Sommario della conferenza con i Donatisti

Dibattito del primo giorno

Prefazione

Quando i vescovi cattolici e quelli del partito di Donato, per ordine dell'imperatore, si riunirono alla presenza del tribuno e notaio Marcellino, che agiva in veste di giudice moderatore, per dibattere in contraddittorio fra loro, fu stesa una redazione degli Atti assai prolissa, che si sarebbe potuta fare con maggiore sinteticità.

Il fatto è che coloro che erano consapevoli di non difendere una causa giusta, prima fecero tutto il possibile perché la conferenza non avesse luogo e la questione non fosse trattata affatto; ma poiché il loro disegno fallì, si adoperarono perché la stesura degli atti risultasse farraginosa e di non facile lettura.

Mi è sembrato perciò opportuno raccogliere il tutto in questa esposizione sintetica, adottando l'identica numerazione degli atti ufficiali, perché ciascuno possa trovare agevolmente ciò che gli interessa.

1 - Lettura dell'ordinanza imperiale sulla conferenza

In primo luogo, dopo l'ingresso delle due parti, fu data lettura del rescritto imperiale, che ordinava ai vescovi in questione di riunirsi in assemblea per confutare l'errore con chiare argomentazioni.

2 - Le condizioni contenute nell'editto di convocazione dei vescovi delle due parti

In secondo luogo fu letto un editto dello stesso giudice, diramato per tutta la provincia, col quale ingiungeva ai vescovi delle due parti di riunirsi a Cartagine entro il giorno delle calende di giugno per iniziare la conferenza.

In questo editto, senza un mandato dell'imperatore, restituiva le basiliche ai Donatisti purché si impegnassero ad intervenire; in tal modo li invitava alla riunione anche con vantaggiose offerte.

Nello stesso editto gli offriva anche la possibilità di stabilire, a loro scelta, un secondo giudice che lo affiancasse, e si impegnava con giuramento a dirimere la causa nel pieno rispetto della verità.

Prometteva inoltre di adempiere a tutte le condizioni restanti, contenute nel suddetto editto di convocazione.

3 - Altro editto del giudice circa il luogo e le modalità della progettata conferenza

In terzo luogo fu data lettura di un secondo editto del giudice, che proponeva ai vescovi delle due parti, già presenti a Cartagine, il luogo e le modalità della progettata conferenza, ricordando e confermando la data già stabilita.

Inoltre chiedeva formalmente ad ambedue le parti di comunicargli con risposta scritta l'eventuale gradimento del contenuto dell'editto.

4 - Memoriale dei Donatisti, in cui dichiaravano il loro non gradimento di una disposizione dell'editto

In quarto luogo, poiché i vescovi del partito di Donato esigevano di conoscere i motivi, in base ai quali la controparte aveva chiesto la convocazione dell'assemblea, il giudice differì la cosa, disponendo che prima fossero letti per ordine gli atti relativi a tutto ciò che era stato fatto precedentemente al giorno della conferenza.

Fu letto allora un memoriale dei Donatisti, in cui dichiaravano il loro non gradimento di una disposizione dell'editto, che cioè convenissero al luogo della conferenza soltanto i vescovi, designati dai propri colleghi per trattare la causa, complessivamente trentasei, cioè diciotto per parte, così distribuiti: sette per ciascuno con il compito di sostenere il dibattito, ed altrettanti che sarebbero stati convocati in assemblea se necessario, infine quattro per ciascuno con il compito di presiedere alla custodia e alla trascrizione degli atti.

Essi invece chiedevano che fossero ammessi alla conferenza tutti quelli che erano venuti, perché potessero far vedere la loro consistenza, affermando che i loro avversari avevano mentito parlando del loro esiguo numero.

Assicuravano di essere venuti proprio tutti, persino i più anziani: mancavano soltanto coloro che erano impediti da salute malferma.

Ribadivano anche il resto del memoriale.

5 - La risposta, inviata al giudice dai Cattolici, in conformità alle disposizioni dell'editto

In quinto luogo fu letta la risposta, inviata al giudice dai Cattolici in conformità alle disposizioni dell'editto: essi facevano sapere che accoglievano in blocco il contenuto dell'editto.

Nella stessa lettera si impegnavano solennemente, qualora fosse loro dimostrato che la vera Chiesa si trovava nel partito di Donato, a non reclamare più per sé la dignità episcopale, ma a seguire le loro decisioni per il bene comune della cristianità; se, al contrario, fosse dimostrato che la vera Chiesa risiedeva piuttosto nella loro comunione, non avrebbero rifiutato agli altri la loro dignità episcopale.

Con tale gesto intendevano perseguire il bene della pace, affinché i destinatari di questo dono comprendessero che i Cattolici non rinnegavano in essi la consacrazione, operata da Cristo, ma detestavano l'errore umano.

E se i fedeli non avessero potuto tollerare due vescovi in un'unica Chiesa, ambedue avrebbero dovuto farsi da parte; poi si sarebbero dovuti nominare singoli vescovi, consacrati da quei due vescovi, ed essi sarebbero restati soli a capo delle rispettive comunità.

Nella medesima lettera si faceva menzione anche della controversia dei Massimianisti, i quali erano stati condannati da loro, ma per amor di pace nel partito di Donato, alcuni erano stati riammessi con tutti i loro onori, senza annullare il battesimo che avevano conferito durante il loro scisma sacrilego; ed altre cose che erano contenute nella citata lettera.

6 - Lettura dell'editto dello stesso giudice

In sesto luogo fu letto anche l'editto dello stesso giudice, che era stato pubblicato insieme al suddetto memoriale dei Donatisti e alla predetta lettera dei Cattolici, per far conoscere pubblicamente la risposta che le singole parti gli avevano trasmesso.

7 - Contenuto della lettera inviata dai Cattolici al giudice in risposta al memoriale dei Donatisti

In settimo luogo fu letta la lettera, inviata dai Cattolici al giudice in risposta al memoriale dei Donatisti.

In essa accedevano alla richiesta di costoro, accettando di far entrare nella sala, ove si sarebbe tenuta la conferenza, tutti coloro che sarebbero venuti; e questo benché fossero presenti là soltanto quei vescovi cattolici, che il giudice aveva designato con il suo editto.

Così, se fosse scoppiato un tumulto - eventualità che i Cattolici temevano molto -, non lo si sarebbe potuto imputare ad essi a causa della loro scarsissima rappresentanza, ma piuttosto agli altri che avevano chiesto di partecipare in massa.

Questa lettera forniva anche una sintetica analisi del fondo della questione, perché fosse chiaro che la Chiesa cattolica non si identificava con il partito di Donato, ma piuttosto era quella che si estendeva e fruttificava nel mondo intero, cominciando da Gerusalemme, secondo le sacre Scritture; ( Lc 24,47 ) inoltre si dimostrava che la presenza dei cattivi nel suo interno non arrecava ad essa alcun pregiudizio, essendo destinati ad essere separati alla fine dei tempi dal giudizio divino, e che i loro antenati non avevano potuto provare nulla contro lo stesso Ceciliano : egli era stato prosciolto da ogni addebito e proclamato innocente dalle sentenze ecclesiastiche e in maniera speciale dall'imperatore, davanti al quale lo avevano accusato.

E siccome le ordinanze degli imperatori, emanate in favore della Chiesa cattolica, formano l'oggetto abituale delle loro accuse, questa lettera rammentava che nelle sacre Scritture alcuni re avevano decretato nel loro regno pene severissime contro coloro che bestemmiavano Dio. ( Dn 3,96 )

Si faceva anche un riferimento alla controversia dei Massimianisti, che essi avevano perseguito con pubblici processi e, dopo averli fatti condannare, li avevano accolti in parte con tutti i loro onori, senza annullare il battesimo che avevano amministrato durante il loro scisma, giustificandosi col dire che, coloro ai quali era stata accordata una dilazione mentre erano in comunione con Massimiano, non erano stati inquinati dal contatto con lui.

Si lesse anche il resto del contenuto di questa lettera.

Tutto ciò fu richiamato in quella sede, nella speranza che i Donatisti, caso mai avessero riflettuto e constatato quanto fosse malvagia la causa che sosteneva il partito di Donato, tutti coloro che erano venuti si sarebbero rifiutati di entrare nella sala della conferenza, precisamente perché si era in procinto di sancire la pace e l'unità.

8 - Calunnie e tergiversazioni dei Donatisti

In ottavo luogo il giudice domandò se il partito di Donato avesse già scelto i propri rappresentanti, come vedeva che avevano fatto i Cattolici, incaricati di difenderne la causa.

La risposta del partito di Donato fu che ormai la causa era stata bell'e risolta dai Cattolici, perché quella loro lettera, ancor prima che fosse stabilita la qualifica dei rispettivi contendenti, aveva già confezionato tutto il contenuto della causa.

Quindi presero ad insistere perché innanzitutto si discutesse sulla data, sul mandato, sulla persona e sulla natura del processo, eppoi si sarebbe discussa nella fattispecie la questione.

Il giudice intervenne con risposta interlocutoria, dichiarando che nessun elemento della causa era stato soppresso; quindi pose nuovamente la questione se si fosse ottemperato a quanto prescriveva il suo editto circa la determinazione del numero dei partecipanti, poiché le varie fasi della causa si dovevano trattare attraverso costoro.

Ma i Donatisti sollevarono ancora la questione della data, sostenendo che la causa stessa non poteva più essere trattata, in quanto era trascorso l'ultimo giorno utile.

Infatti dicevano che con il quattordicesimo giorno delle calende di giugno erano già spirati quattro mesi dal giorno dell'editto del giudice, inviato a tutta la provincia, come aveva dichiarato l'ufficio, interpellato in proposito.

E poiché l'imperatore aveva ordinato di trattare la causa entro e non oltre i quattro mesi, sostenevano che l'ultimo giorno utile era già trascorso, quindi chiedevano che fosse pronunziata la sentenza contro i Cattolici come contumaci: come se i Cattolici fossero assenti, o i Donatisti avessero già cominciato a trattare la causa in loro assenza, o ancora come se i Cattolici, pur essendo stati debitamente avvertiti e citati, non si fossero presentati.

Essi adducevano queste calunnie e tergiversazioni, che non avrebbero in nessun modo potuto far valere con diritto davanti ad un tribunale civile, semplicemente perché non volevano che il dibattito avesse luogo.

Ma ad essi replicò il giudice in persona, affermando che le due parti avevano convenuto sulla data delle calende di giugno; e se anche l'una o l'altra non si fosse presentata entro il termine stabilito, si sarebbe potuto disporre di altri due mesi supplementari, che l'imperatore in tre editti successivi aveva prescritto di aggiungere.

9 - Il giudice respinge tutte le contestazioni dilatorie, e ordina di leggere il mandato

In nono luogo, poiché il giudice aveva precedentemente osservato che l'eccezione circa la decorrenza dei termini, presentata per impedire di trattare la causa, era una manovra più da avvocati che da vescovi, il partito di Donato colse l'occasione per affermare che con esso non si doveva più procedere in base al diritto pubblico, ma soltanto sul piano delle divine Scritture.

Il giudice chiese allora alle due parti che cosa pensassero di ciò.

I Cattolici risposero proponendogli di far leggere il mandato del concilio cattolico, che forniva disposizioni ai delegati sul modo di procedere: là si poteva vedere più chiaramente il metodo da attuare, non con i sotterfugi degli avvocati, ma attenendosi piuttosto alle testimonianze divine.

Ne seguì un conflitto prolungato, poiché i Cattolici insistevano di far leggere il loro mandato, mentre i Donatisti lo ricusavano.

Ma il giudice, dopo aver respinto tutte le contestazioni dilatorie, ordinò di leggere il mandato.

10 - Mandato del concilio cattolico ai vescovi di difendere la Chiesa cattolica contro le accuse dei Donatisti

In decimo luogo fu data lettura del mandato del concilio cattolico, che ingiungeva ai vescovi, designati per sostenere il dibattito, di difendere la Chiesa cattolica contro le accuse dei Donatisti.

Questo mandato, come la lettera precedentemente menzionata, riassumeva nuovamente tutta la questione.

Prima di tutto ribadiva che la causa della Chiesa, la quale secondo la promessa è diffusa su tutta la terra, doveva essere nettamente distinta da quella di Ceciliano, qualunque essa fosse; in tal modo si doveva dimostrare, partendo dalle parabole evangeliche, dall'esempio dei Profeti e dello stesso Cristo Signore, degli Apostoli e dei vescovi, e anche in base al giudizio dato dai Donatisti nei confronti dei Massimianisti, che nella Chiesa i cattivi, ignorati o tollerati dai buoni per salvaguardare l'unità della pace, non possono nuocere a coloro che non sono consenzienti con chi compie il male. In secondo luogo si doveva evidenziare sulla scorta di documenti sicuri, che la causa dello stesso Ceciliano non era affatto cattiva, in quanto sia Ceciliano sia il suo consacrante Felice d'Aphthungi, che essi avevano accusato con maggiore aggressività nel loro concilio, erano stati dichiarati innocenti.

Nello stesso mandato sono trattate altre due questioni: una sul battesimo, l'altra sulla persecuzione, di cui il partito di Donato solitamente accusa i Cattolici.

In esso in effetti viene nuovamente rievocata, come nella lettera precedente, la questione dei Massimianisti, in quanto dimostrava che i Donatisti avevano arbitrariamente attutito la veemenza delle accuse, che solitamente lanciavano contro i Cattolici, sia intorno alla questione del battesimo sia sulla persecuzione sia sulla contaminazione attraverso la comunione [ con i peccatori ].

Inoltre esso aggiungeva che, se costoro avessero voluto produrre anche ora nuove accuse contro i vescovi cattolici per tirarla alle lunghe, se ne doveva differire l'audizione e il dibattito per concludere la causa che premeva di più.

I Cattolici, proponendo questa visione d'insieme della causa nella loro lettera e nel loro mandato, si proponevano uno scopo ben preciso: nell'eventualità che i Donatisti, come si sospettava, tentassero di far introdurre alcune disposizioni per bloccare il dibattito, e, qualora fosse loro impedito di farlo, si ritirassero dalla stessa conferenza, essi volevano lasciare almeno un breve resoconto, da leggere nel processo verbale degli atti, sulla difesa della causa della Chiesa cattolica.

In tal modo si sarebbe compreso che questo era ciò che essi temevano e per questo si erano rifiutati di entrare in dibattito.

11 - I Donatisti pretendono la presenza di tutti i firmatari del mandato

In undicesimo luogo interloquì il giudice per osservare che il mandato dei Cattolici si appellava più ad argomentazioni di tipo scritturistico che forense, e ordinò di leggere i nomi di tutti i firmatari.

Nacque un'accesa discussione, che durò alquanto: i Donatisti esigevano che si presentassero tutti coloro che avevano sottoscritto il mandato, obiettando che [i Cattolici] fra costoro avrebbero potuto includere fraudolentemente anche coloro che vescovi non erano, ingannando così il giudice, alla cui presenza si leggeva che avevano firmato; e che avevano aggiunto altri vescovi alle sedi antiche per aumentarne il numero.

I Cattolici invece si opponevano alla richiesta di presentare i loro, temendo che costoro preparassero un tumulto che avrebbe sfasciato del tutto la conferenza, essendo ormai evidentissimo che i Donatisti non la volevano assolutamente, soprattutto quando avevano voluto farla passare in prescrizione per decadenza dei termini, come se la causa fosse già decaduta e non si potesse più celebrare.

E si pensava che, se non avevano ancora provocato un tale tumulto, era precisamente perché, se fosse accaduto, non avrebbero potuto imputarlo ai Cattolici, che erano ben pochi, ma proprio a loro che erano presenti in gran numero.

Però, quando i Cattolici cedettero alla loro richiesta di far entrare tutti i firmatari, fu subito chiaro perché i Donatisti avevano fatto tale richiesta: essi si immaginavano che i vescovi cattolici non sarebbero venuti a Cartagine così numerosi come indicavano le firme.

Si erano evidentemente fatti questa convinzione, poiché i Cattolici non avevano fatto in città un ingresso così pomposo come il loro, e quindi supponevano che fossero venuti con una scarsa rappresentanza.

12 - Verifica dei presenti. Il caso di Feliciano di Musti

In dodicesimo luogo, una volta entrati i vescovi cattolici, la cui presenza era reclamata, si fece l'appello nominale: a uno a uno sfilarono nel centro dell'aula e i Donatisti li poterono identificare o perché erano i loro viciniori o perché residenti nella stessa località.

E ogni volta che veniva proclamato il nome di un vescovo cattolico, che risiedeva dove non era il partito di Donato, essi venivano a sapere che là non c'erano loro colleghi o una loro comunità, ma che c'erano invece Cattolici, che o conoscevano o di cui avevano sentito parlare in prossimità del loro territorio.

Così si evitò nel modo più assoluto di leggere il nome di alcun cattolico, la cui presenza avrebbe potuto sollevare riserve da parte loro.

Certo, quando fu letto il nome di Vittoriano, vescovo cattolico di Musti, ed egli dirigendosi verso il centro comunicò che aveva due [ vescovi ] della parte avversa: Feliciano nella città di Musti e Donato nella località di Turris, i Cattolici esigettero che fosse appurato attraverso gli atti se Feliciano era in comunione con Primiano.

Infatti [ i Donatisti ] prima lo avevano condannato insieme ad altri con Massimiano perché aveva condannato Primiano e consacrato lo stesso Massimiano, poi lo avevano riammesso fra loro con tutta la sua dignità, senza annullare il battesimo di coloro che aveva battezzato durante lo scisma di Massimiano.

Ma essi non vollero rispondere alla richiesta dei Cattolici, dicendo che questo non si doveva esigere da loro.

E poiché le richieste si facevano più pressanti, affermarono che ciò riguardava già il nocciolo della questione.

Il giudice intervenne in loro favore, ordinando che si continuasse a trattare la questione iniziale, e riservando tale richiesta ad un secondo momento, qualora se ne ravvisasse l'opportunità.

A proposito poi della diocesi di Musti, fu evidente che anch'essi avevano aggiunto un altro vescovo a una sede antica, cosa di cui avevano accusato nella loro animosità i Cattolici.

Il seguito della vicenda dimostrò che avevano fatto questo anche per altre sedi.

13 - I Donatisti rifiutano di trattare la causa stando seduti, anziché in piedi

In tredicesimo luogo, una volta censiti e identificati come presenti i Cattolici che avevano firmato, il giudice propose cortesemente ai presenti di trattare la causa stando seduti anziché in piedi.

Ma i Donatisti si rifiutarono, pur ringraziandolo per aver offerto a vegliardi così degni la possibilità di star seduti, accompagnando questo rifiuto con molte lodi, rivolte a se stessi e all'indirizzo del giudice stesso.

Chi lo desidera, legga pure tutto ciò nel verbale degli atti.

Ma ecco ciò che tocca la questione: coloro che si profondevano in ossequi verso il giudice con gli appellativi di onorevole, giusto, rispettabile, benigno, non volevano però trattare la causa davanti a lui, per i cui buoni uffici erano convenuti in sì gran numero.

14 - Verifica dei firmatari e tergiversazioni dei Donatisti. Numero dei vescovi presenti

In quattordicesimo luogo fu presentato e letto anche il mandato dei Donatisti, redatto in forma breve, nel quale si ricordava ai propri delegati di trattare con gli interlocutori come se avessero di fronte traditori e persecutori.

Si lessero anche i loro nomi, a richiesta dei Cattolici, per appurare se avessero firmato soltanto coloro che erano presenti a Cartagine.

Furono comunque i Donatisti che, con ben maggiore insistenza, pretesero questo dal giudice, affinché risultasse in modo inequivocabile il loro maggior numero, e davano a vedere di volerlo con molta determinazione.

Ora, da quella lettura, risultò senz'ombra di dubbio che, in assenza di alcuni, altri avevano firmato al loro posto; anzi, poiché uno non aveva risposto all'appello, dissero che era morto durante il viaggio.

Di fronte alla domanda dei Cattolici come mai avesse potuto firmare a Cartagine uno che era morto in viaggio, essi tergiversarono a lungo innervositi, perché non sapevano che cosa rispondere.

In un primo tempo dissero che non si trattava di lui ma di un altro; e poiché i Cattolici pensavano che, parlando di un altro, alludessero a un chierico, che aveva potuto firmare al posto del defunto, fu chiesto loro se il chierico avesse firmato con il proprio nome o con quello del defunto.

Ma successivamente essi risposero che il vescovo in persona aveva firmato di presenza, poiché il mandato era stato pubblicato l'ottavo giorno delle calende di giugno; però, dato che aveva firmato essendo già ammalato, tornando a casa era morto.

A queste parole, i Cattolici chiesero che fosse letta la loro precedente dichiarazione affinché si rilevasse chiaramente la divergenza di opinione.

Ciò fatto, risultò in modo lampante la loro contraddizione, perciò il giudice chiese loro se almeno potevano confermare sotto giuramento che quel tale si trovava a Cartagine quando i vescovi là presenti avevano ordinato di firmare ai loro colleghi presenti.

Allora, ancor più adirati risposero: " Che importa se uno si è sostituito all'altro? ".

Il giudice, lasciando al giudizio di Dio questa loro scoperta menzogna, ordinò di proseguire nella lettura delle firme.

Terminato il controllo, chiese quanti fossero i vescovi delle due parti.

Il funzionario rispose che i nomi dei vescovi donatisti erano in totale duecentosettantanove, inclusi gli assenti, per i quali altri avevano firmato, e compreso anche il nome del defunto.

Invece il numero complessivo dei vescovi cattolici presenti risultò di duecentottantasei; venti in effetti non avevano firmato, che tuttavia si erano presentati al centro dell'aula nel corso dell'appello, ad eccezione di coloro che erano rimasti a Cartagine perché impediti dall'infermità, e avevano certificato con la loro presenza che conferivano il proprio mandato e il proprio consenso a ciò che attualmente si stava trattando.

Dunque, nella sede della conferenza, situata all'interno delle terme di Gargilio, prescelta finalmente perché di comune gradimento, al numero dei Cattolici che avevano firmato il mandato, o con la loro presenza avevano aderito a ciò che si trattava, mancavano solo quelli che erano stati trattenuti a Cartagine da infermità fisica.

Invece dalla lista delle firme dei Donatisti, non solo mancavano quelli che avevano dichiarato di essere infermi a Cartagine, ma anche coloro che avevano firmato per conto degli assenti, in quanto cioè non si trovavano a Cartagine.

E poiché i Donatisti si vantavano del loro numero, allora i Cattolici, senza tener conto del dato già appurato che essi erano convenuti a Cartagine in numero maggiore, ci tennero a sottolineare che dei loro non erano venuti a Cartagine altri centoventi vescovi: alcuni impediti dalla vecchiaia, altri dalla malattia, altri ancora da svariati impegni.

All'udire ciò, i Donatisti ribatterono che un numero ben maggiore di loro non era venuto a Cartagine, essendo molte le loro sedi vescovili prive di titolare; per questo nella loro notificazione, consegnata al giudice, avevano sottolineato in modo inequivocabile che erano venuti proprio tutti a Cartagine: né l'età, né la fatica avevano potuto sgomentare i più anziani, ma solo coloro che erano stati colpiti da infermità, in sede o durante il viaggio.

Intanto, circa l'affermazione sul numero delle loro sedi vescovili vacanti, fu risposto dai Cattolici che anch'essi ne avevano sessanta, per le quali non si era ancora provveduto a consacrare i successori.

E così, da un controllo degli elenchi delle firme di ambedue le parti, risultò che quelli dei Donatisti erano evidentemente falsificati e il numero dei loro vescovi era inferiore, dal momento che solo gli infermi non erano venuti a Cartagine, tanto più che per coloro che si erano ammalati in viaggio, altri avevano firmato.

Il conto totale delle firme, incluse quelle apposte da altri, ammontava a duecentosettantanove; ed è del tutto inverosimile che molto più di centoventi, cioè la terza parte di tutti costoro, avessero potuto ammalarsi nelle loro sedi e perciò fossero impossibilitati a venire a Cartagine.

15 - La conferenza viene aggiornata di comune accordo al dopodomani

In quindicesimo luogo, quando furono usciti tutti coloro, la cui presenza era ormai superflua, rimasero soltanto i membri strettamente indispensabili, scelti per rappresentare le singole parti.

Poiché il giorno volgeva al termine, la conferenza fu aggiornata di comune accordo al dopodomani.

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