La città di Dio

Indice

L'interpretazione naturalistica degli dei eletti e la salvezza

Criterio per una selezione degli dèi

Premessa

Sto tentando con molto impegno di svellere definitivamente le perverse e antiche credenze contrarie alla vera religione che un prolungato errore del genere umano ha inciso assai profondamente e saldamente nelle coscienze.

A un tempo nei miei limiti e con la sua assistenza coopero alla grazia di colui che essendo il vero Dio può aiutarmi.

Quindi le persone più pronte a capire, per le quali i precedenti libri sull'argomento sono più che sufficienti, mi debbono sopportare pazientemente e serenamente e in considerazione degli altri non devono considerare superfluo ciò che ritengono per se stessi non necessario.

Nell'affermare la ricerca e il culto della vera e veramente santa divinità, non per il fumo passeggero di questa vita mortale ma per la vita beata che si ha soltanto nell'eternità, si compie una impresa veramente grande, anche se da lei ci è concesso l'aiuto indispensabile alla debolezza di cui in questo mondo siamo portatori.

1 - Possibili criteri di selezione

Devo parlare dunque di questa divinità o, con altra parola, deità, giacché ai latini non dà più fastidio usare questa parola per tradurre con maggiore proprietà il termine greco θεότης.

Chi dunque non è rimasto convinto leggendo il sesto libro, da me testé terminato, che questa divinità o deità non si trova nella teologia che chiamano civile, trattata da Marco Varrone in sedici libri, in altri termini che non si giunge alla felicità della vita eterna mediante l'adorazione degli dèi del politeismo secondo la forma e il culto stabiliti dagli Stati, nel leggere eventualmente questo libro non avrà da chiedere ulteriori chiarimenti.

Qualcuno potrebbe pensare che gli dèi eletti per eminenti prerogative, che Varrone ha trattato nell'ultimo libro e di cui io non ho molto parlato, si debbano adorare in vista della vita beata che si ha soltanto nell'eternità.

In proposito io non accetto il motto più spiritoso che ragionevole di Tertulliano: Se gli dèi si scelgono come le cipolle, gli altri sono giudicati scarti.1

Io non dico questo.

Noto che anche fra gli scelti se ne scelgono altri a un compito maggiore per importanza.

Avviene anche nell'esercito perché, scelte le reclute, fra di esse si scelgono alcune ad un ufficio più responsabile nelle azioni militari.

Ed anche nella Chiesa quando si scelgono i superiori, certamente gli altri non sono scartati, giacché tutti i fedeli sono giustamente considerati persone elette.

Nell'edificio si scelgono le pietre per gli angoli, ( Sal 118,22 ) senza scartare le altre che sono destinate alle varie parti della costruzione.

Si scelgono le uve per la mensa ma non si scartano le altre che destiniamo alla pigiatura.

Non occorre addurre molti esempi perché il concetto è evidente.

Dunque per il fatto che fra molti sono stati scelti alcuni dèi non se ne deduce che si devono biasimare o lo scrittore o gli adoratori o gli dèi stessi; piuttosto si deve valutare criticamente quali sono e a quale scopo sono stati scelti.

2 - Non valido alla selezione l'incarico

Varrone presenta gli dèi eletti nel contesto di un solo libro.

Sono: Giano, Giove, Saturno, Genio, Mercurio, Apollo, Marte, Vulcano, Nettuno, Sole, Orco, Libero padre, Terra, Cerere, Giunone, Luna, Diana, Minerva, Venere, Vesta.

Fra tutti venti, di cui dodici sono maschi e otto femmine.2

Ma queste divinità si considerano elette in base a più rilevanti mansioni nel mondo, ovvero perché furono più note ai cittadini e fu loro offerto un culto maggiore?

Se per il fatto che assolvono compiti più importanti nel mondo, non avremmo dovuto trovarle fra la folla quasi popolana di divinità destinate a banali incombenze.

Infatti nel concepimento del feto, da cui prendono l'avvio le varie competenze assegnate al minuto a minute divinità, è Giano in persona ad aprire l'entrata con l'accogliere il seme.

Ma poi c'è Saturno per il seme in se stesso; c'è Libero che libera il maschio con l'effusione del seme; c'è Libera che, a sentir loro, è anche Venere, e accorderebbe un eguale soccorso alla femmina affinché anche lei si liberi con l'effondere il seme.3

Tutti questi appartengono agli eletti.

Ma al concepimento è presente anche la dea Mena che è preposta alle mestruazioni e lei, a parte che è figlia di Giove, è una dea proletaria.

Inoltre Varrone nel libro sugli dèi scelti assegna il settore dei flussi mestruali alla stessa Giunone che è anche regina fra gli dèi scelti e nel caso in parola sovraintende al flusso mestruale come Giunone Lucina assieme alla figliastra Mena.4

Sono presenti anche due dèi di non saprei quale umilissima estrazione, Vitunno e Sentino, di cui uno elargisce la vita al feto, l'altro il senso.5

Comunque, sebbene così oscuri, valgono molto di più dei magnati e degli eletti.

Infatti senza la vita e il senso, tutto ciò che è gestato nel grembo di una donna è un non so che di spregevole da paragonarsi a un impasto di fango.

3.1 - L'eccezione di Vitunno, Sentino e Mente …

Quale ragione dunque ha indotto tanti dèi scelti a queste minuziose incombenze se nella distribuzione delle competenze in questo caso sono superati da Vitunno e Sentino che un'oscura reputazione rende sconosciuti?6

Infatti Giano un eletto contribuisce con l'apertura e quasi porta per lo sperma, Saturno un eletto con lo sperma stesso, Libero un eletto con l'effusione del medesimo sperma per gli uomini, e Libera, che è anche Cerere e Venere, per le donne, Giunone un'eletta, non da sola ma affiancata da Mena, figlia di Giove, contribuisce con i flussi mestrui per la crescita del feto.

Ma Vitunno uno sconosciuto e popolano contribuisce con la vita e Sentino uno sconosciuto e popolano col senso.

E questi due sono di tanto superiori agli altri quanto essi sono inferiori a un atto di puro pensiero.

Come infatti gli esseri che ragionano e pensano sono certamente più perfetti di quelli che, privi di capacità di pensare come le bestie, hanno vita e senso, così anche quelli che sono dotati di vita e di senso sono più perfetti di quelli che non hanno vita e senso.

Quindi Vitunno che rende vivi e Sentino che rende senzienti avrebbero dovuto essere fra gli dèi scelti a maggior diritto di Giano che introduce lo sperma, di Saturno che lo dà o lo semina, di Libero e di Libera che stimolano e fanno uscire lo sperma.

Ed è sconveniente pensare a spermi che non giungessero alla vita e al senso.

Ma questi doni scelti non sono concessi da dèi scelti ma sconosciuti e dimenticati in confronto con l'onorabilità degli altri.

Potrebbero ribattere che Giano ha il potere di tutti gli inizi e che perciò giustamente gli si attribuisce anche l'apertura del concepimento, che Saturno ha il potere su tutti i semi e che quindi anche lo sperma umano non si può esimere dal suo influsso, che Libero e Libera hanno potere sull'effusione di tutti i semi e che pertanto sovraintendono anche a quelli che hanno competenza a diffondere l'umanità, che Giunone ha il potere su tutte le cose che si spurgano e si generano e pertanto non può mancare agli spurghi femminili e alle generazioni umane.

Ma allora riflettano che cosa rispondere su Vitunno e Sentino, se, cioè, per caso intendono dire che anche essi hanno potere su tutti gli esseri che hanno vita e senso.

Se lo ammettono, pensino a porli molto più in alto.

Infatti il nascere da un seme avviene in terra e dalla terra, ma essi sostengono che anche gli dèi astrali hanno vita sensitiva.

Se poi dicono che a Vitunno e a Sentino sono assegnati soltanto gli esseri che prendono vita nella carne e sono dotati di sensi, perché il dio che fa vivere e sentire tutti gli esseri non infonde direttamente vita e senso nella carne, attribuendo con universale operazione questa caratteristica anche alle generazioni?

E che bisogno c'è al caso di Vitunno e di Sentino?

Ma supponiamo che questi incarichi, considerati i più abietti e vili, da colui che ha il dominio universale sulla vita e sui sensi siano stati affidati ai due dèi come a domestici.

In tale ipotesi forseché gli eletti sono stati abbandonati dalla servitù da non trovare a chi affidare anche essi quegli incarichi e da essere quindi costretti, malgrado tutta la loro nobiltà per cui si ritenne di considerarli eletti, a sfacchinare con gente plebea?

Giunone eletta e regina, sorella ed anche moglie di Giove,7 è Iterduca ( accompagnatrice ) per i bimbi e svolge il compito assieme alle dee estremamente plebee Abeona e Adeona.

In quell'incombenza hanno posto anche la dea Mente perché produca nei fanciulli una buona mente e tuttavia lei non è posta fra gli scelti come se si possa concedere all'uomo qualcosa di più nobile.

Vi è invece Giunone, perché è Iterduca e Domiduca, come se uscire a passeggio ed essere ricondotti a casa giovi qualcosa se la mente non è buona.8

Ma gli individui incaricati della scelta non hanno neanche pensato di porre fra le divinità elette una dea con una commissione tanto delicata.

Al contrario, sarebbe dovuta esser superiore a Minerva alla quale hanno assegnato la memoria dei fanciulli.

Eppure non v'è dubbio che è molto meglio avere una buona mente che una memoria straordinaria.

Non si può essere cattivi se si ha una buona mente, invece alcuni pessimi individui sono di una memoria meravigliosa e sono tanto peggiori quanto meno possono dimenticare il male che pensano di fare.

E tuttavia Minerva è fra gli dèi eletti, invece la dea Mente è rimasta confusa fra una turba plebea.

Che dire di Virtù e Felicità?

Ne abbiamo parlato abbastanza nel quarto libro.9

Pur considerandole dee, non pensarono di assegnare loro un posto nell'élite degli dèi, piuttosto lo diedero a Marte e Orco, l'uno esecutore, l'altro ricettatore dei morti.

3.2 - … e della potente ma non eletta Fortuna

Vediamo quindi che in queste minuziose incombenze, assegnate con minuzia a molti dèi, gli eletti collaborano come il senato con la plebe; scopriamo d'altronde che alcuni dèi i quali non sono stati considerati eletti svolgono incarichi più alti per dignità di quelli che sono considerati eletti.

Rimane dunque l'ipotesi che sono stati considerati eletti e ragguardevoli non in base a incombenze più eminenti nel mondo ma perché riuscì loro di rendersi più noti fra i cittadini.

Lo stesso Varrone dice in proposito che alcuni dèi padri e alcune dee madri perdettero, come gli uomini, i diritti di nobiltà.10

Se dunque per ipotesi Felicità non doveva essere fra gli dèi eletti, perché gli altri giunsero alla nobiltà non per merito ma per un colpo di fortuna, almeno fra di loro o meglio a preferenza di loro doveva avere un posto Fortuna.

A sentire i pagani, è una dea che concede i propri favori non in base a un criterio razionale ma così a caso.

Lei avrebbe dovuto essere a capo degli dèi eletti perché soprattutto in essi ha mostrato il proprio potere.

Osserviamo infatti che sono stati scelti non sulla base di una eminente virtù o di una ragionevole felicità ma di un bizzarro potere di Fortuna, secondo quanto i loro adoratori pensano di lei.

Pure Sallustio, uomo veramente intelligente, sta forse pensando anche agli dèi quando dice: Certamente Fortuna influisce su tutti gli avvenimenti e di essi uno lo rende celebre, un altro lo lascia in ombra più per capriccio che per un motivo razionale.11

I pagani infatti non possono trovare un motivo plausibile perché sia stata celebrata Venere e lasciata nell'ombra Virtù, sebbene entrambe siano state divinizzate senza dover confrontare le rispettive benemerenze.

E se ottiene di essere nobilitato ciò che i più preferiscono, perché sono i più a preferire Venere a Virtù, perché è stata esaltata la dea Minerva e lasciata nell'ombra Pecunia?

Infatti della razza umana ne attrae più l'amore del denaro che la cultura, e fra quelli stessi che sono cultori di una disciplina raramente puoi trovare un uomo che non renda la propria professione venale con la ricompensa in denaro.

D'altronde si apprezza di più l'utile che si ottiene che l'azione con cui l'utile si ottiene.

Se dunque la selezione degli dèi è stata fatta col criterio della massa ignorante, perché la dea Pecunia non è stata preferita a Minerva, dal momento che molti professano l'arte per denaro?

Se poi la scelta è dei pochi colti, perché non è stata preferita Virtù a Venere, dal momento che la ragione di molto la predilige?

Ma torniamo a Fortuna la quale, come ho detto, stando all'opinione di molti che le accordano un grandissimo potere,12 influisce su tutti gli avvenimenti e di essi uno lo rende celebre, un altro lo lascia in ombra più per capriccio che per un motivo razionale.

Se ella dunque ebbe un simile potere anche sugli dèi tanto da esaltare o lasciare in ombra in base a un suo criterio capriccioso coloro che voleva, dovrebbe avere un ruolo eminente fra gli dèi eletti perché avrebbe un potere straordinario sugli dèi stessi.

Se poi non è riuscita a collocarsi tra gli eletti, si deve pensare soltanto che Fortuna in persona ebbe la fortuna avversa.

Si è avversata da sé perché pur rendendo illustri gli altri, ella non lo divenne.

4 - Dèi eletti e infamanti

Un individuo desideroso di nobiltà e di rinomanza si congratulerebbe con gli dèi eletti e li chiamerebbe fortunati se non si accorgesse che sono stati scelti più per ricevere oltraggi che rispetto.

Infatti lo stesso nome oscuro ha coperto la schiera proletaria degli dèi perché non fosse subissata d'improperi.

Ci viene proprio da ridere quando vediamo, secondo i modelli dell'immaginazione umana, gli dèi assegnati a scompartimenti di lavoro come gli esattori al minuto e come gli artigiani nel quartiere degli argentieri, in cui un vasetto per riuscire perfetto passa per le mani di molti artigiani, quando potrebbe esser condotto a termine da uno solo che fosse abile in tutto.

Ma non si è pensato di provvedere in altro modo alla ressa della manodopera.

Così ciascuno apprendeva con agevole speditezza le specifiche competenze dell'arte senza che tutti fossero costretti ad essere abili con laboriosa lentezza in tutta l'operazione tecnica.

Tuttavia si riesce appena a trovare qualcuno degli dèi non scelti che avesse la reputazione infamata da un delitto e al contrario si trova appena qualcuno degli dèi eletti che non abbia ricevuto una nota di segnalata immoralità.

Così gli eletti si abbassarono agli umili lavori degli abietti e gli abietti non si elevarono agli illustri delitti degli eletti.

Riguardo a Giano non viene in mente nulla che si volga a suo disonore.

E forse sarà stata una persona dabbene, sarà vissuto senza colpa e alieno da delinquenza e immoralità.

Accolse con umanità il fuggiasco Saturno, divise il regno con l'ospite, in modo che ciascuno costruisse la propria città, egli il Gianicolo e l'altro Saturnia.

Ma i Romani, bramosi di una qualsiasi deformazione nel culto degli dèi, essendosi accorti che la sua vita era meno turpe, lo deturparono con la mostruosa deformità del suo idolo perché lo figurarono con doppia fisionomia, ora bifronte ed ora quadrifronte.

Intesero forse che egli apparisse con più fronti in quanto più onesto, giacché moltissimi dèi eletti avevano perduto la fronte commettendo azioni vergognose?

Interpretazione naturalistica degli dèi eletti

5 - Simbolismo esoterico sul dio e l'anima

Ascoltiamo piuttosto le interpretazioni naturalistiche dei pagani con cui essi tentano di colorare con la patina di una eminente dottrina la bruttura di un errore assai meschino.

Prima di tutto Varrone giustifica queste interpretazioni col dire che gli antichi hanno inventato gli idoli, le loro insegne e ornamenti affinché gli iniziati agli arcani della dottrina, nell'osservare quegli oggetti con la vista, potessero intuire con la mente l'anima del mondo con le sue parti, cioè gli dèi veri.

Sembrava inoltre che coloro i quali avevano rappresentato gli idoli degli dèi con la figura umana avessero voluto far comprendere che lo spirito dei mortali, che è nel corpo umano, è molto simile allo spirito immortale.

Poniamo, ad esempio, che si pongano dei vasi per contrassegnare i vari dèi e che nel tempio di Libero si ponga una cesta di caraffe, che significherebbe il vino, cioè il contenente per il contenuto.

Allo stesso modo mediante l'idolo con figura umana viene significata l'anima ragionevole, perché la natura dell'anima è contenuta nel corpo come in un vaso e il dio o gli dèi, secondo la loro teoria, sono della medesima natura.13

Questo è l'aspetto esoterico della dottrina che quest'uomo di grande cultura aveva studiato a fondo per portarlo alla luce.

Ma, o uomo intelligentissimo, hai forse, in mezzo a questi arcani della dottrina, perduto la saggezza con cui hai assennatamente ritenuto che i primi costruttori di idoli nelle città eliminarono il timore dai propri cittadini, accrebbero l'errore e che gli antichi Romani onorarono gli dèi più rispettosamente senza idoli?14

Sono stati gli antenati a rendersi garanti perché tu osassi sostenere queste idee contro i Romani delle epoche successive.

Perché se anche i Romani dei primi tempi avessero adorato gli idoli, avresti forse col silenzio del timore reso esoterica questa teoria, nondimeno vera, sulla necessità di non costruire idoli e avresti giustificato con un discorso più abbondante ed elevato gli arcani della dottrina in simili funeste e vane figurazioni.

Tuttavia la tua anima di vasta cultura e di nobile temperamento, nonostante l'esoterismo della dottrina, non poté giungere, e ce ne dispiace molto per te, al proprio Dio, cioè a colui dal quale e non assieme al quale è stata creata, di cui non è parte ma fattura, che non è l'anima di ogni cosa ma ha creato ogni anima, la quale nella sua luce diviene beata se non è ingrata alla sua grazia.

Tuttavia la trattazione che segue chiarirà che cosa è l'esoterismo della dottrina e come si deve valutare.

Frattanto quest'uomo di grande erudizione afferma che l'anima del mondo con le sue parti sono veri dèi.

Se ne deduce che tutta la sua teologia, e proprio quella naturale in cui aveva molta fiducia, si è potuta estendere fino alla natura dell'anima ragionevole.

Parla pochissimo sugli dèi eletti nel libro che compilò in ultimo.

Esamineremo se in esso Varrone mediante le interpretazioni naturalistiche possa rapportare la teologia naturale alla civile.

Se ci riuscirà, tutta la teologia sarà naturale e non c'era bisogno di segregare da essa la civile con tanta preoccupazione di distinguerla.

Ma poniamo che sia segregata in base a una ragionevole separazione ma che non sia vera neanche la naturale che egli accetta, tanto più che è giunto fino all'anima e non fino al vero Dio che ha fatto anche l'anima.

In tal caso è molto più abietta e falsa la teologia civile che è limitata prevalentemente alla natura dei corpi, come dimostreranno le sue stesse interpretazioni, scoperte e analizzate con tanta diligenza dai pagani.

Mi occorre riportarne alcune indispensabili.

6 - Il mondo e la sua anima nell'interpretazione naturalistica di Varrone

Dice dunque Varrone fin dall'introduzione alla teologia naturale, che, a suo parere, l'anima del mondo, chiamato dai Greci κόσμος, è un dio e che il mondo stesso è un dio.

Precisa che come l'uomo sapiente, essendo composto di corpo e di spirito, è giudicato sapiente dalla prospettiva dello spirito, così il mondo, essendo composto di spirito e di corpo, è considerato un dio da parte dello spirito.

Sembra che in questo passo ammetta in certo senso un solo Dio, ma per ammetterne anche molti, aggiunge che il mondo è diviso in due parti, il cielo e la terra, e il cielo a sua volta in due parti, etere e aria, e la terra in acqua e suolo.

Di essi il più alto sarebbe l'etere, seconda l'aria, terza l'acqua e la più bassa la terra.

Tutte queste parti sarebbero informate da quattro anime, immortali nell'etere e nell'aria, mortali nell'acqua e nella terra.

Dalla più ampia orbita del cielo a quella minore della luna sarebbero anime eteree gli astri e le stelle; l'esistenza di questi dèi celesti non sarebbe soltanto oggetto dell'intelligenza ma anche della vista.

Le anime aeree si troverebbero fra l'orbita della luna e i punti più alti delle formazioni meteorologiche, ma esse sono oggetto del pensiero e non della vista e si chiamano eroi, lari e geni.15

Questa è appunto la teologia naturale trattata brevemente nella introduzione.

Fu insegnata non soltanto da Varrone ma da molti filosofi.

Di essa si dovrà trattare più accuratamente in seguito quando avrò svolto con l'aiuto del vero Dio quanto rimane della teologia civile per la parte attinente agli dèi eletti.

7 - Giano principio e Termine fine del mondo

Chiedo dunque chi è Giano, da cui Varrone ha cominciato.

Mi si risponde: il mondo.

È una risposta chiara nella sua brevità.

Perché dunque si dice che l'inizio delle cose è di sua competenza e la fine è di competenza dell'altro che chiamano Termine?16

Affermano in proposito che in vista dell'inizio e della fine a questi due dèi sono stati dedicati due mesi, al di fuori dei dieci che vanno da marzo a dicembre, e cioè gennaio a Giano e febbraio a Termine.

Dicono che appunto per questo nel mese di febbraio si celebrano i terminali, durante i quali si compie il mistero della purificazione che chiamano febro e da cui ha avuto nome il mese.17

Ma è possibile che l'inizio delle cose compete al mondo, che è lo stesso Giano, e la fine non gli compete, tanto che ne è incaricato un altro dio?

Il dire che tutti i fenomeni si verificano in questo mondo non significa forse che sono limitati a questo mondo?

E quale stravaganza è quella di conferire a Giano un mezzo potere nell'influsso e una doppia faccia nell'idolo?

Non interpreterebbero con molto più buon gusto questo dio bifronte se lo considerassero Giano e Termine e attribuissero una faccia all'inizio e una alla fine?

Chi compie un lavoro deve tener presente l'uno e l'altro, perché in ogni movimento della propria azione se non si volge a guardare l'inizio non preordina la fine.

È necessario quindi che il proposito che si volge in avanti sia rilanciato dalla memoria che si volge indietro, perché se si dimenticherà di avere cominciato l'opera, non si troverà il modo di finirla.

Se i pagani ritenessero che la felicità ha inizio in questo mondo e la perfezione fuori del mondo, e perciò affidassero a Giano, cioè al mondo, soltanto l'incombenza dell'inizio, certamente crederebbero superiore Termine e non lo estrometterebbero dagli dèi eletti.

Comunque anche in questa teoria in cui si contemplano nei due dèi l'inizio e la fine delle cose nel tempo, si sarebbe dovuto dare più onore a Termine.

È più grande la gioia quando un'opera qualsiasi si porta a compimento, invece le cose incominciate comportano molta ansietà, finché non si conducono alla fine che, nell'iniziare un qualcosa, soprattutto si cerca, si intende, si aspetta, si desidera e non ci si allieta della cosa incominciata se non è condotta a termine.

8 - Giano bifronte e quadrifonte e il mondo

Ma ci si adduca l'interpretazione dell'idolo bifronte.

Affermano che ha due facce, una davanti e una addietro, perché l'apertura della nostra bocca avrebbe una certa somiglianza col mondo.

Per questo i Greci chiamano il palato ούρανός18 e alcuni poeti latini, dice Varrone, hanno chiamato cielo il palato, perché da questa apertura della bocca si avrebbe l'accesso al di fuori fino ai denti e al di dentro verso la gola.19

Ecco dove è andato a finire il mondo a causa di una parola, greca o poetica, che significa il nostro palato.

Che cosa importa questo all'anima, che cosa importa alla vita eterna?

Questo dio si adorerebbe soltanto per le salive, perché l'una e l'altra porta si apre sotto il cielo del palato per inghiottirle da una parte e sputarle dall'altra.

Ed è l'assurdo più banale il non riuscire a trovare nel mondo stesso due porte poste di fronte, da cui esso introduca in sé e faccia apparire di fuori la realtà e il pretendere di simboleggiare in Giano la struttura del mondo riferendosi alla nostra bocca e gola, sebbene il mondo con esse non abbia alcuna somiglianza.

Questo soltanto per riguardo al palato, sebbene anche Giano non abbia con esso alcuna somiglianza.

Quando invece lo considerano quadrifronte e lo chiamano Giano Gemino, interpretano questo simbolo in relazione alle quattro parti del mondo, come se il mondo osservi qualche cosa al di fuori, come fa Giano attraverso tutte le sue facce.

Inoltre se Giano è il mondo e il mondo risulta di quattro parti, è fasullo l'idolo di Giano bifronte.

Ma poniamo che sia autentico poiché con i termini di Oriente e Occidente si suole intendere tutto il mondo.

Ma allora quando si considerano le altre due parti del Settentrione e del Meridione, s'intende forse dire che il mondo è gemino, come i Romani lo dicono di Giano?

Non hanno affatto un fondamento per interpretare le quattro porte che si aprono ai fenomeni che vengono e che vanno come simbolo del mondo, mentre al contrario, per quanto riguarda il bifronte, hanno trovato un pretesto per lo meno nella bocca dell'uomo.

Si eccettua il caso che Nettuno venga in aiuto e porga un pesce che, oltre l'apertura della bocca e della gola, ha le branchie a destra e a sinistra.

Comunque nessuna anima sfugge, sia pure attraverso tante porte, la menzogna se non ascolta la Verità che dice: La porta sono io. ( Gv 20,9 )

9.1 - Secondo i naturalisti Giove come ragione ultima …

Ed ora i naturalisti espongano che cosa significa Giove, detto anche Iuppiter.

È il dio, rispondono, che ha il potere sulle ragioni del divenire nel mondo.20

Quanto sia importante questo problema lo dichiara il nobilissimo verso di Virgilio: Fortunato chi è riuscito a conoscere le ragioni delle cose.21

Ma perché gli viene anteposto Giano?

Il motivo ce lo dice Varrone, l'uomo più intelligente e colto: Perché, egli dice, in Giano si ha l'inizio, in Giove la pienezza.

Giustamente dunque Giove è considerato il re di tutte le cose.

L'inizio è infatti meno perfetto della pienezza perché, sebbene esso venga prima nel tempo, la pienezza è superiore per valore.22

Questo sarebbe un significato ragionevole se prima si stabilisse la differenza fra inizio e pienezza dei fenomeni.

Come inizio di un fenomeno è partire e la pienezza è arrivare, l'inizio cominciare ad apprendere e la pienezza il conseguimento della cultura, così in tutte le cose viene prima l'inizio e la fine è perfezione.

Ma questo affare è stato già trattato fra Giano e Termine.

Invece le ragioni che sono assegnate a Giove sono principi efficienti e non effetti ed è assolutamente impossibile che siano precorse nel tempo da fenomeni o dagli inizi dei fenomeni.

Infatti l'essere che causa è sempre prima dell'essere che è causato.

Pertanto se a Giano compete l'inizio dei fenomeni, essi non sono prima delle ragioni efficienti che i naturalisti assegnano a Giove.

Come niente diviene, così niente comincia a divenire che non sia preceduto dalla sua causa efficiente.

Ma se i popoli chiamano Giove questo dio nel quale si hanno tutte le cause di tutte le nature causate e di tutti i fenomeni naturali e poi lo adorano con tanti oltraggi e con tante imputazioni di delitto, si irretiscono in una irreligiosità più riprovevole che se professassero esplicitamente l'ateismo.

Quindi sarebbe preferibile per loro chiamare col nome di Giove un altro che sia meritevole di disoneste e delittuose onoranze, sostituendolo con una creazione fantastica da insultare, come si dice che per Saturno fu sostituita una pietra da divorare invece del figlio,23 anziché considerare un dio costui che tuona e commette adultèri, che sostiene il mondo e si consuma attraverso tanti atti carnali, che contiene le ragioni ideali di tutte le nature e di tutti i fenomeni naturali e non contiene le proprie ragioni morali.

9.2 … e come il tutto

Chiedo poi quale posto assegnano a Giove fra gli dèi se Giano è il mondo.

Varrone ha stabilito che sono veri dèi l'anima del mondo con le sue parti; dunque ciò che questo non è, secondo i naturalisti non è un vero dio.

Potranno dunque dire forse che Giove è l'anima del mondo in modo che Giano ne sia il corpo, cioè questo visibile mondo?

Ma se la mettono così, non potranno sostenere che Giano è un dio, perché anche secondo loro il corpo del mondo non è un dio ma solamente l'anima del mondo con le sue parti.

E per questo Varrone stesso dice che, secondo il suo parere, l'anima del mondo è un dio e che il mondo stesso è un dio, con la riserva che come l'uomo sapiente, pur essendo composto di spirito e di corpo, si considera sapiente dalla prospettiva dello spirito, così il mondo, sebbene sia composto di spirito e di corpo, si considera dio dalla prospettiva dello spirito.24

Quindi il solo corpo del mondo non è un dio ma la sola anima o insieme il corpo e lo spirito, nel senso però che non è dio da parte del corpo ma dello spirito.

Se dunque Giano è il mondo e Giano è un dio, forse che finiranno per dire che Giove, per esser dio, è una parte di Giano?

Al contrario abitualmente attribuiscono a Giove il tutto.

Da qui il detto del poeta: Di Giove il tutto è pieno.25

Devono ammettere dunque che Giove, per esser dio e soprattutto il re degli dèi, non è altro che il mondo, affinché domini, secondo i naturalisti, gli altri dèi come proprie parti.

Sempre Varrone, nel libro Sul culto degli dèi che ha scritto separatamente da questi sulla religione, interpreta ai sensi di questa teoria alcuni versi di Valerio Sorano.

Sono questi: Giove, onnipotente progenitore dei re, delle cose e degli dèi e a un tempo genitrice degli dèi, un solo dio e tutti.26

Nel libro citato sono interpretati come segue. I naturalisti pensavano che è maschio chi emette il seme, femmina chi lo riceve e che Giove è il mondo e che emette da sé tutti i semi e riceve in sé tutti i semi.

Per questa ragione, soggiunge Varrone, Sorano ha scritto che "Giove è genitore e genitrice" e con non minore ragione che egli è una sola cosa e tutte le cose, poiché il mondo è uno e in esso ci sono tutte le cose.27

Indice

1 Tertulliano, Ad nat. 2, 9, 5
2 Varrone, Antiq. (rer. div. 16), fr. 244 (solo in Agostino)
3 Varrone, Antiq., fr. 258; cf. fr. 192 e sopra 4, 11
4 Varrone, Antiq., frr. 267-268
5 Varrone, Antiq. (rer. div. 14), fr. 193;
Tertulliano, Ad nat. 2, 11, 4
6 Virgilio, Aen. 5, 302
7 Virgilio, Aen. 1, 46-47;
Orazio, Carm. 3, 3, 64;
Silio Italico, Pun. 693;
Cicerone, De nat. deor. 2, 26, 66; vedi appresso 6. 22. 2
8 Varrone, Antiq. (rer. div. 16), fr. 269-271
9 Vedi sopra 4,18-24
10 Varrone, Antiq. (rer. div. 16), fr. 247 (solo in Agostino)
11 Sallustio, Catil. 8, 1
12 Virgilio, Aen. 8, 334
13 Varrone, Antiq. (rer. div. 1), fr. 115;
Zenone di Cizico, in Varrone De ling. lat. 5, 59;
Diogene Laerzio, 7, 157
14 Varrone, Antiq. (rer. div. 1), fr. 116; vedi sopra 4, 9
15 Varrone, Antiq. (praef. rer. div.), fr. 112;
Ennio, Thyestes, fr. 176, in Cicerone, De nat. deor. 2, 25, 65;
Zenone, Crisippo e Cleante, in Cicerone, De nat. deor. 1, 14, 36. 15, 40; 2, 15. 25-26;
Diogene Laerzio, 7, 137-140;
Eusebio, Praep. evang. 15, 15
16 Varrone, Antiq. (rer. div. 16), fr. 248
17 Varrone, De ling. lat. 1, 6, 13. 34;
Antiq. (rer. hum. 18), fr. 68, in Censorino, De die nat. 22, 10;
Ovidio, Fasti 2, 19-36
18 Aristotele, De part. an. 660a 14; 662a 8
19 Ennio, fr. 20, in Cicerone, De nat. deor. 2, 18, 49;
Varrone, Antiq. (rer. div. 16), fr. 249
20 Eraclito, in Diels, FVS 22, fr. 67;
Senofane, in Diels, FVS 21, fr. 23;
gli stoici, in Diogene Laerzio, 7, 88. 138-139. 147-148;
Cleante, Inno a Giove 1-4;
Platone, Cratilo 396ab; Filebo 30d
21 Virgilio, Georg. 2, 490
22 Varrone, Antiq. (rer. div. 16), fr. 251 (solo in Agostino)
23 Esiodo, Theog. 474-478; Ovidio, Fasti 2, 205
24 Vedi sopra 6, nota (16)
25 Virgilio, Ecl. 3, 60
26 Valerio Sorano, fr. 4 (solo in Agostino)
27 Varrone, Logist. (Curio o De cultu deor.), fr. 40 (solo in Agostino)