Contro la lettera di Mani

16.20 - La natura della stessa anima, pur mutevole, non è trattenuta dallo spazio

Ma che dirò della verità e della sapienza, che sorpassa ogni potenza dell'anima, dal momento che la natura della stessa anima, pur mutevole, in nessun modo occupa uno spazio con il suo volume?

Qualsiasi cosa abbia infatti un certo spessore, non può essere diminuita se non per parti, trovandosi una parte qui e una lì.

Minore è infatti il dito di tutta la mano; e minore è un solo dito piuttosto che due; e un dito è qui, un altro lì, altrove il resto della mano.

Non solo nelle masse articolate dei corpi riscontriamo questa caratteristica; ma anche una parte della terra non si trova dove è un'altra, perché ciascuna occupa il suo posto; e una parte di un liquido è minore in uno spazio minore, maggiore in uno maggiore, e una parte è verso il fondo, l'altra presso il bordo del bicchiere.

Similmente le parti dell'aria riempiono ciascuna il proprio luogo; né si può fare in modo che l'aria di cui è riempita questa casa, allo stesso tempo possa avere con sé nella stessa casa anche quell'aria che hanno i vicini; una parte della stessa luce penetra attraverso questa finestra, un'altra attraverso quella; e maggiore quantità attraverso la maggiore, attraverso la minore invece minore quantità.

Né assolutamente può avvenire che un qualche corpo, celeste o terrestre, gassoso o liquido, non sia minore nella parte che nel tutto; né in alcun modo che si possa avere una parte nel posto di un'altra, ma una cosa è qui e una lì essendo distinta e divisa lungo un certo spazio, o piuttosto, per così dire, distesa in una estensione separata.

Invece la natura dell'anima, anche senza prendere in considerazione quella sua potenza con la quale comprende la verità, ma quella inferiore con la quale abbraccia il corpo e sente nel corpo, in nessun modo si trova che essa si distenda in uno spazio con una qualche grandezza.

Infatti è tutta disponibile nelle singole particelle del suo corpo, poiché tutta sente nei singoli punti: né la sua parte minore è nel dito, e la maggiore nel braccio, come lo stesso dito è minore del braccio; ma dovunque è uguale a se stessa, perché è tutta dovunque.

Quando si tocca infatti un dito, l'anima non sente per tutto il corpo, e tuttavia tutta intera sente.

Quel tocco infatti non la esaurisce nella sua interezza; ciò non accadrebbe infatti, se non fosse tutta disponibile.

Né è tutta disponibile in modo che quando tocca il dito e sente nel dito, tralascia il resto del corpo, e concentra se stessa in quell'unico punto in cui sente.

Viceversa mentre tutta la mano sente nel dito, se viene toccato un altro punto nel piede, non manca di sentire tutta anche qui: e così si trova tutta contemporaneamente in singoli punti distanti, non mancando in uno solo mentre è tutta nell'altro, né occupando entrambi come se una parte sia qui, lì l'altra; ma essendo in grado di presentarsi tutta contemporaneamente nei singoli punti, poiché tutta sente nei singoli punti, mostra a sufficienza che non è trattenuta dallo spazio.

17.20 - L'anima non è compresa dalle immagini dei luoghi più grandi, ma piuttosto le comprende

Perché, se pensiamo alla sua memoria, non delle cose intellegibili, ma di quelle corporee, quale anche le bestie sentono di avere ( infatti anche i giumenti trovano la strada senza errore attraverso luoghi noti, e le bestie ritornano alle loro tane, e i cani riconoscono i loro padroni, e persino mentre stanno dormendo generalmente mormorano, e talvolta erompono in un latrato, cosa che in alcun modo potrebbero compiere se non riversassero nella loro memoria le immagini delle cose viste o in qualunque modo sentite tramite il corpo ); chi penserebbe correttamente dove queste immagini siano catturate, dove siano conservate, o dove siano formate?

Se infatti non possono essere maggiori di quanto la capacità del nostro corpo sopporta, qualcuno potrebbe dire che l'anima raffigura e conserva queste immagini tra gli stessi spazi del proprio corpo nei quali anche quelle sono rinchiuse.

Ora invero giacché il corpo occupa un'esigua parte della terra, l'animo fa scorrere le immagini delle immense regioni del cielo e della terra, e non è reso angusto verso quelle che si allontanano e si avvicinano a frotte: e di qui si dimostra che non è diffuso attraverso i luoghi, perché non è per così dire compreso dalle immagini dei luoghi più grandi, ma piuttosto le comprende; non in qualche piega, ma per la forza e potenza ineffabile, grazie alla quale si può aggiungere o togliere a quelle qualsiasi cosa, e contrarle in uno spazio angusto, ed espanderle all'infinito, e ordinarle come si vuole, e scompigliarle e moltiplicarle, e farle di nuovo diventare poche e una sola.

18.20 - Quella potenza, con la quale l'anima comprende la verità

Che dirò ora di quella potenza, con la quale si comprende la verità e per mezzo della quale si resiste con grande energia alle immagini che, percepite dai sensi del corpo, vengono raffigurate, immagini che si spacciano per verità?

Per mezzo di essa, sembra ad esempio che una sia la vera Cartagine, un'altra quella che si rappresenta col pensiero, e passa dall'una all'altra con facilità a suo piacimento: dalla stessa potenza sembra che provengano con facilità gli innumerevoli mondi, nei quali ha divagato innumerevoli volte la riflessione di Epicuro; e, per non prolungarmi oltre, dalla stessa con facilità sembra che provenga questa terra di luce distesa per spazi infiniti, e i cinque antri con i suoi abitanti della stirpe delle tenebre, nei quali le fantasie di Mani hanno osato usurpare per sé il nome della verità.

Che cosa è dunque questa potenza che discerne tali cose? Senza dubbio, per quanto grande sia, è maggiore di tutte queste cose, ed è concepita senza immaginare in tal modo le cose.

Trova spazi per questa, se ci riesci; diffondila per i luoghi, distendila con la massa di una mole infinita.

Senza dubbio, se ci pensi bene, non potrai farlo.

Qualunque cosa infatti di tal genere ti si presenterà, sei convinto che con il pensiero la puoi dividere in parti, e far in modo che qui ci sia una parte minore, un'altra maggiore a piacimento.

Ma capisci che quella stessa facoltà, con cui giudichi queste cose, è superiore, non per altezza nello spazio, ma per dignità di potenza.

19.21 - Se l'anima non è diffusa ed estesa per luoghi, tanto meno Dio stesso, che sta incrollabile ed immutabile sopra tutte le menti razionali

Perciò, se l'anima tante volte è mutevole, o per la gran moltitudine delle varie volontà, o per gli affetti che si flettono per l'abbondanza o la scarsezza delle cose, o per gli stessi innumerevoli giochi delle fantasie, o per la dimenticanza e la memoria, o per la dottrina e l'imperizia; se dunque l'anima, come ho detto, per questi e simili moti è tanto mutevole, ti accorgi che non è diffusa ed estesa attraverso i luoghi, ma che supera tutti questi spazi con l'energia della potenza: che cosa si deve pensare o ritenere su Dio stesso, che stando incrollabile ed immutabile sopra tutte le menti razionali, attribuisce ciò che c'è da attribuire ad ognuno?

L'anima osa più facilmente esprimerlo, che vederlo: e tanto meno lo esprimerà, quanto più sinceramente lo avrà potuto vedere.

Tuttavia se, come strepitano le fantasie di Mani, egli fosse chiuso da una parte con uno spazio determinato, mentre dalle altre parti fosse esteso in uno spazio immenso; allora un qualsivoglia numero di particelle sarebbero distribuite in lui, e innumerevoli pezzi, alcuni maggiori, altri minori ad arbitrio di chi pensa; cosicché una parte di due piedi, per esempio, avrebbe otto parti in meno di una parte di dieci piedi.

Ciò infatti è necessario che avvenga in tutte le nature, le quali essendo diffuse per spazi tanto grandi non possono essere tutte dovunque: proprietà che non si ritrova nella stessa anima, e coloro che non sono capaci di comprendere ciò, hanno riguardo a quella opinioni anormali e orribili.

20.22 - Dicano che cosa era aggiunta alla terra della luce, se da un lato c'era la stirpe delle tenebre

Ciononostante non si deve probabilmente agire così con le anime carnali, ma bisogna scendere piuttosto alle loro idee, esse che, nel riflettere, o non osano o non sono ancora capaci di seguire più facilmente la natura incorporea e spirituale; a tal punto che non prendono in considerazione la loro stessa idea, ed escogitano che quella che non ha nessuno spazio sia giudicabile in rapporto allo spazio stesso.

Scendiamo dunque alle intuizioni di costoro, e chiediamo loro, presso qual parte e presso che lato, per usare le parole di Mani, di quella insigne e santa terra c'era la terra delle tenebre.

Dice, infatti, presso una sola parte e lato, non dice qual parte, o che lato, se il destro o il sinistro.

Ma qualsiasi lato scelgano, una cosa è senza dubbio chiara: che non si può parlare di un lato, se non quando esiste anche un altro lato.

Invece dove i lati siano tre o più, o si capisca dove termina il contorno della figura, o se da una qualche parte si stende all'infinito, tuttavia da quelli che sono detti lati è necessariamente finita.

Dicano dunque, da un lato, o da altri lati, che cosa c'era accanto alla terra della luce, se da un lato c'era la stirpe delle tenebre?

Non lo dicono: ma quando sono costretti a dirlo, affermano che sono infiniti gli altri lati di quella terra che chiamano della luce, cioè, che essa è distesa attraverso spazi infiniti e non è costretta da alcun confine.

Né capiscono che ormai non ci sono lati, cosa che è chiarissima anche ad un intelletto tardo.

Allora infatti vi sarebbero i lati, se fosse limitata dai propri confini. Che cosa mi importa, dice, se non ci sono lati?

Ma quando tu dicevi presso una sola parte e lato, ci costringevi a capire un'altra parte o parti, e un altro lato o lati. Infatti se c'era un unico lato soltanto, si doveva dire " soltanto presso un lato ", non presso un solo lato.

Come nel nostro corpo diciamo giustamente che c'è qualcosa presso un solo occhio, perché c'è un altro occhio; o presso una sola mammella, perché c'è l'altra.

Se invece diciamo presso un solo naso, o presso un solo ombelico, non essendocene un altro, saremmo irrisi da dotti e indotti.

Ma non ti sto addosso con le parole: probabilmente lo hai voluto chiamare uno solo come se fosse unico.

21.22 - Due terre possono essere congiunte tra loro per i lati, solo se sono entrambe corporee

Che cosa dunque c'era presso quel lato della terra, che chiami insigne e santa?

La terra, tu dici, delle tenebre. Ma, riguardo a questa terra, concedi almeno che fosse corporea?

È necessario che tu dica questo; dal momento che tu asserisci che di là hanno origine tutti i corpi.

Perché dunque, vi chiedo, benché tardi, benché uomini carnali, non capite una buona volta che per i lati non possono essere congiunte entrambe le terre, se non sono entrambe corporee?

Perché dunque veniva detto a noi che eravamo stravolti da non so qual cecità, che soltanto la terra delle tenebre era stata o era corporea; mentre quella che era detta terra della luce bisognava credere che fosse incorporea e spirituale?

Oh uomini buoni, svegliamoci una buona volta! E almeno ora che siamo stati sufficientemente ammoniti, ammettiamo ciò che è assai facile, ossia che due terre non possono essere congiunte tra loro per i lati, se non siano entrambe corporee.

21.23 - Come i Manichei si comportano con i ricercatori più attenti e diligenti

O se siamo ancora crassi e tardi in queste idee, chiedo se la stessa terra delle tenebre avesse un solo lato, e gli altri infiniti, come la terra della luce.

Non credono così; hanno paura infatti di farla sembrare uguale a Dio.

Dicono dunque che quella è immensa in profondità e in lunghezza: dal lato di sopra invece affermano che ci siano all'infinito spazi di vuoto.

E affinché quella stessa non sembri occupare uno spazio, mentre la terra della luce sembri occuparne il doppio, la delimitano anche da due lati.

Come se un solo pane ( con questo esempio infatti ciò che si dice può essere capito più facilmente ) venga foggiato a forma di croce in quattro pezzi, dei quali tre siano bianchi, uno nero: togli il bordo solo dei tre bianchi e fai che quelli siano dal lato di sopra e dal lato di sotto, e dalla parte di dietro infiniti: così da costoro è creduta la terra della luce.

Invece il quadrato nero fallo dal lato di sotto e di dietro infinito, invece fa' che di sopra abbia un immenso vuoto: così concepiscono la terra delle tenebre.

Ma mostrano queste cose come segreti a coloro che sono assai attenti e che con impegno pongono interrogativi.

22.23 - La figura della terra della luce appare brutta

Perciò se la questione è così, appare chiaro che la terra delle tenebre è toccata dalla terra della luce da due lati.

E senz'altro se è toccata da due, tocca a sua volta anche due.

Certamente presso un solo lato c'era la terra delle tenebre.

22.24 - Quindi la figura della terra della luce appare brutta quanto un'unghia spezzata da un cuneo nero stretto di sotto, finita soltanto da quella parte dove è spezzata, ed essendo aperta ed estesa dal lato di sopra dove è interposto il vuoto, tutto ciò che va dalla superficie della terra delle tenebre verso il lato di sopra è immenso.

Quanto dunque appare migliore la figura della stessa terra delle tenebre: se quella divide, questa è divisa; quella è inserita, questa è aperta in mezzo; quella in sé non offre alcuno spazio al vuoto, questa soltanto dalla parte inferiore non è aperta, dalla qual parte è riempita da un cuneo ostile.

Dunque essi sono uomini indotti e avidi nell'attribuire un maggiore onore alla moltitudine delle parti piuttosto che all'unità, cosicché danno sei parti alla terra della luce, tre dal lato di sopra, tre dal lato di sotto: hanno preferito che la terra della luce sia penetrata piuttosto che penetri.

Infatti, anche se negano che questo modo di rappresentare implichi una mescolanza, tuttavia non possono negare che sia penetrata.

23.25 - Gli uomini carnali, in confronto ai Manichei, hanno una visione più tollerabile e onesta di Dio

Prendi ora in considerazione, non tanto gli uomini spirituali di fede cattolica - nei quali l'animo, per quanto può in questa vita, comprende che la sostanza e la natura divina non è tesa in alcuno spazio, non è raffigurata in alcuna dimensione di contorno -; ma prendi in considerazione quelli dei nostri che sono carnali e piccoli, i quali, allorché sentono parlare sotto forma d'allegoria delle membra del nostro corpo - come quando si parla di occhi di Dio e orecchie di Dio -, sono soliti raffigurarsi, con la libertà della immaginazione, Dio con la forma di corpo umano.

Paragona ora costoro con quei Manichei che sono soliti descrivere queste sciocchezze ad uomini zelanti e curiosi come dei grandi segreti; e considera chi abbia una visione più tollerabile e onesta di Dio: se quelli che lo pensano in forma umana, fornita nella sua specie di somma dignità, o quelli che lo pensano diffuso in una mole infinita; non tuttavia ovunque, ma infinito e condensato in tre quadrati, in un altro invece diviso, che si estende, si apre, allargato più in alto nel vuoto, incuneato più in basso nella terra delle tenebre; o, se è meglio dire così, aperto in alto per la propria natura, penetrato in basso da una aliena.

Ecco io con te derido gli uomini carnali, che non possono ancora pensare cose spirituali, in quanto stimano che Dio abbia forma umana; deridi anche tu con me, se puoi, coloro che con una riflessione tanto miserabile si immaginano una natura di Dio tanto deforme e turpe da dividersi e scindersi, tanto vanamente spaccata di sopra, tanto vergognosamente otturata di sotto.

Giacché c'è anche una differenza: questi carnali che pensano Dio in forma umana, se restano paghi in grembo alla Chiesa cattolica, dovendo essere nutriti con il latte, non si gettino in opinioni temerarie, ma qui alimentino il pio desiderio di chiedere, qui chiedano per ricevere, qui bussino affinché gli si apra; incominciano a capire in modo spirituale le allegorie e le parabole delle Scritture, e a poco a poco a conoscere che le divine potenze, convenientemente vengono enunciate ora con il nome delle orecchie, ora degli occhi, ora delle mani o dei piedi, o anche delle ali e delle penne, dello scudo e anche della spada e dell'elmo, e di innumerevoli simili cose.

Quanto più progrediscono in tale conoscenza, tanto più sono confermati di essere dei cattolici.

Invece i Manichei, quando avranno abbandonato il modo di immaginarsi quella figura, non potranno più essere Manichei.

Infatti attribuiscono a lode del proprio fondatore, quasi fosse sua caratteristica propria e principale, l'essere stato riservato a lui, che sarebbe venuto per ultimo, di risolvere e dimostrare quelle verità che dagli antichi, quali misteri divini, erano state consegnate in maniera figurata nei libri.

E per tale ragione ritengono che dopo di lui nessun maestro divinamente ispirato debba ancora venire, poiché costui non ha detto nulla mediante allegorie e figure, mentre invece ha svelato ciò che era stato tale presso gli antichi, ed ha mostrato le sue dottrine in modo chiaro e manifesto.

Costoro non hanno a quale interpretazione rivolgersi, dal momento che dal loro fondatore si legge invero presso una sola parte e lato di quella insigne e santa terra c'era la terra delle tenebre.

Dovunque si gireranno, è necessario che, costretti dalla miseria delle loro immaginazioni, cadano nelle scissioni o nei tagli improvvisi e nelle giunture, o nelle turpissime congiunzioni; è inutile dire che è tristissimo credere tali cose non solo riguardo alla natura immutabile di Dio, ma di ogni natura incorporea, quantunque mutevole, quale può essere l'anima.

E anche se non fossi in grado di rivolgermi verso cose superiori e non fossi capace di sviare le mie riflessioni dalle false immaginazioni, che porto fisse nella memoria attraverso i sensi del corpo, verso la libertà e la purezza della natura spirituale, tuttavia quanto è meglio pensare Dio con la forma di corpo umano, piuttosto che inchiodare alla fenditura del suo lato inferiore quel nero cuneo, e lasciare dal lato superiore un'estensione vastissima, non trovando donde ostruirla, che si estenda e si apra in un così immenso vuoto!

Che c'è di più triste di questa opinione? Cosa può essere detto e immaginato di più tenebroso di questo errore?

24.26 - Sulle molte nature inventate da Mani

Quindi voglio che mi si dica - quando leggo: Dio Padre e i suoi regni fondati sopra la terra lucente e beata -, se il Padre, i suoi regni e la terra siano di una sola e medesima sostanza e natura.

Perché se è così, quel cuneo della stirpe delle tenebre spacca e penetra non più una qualche altra natura, che sia quasi il corpo di Dio; cosa che sarebbe certamente lo stesso turpissima per indicibile deformità; ma quel cuneo della terra delle tenebre spacca e penetra proprio la stessa natura divina.

Vi prego, riflettete su ciò: siete esseri umani; vi prego, riflettete su queste cose e fuggite, e strappate via dai petti - se ciò è possibile - l'empietà di queste immaginazioni, sradicatele dalla vostra fede e scacciatele.

Forse state per dire che quei tre non sono di una sola e medesima natura, ma di una il Padre, di una i regni, di un'altra la terra, affinché i singoli abbiano diverse le proprie nature e sostanze, e siano ordinate per gradi di importanza?

Se ciò è vero, Mani avrebbe dovuto predicare non due, ma quattro nature.

Invece se il Padre e i regni hanno una sola natura, mentre la sola terra è diversa, tre dovevano essere le nature da predicare.

O se preferiva parlare di due nature, per il fatto che la terra delle tenebre non appartiene a Dio, vi chiedo in che modo sia appartenente a Dio la terra della luce.

Se infatti ha una natura diversa, ed egli non l'ha generata né creata, allora non appartiene a lui, e i suoi regni sono posti in un luogo estraneo.

O se gli è pertinente perché è vicina, sia pertinente anche la terra delle tenebre, che non solo, essendole vicina, tocca la terra della luce, ma che penetra anche al suo interno.

Se invece l'ha generata, non è opportuno che si creda che abbia una natura diversa.

Ciò che infatti Dio ha generato, è necessario si creda che sia ciò che Dio è, come nella Catholica si crede del Figlio unigenito.

Per cui necessariamente dovete fuggire e detestare quella turpitudine di quel cuneo nero che spacca non la terra, come se fosse estranea e diversa, ma la stessa natura di Dio.

Se infatti questa terra Dio non l'ha generata, ma creata, vi chiedo da dove l'avrebbe creata.

Se da se stesso, che c'è di diverso dall'averla generata? Se da una qualche natura estranea, vi chiedo se questa sia buona o malvagia.

Se è buona, ne consegue che esisteva una qualche natura buona che non si riferiva a Dio: cosa che assolutamente non oserete dire.

Se invece è malvagia, allora la stirpe delle tenebre non era la sola natura malvagia.

Forse che Dio aveva preso da quella una sua parte, da convertire nella terra della luce, e stabilire sopra di quella i suoi regni?

Ma allora l'avrebbe presa tutta, affinché fosse annullata una volta per sempre la natura malvagia.

Se non ha creato la terra della luce da una sostanza estranea, resta soltanto che l'abbia creata dal nulla.

25.27 - Chi non ammette la creazione dal nulla, cade necessariamente in opinioni sacrileghe

Perciò se vi si persuadesse che Dio onnipotente può creare qualcosa di buono dal nulla, venite alla Cattolica; e imparate che tutte le nature che Dio ha creato e fondato, ordinate per gradi di importanza, dalle somme alle infime, tutte sono buone, ma alcune sono migliori di altre.

E sono state create dal nulla, poiché Dio creatore opera potentemente attraverso la sua sapienza - per così dire - per fare esistere ciò che non era; e in quanto era, era buono: in quanto invece mancava di essere, faceva capire di non essere generato da Dio, ma da lui stesso creato dal nulla.

Non trovate infatti cosa vi trattiene, se esaminate la questione: non potete dire che quella terra della luce che voi descrivete sia ciò che è Dio, affinché non avvenga che la stessa natura divina resti circoscritta nella turpitudine di quel quadrato; né da lui generata, affinché non si sia costretti a capire nientemeno che sia Dio, e si ritorni alla stessa deformità; né estranea da lui, affinché non capiti che abbia posto i regni in un luogo che gli è estraneo, e siamo costretti a parlare non di due, ma di tre nature; né la sostanza è creata da lui stesso da una estranea, affinché non avvenga che ci sia qualcos'altro di buono al di fuori di Dio, o di male al di fuori della stirpe delle tenebre.

Vi rimane dunque da ammettere che Dio ha creato la terra della luce dal nulla; dovete riconoscere che se Dio ha potuto creare dal nulla un qualche grande bene, che tuttavia sia a lui stesso inferiore, ha potuto anche - perché è buono, e non rigetta alcuna cosa buona - fare un altro bene, che fosse inferiore a quello precedente; ha potuto farne anche un terzo al quale il secondo fosse preposto, e quindi fino al più basso bene disporre l'ordine delle nature create, finché la totalità di esse non si dissolvesse incerta in un numero indefinito, ma avesse consistenza delimitata in un numero certo. O se non volete ammettere che Dio ha creato questa terra della luce dal nulla, non vi sarà via d'uscita attraverso cui sfuggiate a tali turpitudini e ad opinioni tanto sacrileghe.

25.28 - La Lettera del Fondamento dice assurdità sulla congiunzione delle terre fra di loro

O vedete almeno - giacché il pensiero carnale ha la facoltà di pensare quali fantasticherie preferisca - se non possiate per caso trovare un'altra forma qualsiasi a questa congiunzione delle due terre, in modo che non si presentino all'animo le cose sotto un aspetto tanto detestabile e da avversare: cioè che la terra di Dio - o sia della stessa natura della quale è Dio, o di una diversa, nella quale tuttavia siano fondati i regni di Dio - in tal modo si estenda con una mole ingente attraverso l'immensità, da giacere attraverso l'infinito con le membra distese e aperte, con le quali accolga in modo tanto ignominioso e turpe dalla parte inferiore quel cuneo impresso di immensa grandezza della terra delle tenebre.

Ma anche se voi riuscite a trovare un altro modo di rappresentare la figura, secondo cui queste due terre si congiungono tra loro, non potete senza dubbio cancellare le lettere di Mani: non dico le altre nelle quali più dettagliatamente ha descritto queste cose; infatti, forse perché sono note ad un minor numero di persone, sembrano presentare minore pericolo; ma questa stessa di cui si tratta in questa sede, la Lettera del Fondamento, la quale solitamente è notissima a quasi tutti coloro che presso di voi sono detti illuminati.

Qui effettivamente è scritto così: invero presso una sola parte e lato di quella insigne e santa terra, c'era la terra delle tenebre di profonda ed immensa grandezza.

26.28 - Il lato in cui le due terre si congiungono è retto o curvo o tortuoso?

Che ci aspettiamo di più? Sappiamo con certezza ciò che c'era presso il lato.

Ora voi create le figure nel modo che vi è più gradito, e vi raffigurate le cose sotto le sembianze che vi piacciono; certamente quella mole dell'immensa terra delle tenebre era congiunta alla terra della luce, o con un lato retto, o curvo, o tortuoso.

Ma se è tortuoso, allora anche la terra santa deve avere un lato tortuoso: infatti se essa ha un lato retto, ed è toccata da un lato tortuoso di quella, si formano in mezzo alcune profonde caverne vuote all'infinito, né già sopra la terra c'era soltanto il vuoto delle tenebre, come eravamo soliti udire.

Perché se è così, non sarebbe stato meglio spostare la terra della luce molto più lontano, e interporre tanto di quel vuoto, che la terra delle tenebre non potesse assolutamente essere toccata da alcuna parte?

Anzi bisognerebbe aprire anche un tale spazio di profondità di vuoto, affinché se sorgesse qualche malvagità di quella gente, quand'anche i principi delle tenebre volessero sconsideratamente entrarvi ( poiché i corpi non possono volare, se non sono sostenuti da un'atmosfera materiale ), precipitati in quel vuoto, e per il fatto che verso il basso c'è l'infinito, non toccando mai il fondo, anche se per sempre possono vivere tuttavia mai potrebbero nuocere mentre sono eternamente portati all'indietro.

Se invece era unita con un lato curvo, anche la terra della luce l'accoglieva irregolarmente con un seno ricurvo.

O se questa curva era volta verso l'interno come una specie di teatro, la parte curva della terra della luce accolta in tale seno veniva abbracciata con un amplesso non meno deforme.

O se questa aveva il lato curvo, e quella retto, non la toccava lungo tutto il lato.

E comunque era meglio, come ho detto prima, che non toccasse da nessuna parte, e fosse frapposto soltanto il vuoto, affinché fossero divise da un giusto intervallo le due terre, e non si permettesse di nuocere per nulla a quei malvagi temerari che precipitavano nell'infinito.

Che se con un lato retto toccava il lato retto, non vedo certo alcun rifugio o frattura: ma vedo che le due terre stanno in una tale reciproca pace e concordia, che non ci potrebbe essere un'unione più perfetta.

Che c'è di più mirabile, cosa è più conveniente della congiunzione del lato retto al retto in modo che non ci sia da nessuna parte una qualche curva o piega che rompa o separi la giuntura naturale e stabile fin dall'infinita eternità per uno spazio infinito?

E tali lati retti di entrambe le terre, anche se sono separati dal vuoto interposto, non soltanto per se stessi sono belli, perché sono tanto retti: ma essendo interposto un certo spazio collimerebbero così bene tra di loro, che di qui e di là gli eguali tratti rettilinei sarebbero eguali anche senza alcuna congiunzione, ma solo per il fatto che sono somiglianti sarebbero concordi in un'unica bellezza.

Quando si verifica questa congiunzione, non trovo cosa ci sia di più concorde e pacato di queste due terre, né che cosa si possa dire o pensare di più bello dell'unione di due lati retti.

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