto asincronismo.

Funzioni della musica nel film possono essere le seguenti:

• sottolineare ciò che le immagini dicono, esprimendo musicalmente il ritmo e i movimenti delle scene;

• esprimere i sentimenti dei personaggi per far vivere allo spettatore le stesse emozioni del protagonista;

• contestualizzare l'immagine fornendo ulteriori indizi sul luogo e sul tempo in cui si svolge la scena;

• anticipare gli avvenimenti successivi facendo prevedere allo spettatore quello che succederà di lì a poco oppure prolungare l'azione precedente,

• rievocare qualcosa che appartiene al passato o a un luogo lontano;

• collegare diverse scene, apparentemente separate l'una dall'altra.

La ripresa e l'acquisizione di suoni e rumori ( comunque parte della colonna sonora ) obbedisce invece a criteri linguistici che riguardano direttamente la sintassi del cinema inteso come giustapposizione di inquadrature diverse.

Ciò significa che un primo piano può valorizzare una voce in modo diverso rispetto a quanto accade in un piano americano e che ciascun punto di vista deve adeguare la ripresa sonora in funzione di una verosimiglianza che renda la dimensione uditiva credibile per lo spettatore.

Dall'Audiovisivo al Multimediale

Il linguaggio multimediale

Una soddisfacente definizione di multimediale può essere quella che rimanda ad un uso contemporaneo e sinergico di molti media.

Secondo questa visione, prodotti multimediali sono quelli che utilizzano strumenti comunicativi di tipo diverso, come testo, grafica, animazione o suono.

Il termine è utilizzato in riferimento

a strumenti hardware ( per es., computer multimediali ),

software ( programmi multimediali ),

progetti comunicativi, editoriali e didattici ( editoria multimediale, didattica multimediale ),

ambienti attrezzati ( aule multimediali, sale multimediali ),

linguaggi e stili espressivi ( linguaggi multimediali ).

L'uso del termine multimediale, specialmente in relazione al cinema, è oggi abbastanza ambiguo: questo perché nel corso degli anni l'espressione multimedialità ha assunto diverse connotazioni, distaccandosi dalla semplice identificazione come forma di comunicazione caratterizzata dalla compresenza ed interazione di più linguaggi ( derivante dal latino, il termine multimedia è composto dai termini latini multi e media, plurale di medium, nel senso di mezzo, dispositivo di elaborazione delle informazioni ).

Lo studioso Roberto Maragliano ha inteso la multimedialità come confluenza di tre tradizioni mediali e culturali:

quella della stampa, caratterizzata da oggettività, analiticità, sistematicità e chiusura;

quella dell'audiovisione, dove sono presenti la soggettività, la globalità, l'apertura;

quella dell'interattività, dove l'utente ha funzione co-autoriale.

Anche la ricerca psicologica ha contribuito ad ampliare il significato del termine, distinguendo due forme di multimedialità, la prima come formato di presentazione che utilizza più canali sensoriali e la seconda come processo cognitivo che consente l'acquisizione di nuove conoscenze.

Per capire quando possiamo definire multimediale un oggetto o testo, Giovanna Cosenza propone di chiarirlo attraverso il concetto semiotico di testo sincretico, ovvero un testo in cui la stessa istanza di enunciazione mette in gioco una pluralità di linguaggi di manifestazione, cioè più sistemi semiotici eterogenei.

Spiega inoltre che il termine multimedialità è utilizzato in senso ristretto, sonoro, perfezionandone in seguito il rendimento; dal cinema in bianco e nero si è passati a quello a colori e per quanto riguarda la visione in sé, il formato panoramico ha ampliato a sufficienza le dimensioni ed insieme al miglioramento della qualità della risoluzione dimostrano ampiamente come gli spettatori siano attratti dal coinvolgimento totalizzante promesso da questi mezzi di comunicazione.

Fisiologia e cultura Imitando le modalità percettive tipiche degli umani, attraverso gli elementi che abbiamo già visto, il linguaggio audiovisivo si configura quindi come sistema di comunicazione che agisce in parte in accordo alla fisiologia del nostro organismo, ma in parte anche seguendo convenzioni culturali riconoscibili e ritenute condivise.

Per chiarire questo duplice aspetto possiamo portare due diversi esempi.

La nostra attenzione viene generalmente catturata da qualsiasi cosa sia in movimento, ed in quanto spettatori obbediamo ad un ordine del nostro apparato percettivo occhio – cervello che ha il suo retaggio nell'atteggiamento dei nostri antenati al momento della cattura di prede, di attacco o di pericoli.

Da questo comportamento proviene una regola del linguaggio audiovisivo molto importante: quando si vuole che l'attenzione del pubblico sia concentrata su un personaggio, è meglio non far muovere altri elementi all'interno dell'inquadratura; al contrario, se vogliamo che qualcosa provochi nel pubblico uno stato di sorpresa o semplicemente ne canalizzi l'attenzione, possiamo far muovere repentinamente quel qualcosa all'interno dell'inquadratura.

Il secondo esempio si riferisce invece all'aspetto che riguarda le cosiddette convenzioni culturali, ed ha a che fare sia con la sintassi del cinema acquisita da un assiduo spettatore, sia dalla capacità di riconoscere determinate situazioni perché appartenenti al proprio sistema valoriale e culturale di riferimento.

Se sappiamo associare determinate transizioni tra immagini a dei riferimenti temporali all'interno della vicenda narrata è perché abbiamo una certa conoscenza di quell'effetto e sappiamo correttamente connetterlo al proprio significato.

Si tratta, in questo caso, di regole che si sono formate nella stretta e lunga relazione tra le opere ed il pubblico.

Sia questa dinamica che la capacità o la facilitàa riconoscere e ritenere credibile una determinata porzione di narrazione hanno a che vedere con le nostre convenzioni culturali e, di fatto, confermano e rafforzano quella percezione del linguaggio audiovisivo come forma comunicativa aderente alle regole dettate dalla fisiologia degli apparati percettivi.

Tuttavia, sebbene il linguaggio audiovisivo cerchi di imitare la maniera reale di vedere e sentire, non può riprodurre in nessuna esatta maniera i meccanismi di derivazione fisiologica.

La scansione del reale che il cinema riporta sullo schermo altro non è che una selezione di punti salienti meritevoli dell'attenzione autoriale prima e dello spettatore poi, nient'altro che una presentazione di elementi rilevanti secondo una logica comunicativa complessa, che nell'audiovisivo e nel cinema in particolar modo organizzano le immagini valorizzando la descrizione di un ambiente o più in generale di una storia.

Elaborazione e sintesi

Secondo quanto espresso fino ad ora, sembrerebbe che il ruolo dello spettatore di fronte alla visione di un audiovisivo sia semplicemente quello di recepire i messaggi comunicati da questo linguaggio, senza avere granché modo di opporsi o di integrare, attraverso la propria volontà, quanto espresso da questa forma di comunicazione.

In realtà la nostra facoltà cognitiva, e più semplicemente il diverso grado di concentrazione che immettiamo nell'attività di visione, ci obbliga a prendere in considerazione degli elementi in particolare, che ci attraggono anche indipendentemente dalla nostra volontà.

In un caso come nell'altro, i differenti risultati percettivi attivano dei processi di relazione con altri eventi, immagini, pensieri e categorie che risiedono già nella nostra memoria.

Chiameremo questo lavoro elaborazione: quando ascoltiamo un discorso che ci interessa – nella vita reale come durante la visione – non immagazziniamo semplicemente le informazioni ma determiniamo delle connessioni con materiali mentali preesistenti.

Scegliamo dunque qualcosa su cui concentrare l'attenzione proprio perché lo associamo ad altro che risiede già nella nostra mente e tratteniamo quel qualcosa grazie ad un lavoro volontario.

Anche se nell'opera cinetelevisiva la selezione viene imposta dall'autore ed è solo da lì che procede il lavoro di elaborazione dello spettatore, esiste comunque un esercizio personale ed esclusivo che si attiva con la visione e che ci spinge a giudicare, associare e condividere una determinata immagine.

Tuttavia, anche affermare che il lavoro di elaborazione è libero non è propriamente corretto l'opera orienta, condiziona o blocca tale processo, in maniera marginale e grossolana come anche in maniera più incisiva, spingendoci ad attivare delle leve emozionali ben specifiche e compromettendo di fatto l'assoluta e libera elaborazione di quanto percepito

Anche la sintesi dei materiali narrativi che ci vengono proposti è una matrice di questo necessario processo di elaborazione personale, che si conduce comunque a partire da una organizzazione predefinita che ha, in generale, lo scopo di presentare al pubblico solo ciò che può attirare la sua attenzione o risultare in qualche modo interessante.

La sintesi, effettuata praticamente attraverso il montaggio ( ma definita ancor prima dal lavoro autoriale e di sceneggiatura ) ha lo scopo di disattivare parte del sistema percettivo allo scopo di riassegnare allo spettatore il potere definitivo di interpretazione di quanto effettivamente trasmesso.

L'universalità del linguaggio audiovisivo

La costituzione del linguaggio audiovisivo si pone sin dall'inizio come universale, ovvero come un insieme di particolarità esclusive che hanno lo scopo di imitare la maniera di guardare il mondo da parte degli umani.

Le ragioni sono di tipo storico e sociale, ma più di ogni altra cosa, ancora una volta, di natura fisiologica.

Di fatto, il cinema si diffonde velocemente con una progressiva internazionalizzazione di film proiettati cambiandone solo le didascalie, e sarà solo con l'invenzione del sonoro che si assiste ad una certa differenziazione del linguaggio per area geografica.

Se oggi guardiamo un film indiano, uno giapponese e uno cinese, troveremo delle differenze che non sono relative al linguaggio, ma lo sono semmai rispetto al contenuto.

Non ci riferiamo alla lingua parlata dagli attori che interpretano i diversi personaggi, quanto piuttosto ad un insieme di caratteristiche che rendono riconoscibile un certo tipo di prodotto audiovisivo rispetto ad un altro.

Sia l'evoluzione del linguaggio audiovisivo che il suo complesso di regole poco si prestano ad una ambiguità che diversamente caratterizza più di frequente gli altri linguaggi parlati; al contrario la comprensione della grammatica dell'audiovisivo vuole far comprendere esattamente lo svolgimento della storia suscitando nel contempo determinate emozioni.

È comunque particolarmente complesso redigere una serie di regole che costituiscono una grammatica prescrittiva, ma sarà più semplice basarsi su fondamenti storici e concettuali che individuano i diversi stadi di un linguaggio particolarmente complesso ed in ogni caso mai statico.

Una simile angolazione di veduta è in grado anche di individuare violazioni consapevoli della grammatica in uso, interpretandola nel contesto di una sperimentazione e di un errore volontario rispetto al quanto di consolidato esiste già nell'arsenale artistico di rifermento.


Magistero

CEI Nota Pastorale - Il dovere pastorale delle Comunicazioni Sociali 15-5-1985
È perciò di fondamentale importanza nel campo ecclesiale la presenza di una propria stampa ( quotidiana e periodica ), di editrici, di librerie, di emittenti radiotelevisive, di centrali di produzione di dischi e di materiale audiovisivo, di centri culturali, di luoghi dove i membri della comunità possano incontrarsi e vivere meglio, anche attraverso l'uso dei mezzi della comunicazione sociale, la dimensione ecclesiale.
CEI Nota Pastorale - Comunicazione e missione 18-6-2004
Ogni nuovo medium apparso negli ultimi decenni, con la sua tecnologia, ha parlato un linguaggio suo proprio.
Consiglio per le Comunicazioni Sociali - Communio et progressio 23-3-1971
Si aggiunga la produzione e la distribuzione di film, di programmi radiotelevisivi, di ogni genere di materiale audiovisivo