La musica

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I ritmi sensibili e il corpo

2.2 - Il ritmo sensibile nel suono …

Pertanto, amico mio, col quale ora sto ragionando per passare dalle cose materiali a quelle spirituali, rispondimi, se vuoi.

Quando noi pronunciamo questo verso: Deus creator omnium,1 dove pensi che siano i quattro giambi, di cui è formato, e i dodici tempi, cioè soltanto nel suono che si ascolta, o anche nell'udito di chi lo ascolta e anche nell'azione di chi lo pronuncia?

Oppure, essendo questo verso conosciuto, bisogna ammettere che questi ritmi sono anche nella nostra memoria?

D. - In tutti questi luoghi, penso.

M. - E anche in altri?

D. - Altro non ne vedo, a meno che forse non vi sia una qualche facoltà interiore e superiore, da cui questi ritmi derivano.

M. - Io non chiedo che cosa si possa supporre.

Perciò se questi quattro modi ti sembrano tali che non ne vedi un altro ugualmente evidente, distinguiamoli, se ti va, gli uni dagli altri ed esaminiamo se se ne può avere uno senza gli altri.

Non potrai negare infatti, credo, la possibilità che in qualche luogo si verifichi un suono, il quale percuota l'aria con frequenza uniforme e di brevi pause, ad esempio per stillicidio o qualche altro urto di corpi e che non vi sia alcuno che ascolti.

Quando ciò avviene, si può avere, oltre il primo modo, cioè che il suono stesso ha i ritmi, un altro dei quattro modi?

D. - Nessun altro, secondo me.

2.3 - … nell'udito …

M. - E il ritmo che è nell'udito di chi ascolta si potrebbe avere, se non vi fosse alcun suono?

Non chiedo se l'udito ha la facoltà di percepire un suono reale, poiché non ne è privo anche se manca il suono ed anche quando vi è silenzio, esso differisce da quello dei sordi.

Chiedo se esso percepisce dei ritmi anche se non vi è suono.

Poiché una cosa è avere dei ritmi e un'altra poter percepire un suono ritmico.

Se infatti si tocca con un dito un punto sensoriale del corpo, il ritmo è percepito con l'atto del toccare ogni volta che si tocca e quando è percepito, chi percepisce non ne è privo.

Non si domanda quindi se rimane la sensazione, ma il ritmo anche se nessuno tocca.

D. - Io non direi con tanta disinvoltura che, anche prima che si produca un suono, il senso sia privo di tali ritmi sussistenti in lui.

Altrimenti non potrebbe godere della loro ritmicità o essere infastidito dalla loro dissonanza.

Ed io chiamo ritmo dell'udito stesso questo qualche cosa, con cui per attività spontanea e non riflessa si gradisce o si rifiuta un suono reale.

Infatti la facoltà di gradire o rifiutare non si produce nel mio udito nell'atto che odo il suono poiché l'udito è ugualmente disposto per i suoni gradevoli e per quelli sgradevoli.

M. - Piuttosto cerca di capire che le due cose non si devono confondere.

Se infatti si pronuncia un verso qualsiasi, ora più rapidamente, ora più lentamente, esso necessariamente non conserva la medesima durata di tempo, anche se si impiega il medesimo schema di piedi.

È dunque la facoltà con cui si gradiscono i suoni ritmici e si rifiutano quelli aritmici a far sì che il verso diletti l'udito nella figura che gli è propria.

Al contrario il fatto che il verso sia percepito in tempo più breve se è declamato più velocemente di quanto è declamato più lentamente ha rilevanza soltanto quando l'udito è stimolato dal suono.

Dunque la modificazione dell'udito quando è stimolato dal suono non è certamente la medesima di quando non è stimolato da alcun suono.

Come appunto l'udire differisce dal non udire, così differisce udire un suono o udirne un altro.

Dunque la modificazione non si prolunga al di là e non si restringe al di qua, poiché è la durata del suono che la produce. 

uindi altra è nel giambo, altra nel tribraco, più lunga nel giambo pronunciato più lentamente e più breve nel giambo pronunciato più celermente, e non si ha nella pausa.

E se la modificazione è prodotta da una frase ritmica, anche essa necessariamente è ritmica.

E non può aversi se non si ha il suono come sua causa.

È simile in definitiva alla figura delineata nell'acqua; essa non si ha prima che il corpo vi venga immerso e non rimane quando il corpo viene allontanato.

In realtà la spontanea facoltà, per così dire, capace di giudizio, che è presente nell'udito, non cessa di esistere nel silenzio e non ce l'apporta il suono che gradevole o sgradevole viene da essa ricevuto.

Pertanto questi due primi modi, se non mi inganno, devono essere considerati come distinti.

Si deve quindi riconoscere che i ritmi presenti nella modificazione stessa dell'udito, quando si ha lo stimolo uditivo, sono apportati dal suono e tolti dal silenzio.

Ne segue che i ritmi presenti nel suono stesso possono aversi senza quelli che si hanno nell'atto dell'udire, mentre questi ultimi non si possono avere senza i primi.

3.4 - … nella dizione e nella memoria …

D. - Sono d'accordo.

M. - Considera dunque il terzo modo che è nella stessa tecnica e azione di chi pronuncia.

Esamina se questi ritmi si possono dare senza quelli che sono nella memoria.

Infatti, anche restando in silenzio, possiamo svolgere in noi stessi certi ritmi rappresentandoceli con la durata di tempo con cui sarebbero svolti mediante la dizione.

Evidentemente questi ritmi si hanno in una determinata azione della coscienza che non proferisce alcun suono e non produce modificazione nell'udito.

Quindi tale azione è prova che questo modo può aversi senza i primi due, di cui uno è nel suono, l'altro in chi ascolta.

Ma noi cerchiamo se si avrebbe senza che intervenga la memoria.

Ora se l'anima produce i ritmi che troviamo nel pulsare delle vene, il problema è risolto, poiché essi evidentemente si hanno mediante un'azione e per averli non siamo aiutati dalla memoria.

E se per quanto li riguarda si rimane dubbiosi che derivino da un'attività dell'anima, riguardo a quelli invece che produciamo aspirando e respirando non v'è dubbio che siano ritmi per gli intervalli di tempo e che l'anima li produce in maniera tale che con l'intervento della volontà può variarli in molti modi e tuttavia perché siano prodotti non v'è alcun bisogno della memoria.

D. - A me sembra che questo modo può aversi senza gli altri tre.

E sebbene io non metta in dubbio che le pulsazioni delle vene e la frequenza della respirazione variano in rapporto alla condizione fisica dei corpi, non si può negare tuttavia che il fenomeno avviene per azione dell'anima.

Ed anche se questo dinamismo, in rapporto alla diversità dei corpi, in alcuni è più veloce, in altri più lento, non si avrebbe tuttavia se non fosse l'anima che lo attiva.

M. - Considera allora anche il quarto modo, cioè di quei ritmi che sono nella memoria.

Infatti se li riscopriamo col ricordo, e quando ci portiamo ad altre rappresentazioni, li abbandoniamo di nuovo come riposti nei loro nascondigli, è evidente, come penso, che si possano avere senza gli altri.

D. - Non dubito che si possono avere senza gli altri, tuttavia se essi non fossero stati uditi o rappresentati, non sarebbero affidati alla memoria.

Perciò, anche se restano quando gli altri cessano, sono in noi impressi da essi che li precedono.

4.5 - … e un quinto nel giudizio dell'udito …

M. - Non mi oppongo e vorrei chiederti ormai quale di questi quattro modi giudichi il più eccellente.

Senonché sto pensando che nell'esaminare quei modi ne é venuto fuori, non so da dove, un quinto che è nello stesso giudizio spontaneo dell'udito, quando si prova diletto nella eguaglianza dei ritmi, o se v'è qualche difetto si rimane infastiditi.

Io non respingo la tua opinione che il nostro udito, senza certi ritmi, di cui ha l'abito, non potrebbe formulare tale giudizio.

O pensi che una facoltà così alta appartenga a uno di questi quattro modi?

D. - Penso che questo modo deve esser distinto da tutti gli altri.

Una cosa infatti è produrre suoni, che si attribuisce ai corpi, altro è udire che è una modificazione subita dall'anima nel corpo mediante i suoni, altro è attivare dei ritmi più lentamente o più velocemente, altro è ricordarli, altro infine è pronunciare, come per un diritto nativo, una sentenza su tutti questi dati o gradendoli o rifiutandoli.

4.6 - … che è superiore agli altri

M. - Ed ora dimmi quale di questi cinque modi è il più eccellente.

D. - Il quinto, secondo me.

M. - Hai ragione. Infatti non potrebbe giudicare gli altri, se non fosse superiore ad essi.

Ma torno a chiedere quale degli altri quattro ritieni di maggior pregio.

D. - Certamente quello che è nella memoria, poiché vedo che in essa i ritmi permangono più a lungo di quando sono prodotti come suono, di quando sono uditi e di quando derivano dall'azione.

M. - Tu dunque giudichi gli effetti superiori alle cause.

Hai detto poco fa che questi ritmi sono impressi nella memoria dagli altri.

D. - Non vorrei, ma d'altronde non vedo perché non dovrei giudicare cose che permangono più a lungo superiori a cose che permangono di meno.

M. - Questa constatazione non influisca su di te.

Le cose eterne si devono ritenere superiori a quelle temporali, ma non per questo le cose che deperiscono in un tempo più lungo si devono giudicare superiori a quelle che fluiscono più velocemente.

La salute di un sol giorno vale certamente di più della infermità di molti giorni.

E tanto per limitarci al confronto di oggetti egualmente desiderabili, vale di più il leggere di un giorno che lo scrivere di più giorni, se il testo scritto in più giorni può esser letto in un sol giorno.

Così i ritmi che si hanno nella memoria permangono più a lungo di quelli, da cui sono impressi, tuttavia non bisogna considerarli più perfetti di quelli che si hanno nell'azione derivante dall'anima e non dal corpo.

In realtà entrambi tendono al non essere, gli uni per inattività, gli altri per oblio.

Sembra però che i ritmi derivanti dall'azione, anche prima che si cessi di agire, siano fatti scomparire da quelli che seguono, nell'atto che succedendosi i primi lasciano il posto ai secondi, i secondi ai terzi e così di seguito quelli che vengono prima a quelli che vengono dopo fino a che l'inattività pone fine agli ultimi.

Con l'oblio invece vengono cancellati insieme, anche se a poco a poco, molti ritmi, poiché anche essi non rimangono a lungo nella loro compiutezza.

Ad esempio, un ricordo che dopo un anno non esiste più nella memoria è già indebolito anche dopo un sol giorno.

Questo indebolimento però non è avvertito.

Tuttavia non erroneamente si può dedurlo dal fatto che il ricordo non svanisce tutto all'improvviso il giorno prima che si completi l'anno.

Se ne può dedurre che comincia a sfuggire dal momento che è impresso nella memoria.

Da ciò quel comune modo di dire: " Ricordo vagamente ", quando dopo un po' di tempo si richiama col ricordo qualche cosa, prima che svanisca completamente.

Perciò l'uno e l'altro modo di essere del ritmo ha una fine.

Tuttavia giustamente le cause si antepongono agli effetti.

D. - Capisco e sono d'accordo.

4.7 - Maggiore e minore corporeità dei ritmi

M. - Esamina ora gli altri tre modi di essere dei ritmi ed esponi anche di essi quale sia il più perfetto e da considerarsi superiore agli altri.

D. - Non è facile. Da quella regola, per cui bisogna anteporre le cause agli effetti, sono costretto a dare la palma ai ritmi nella fonte sonora.

Infatti noi li percepiamo con l'udito e percependoli ne siamo modificati.

Essi dunque producono quelli che sono nella modificazione dell'udito nell'atto di udire.

A loro volta questi ritmi che si hanno con la percezione ne producono altri nella memoria e sono ragionevolmente da considerarsi più perfetti di essi perché li producono.

E fin qui, giacché percepire e ricordare sono propri dell'anima, non provo indecisione se devo reputare una facoltà dell'anima più perfetta di un'altra che è egualmente in essa.

Mi rende indeciso il dover considerare i ritmi della fonte sonora, che certamente è del corpo o in qualche modo nel corpo, più elevati di quelli che si riscontrano nell'anima nell'atto del percepire.

Ma qui di nuovo mi rende indeciso il non doverli considerare più elevati, dal momento che essi producono, gli altri sono da essi prodotti.

M. - Meravigliati piuttosto del fatto che il corpo può agire sull'anima.

Forse non lo potrebbe se il corpo, che l'anima informava e dirigeva ai fini senza alcuna pena e con somma facilità, volto al peggio dal primo peccato, non fosse sottoposto alla concupiscenza e alla morte.

Ma esso conserva tuttavia una bellezza nell'ordine del sensibile e perciò stesso fa risaltare la dignità dell'anima, la cui ferita e malattia non meritarono di rimanere senza l'onore di una certa nobiltà.

La somma Sapienza di Dio si è degnata, per un mirabile e ineffabile mistero, di prendere su di sé questa ferita, quando ha assunto l'uomo senza peccato ma non senza la condizione di peccatore.

Infatti è voluto nascere, soffrire e morire come uomo, non per averlo meritato ma per infinita bontà, affinché evitassimo più la superbia, per cui meritatamente siamo caduti in questi mali, che gli oltraggi che egli ha ricevuto immeritatamente, affinché noi scontassimo con animo sereno la morte dovuta, se egli non dovuta ha potuto sostenerla per noi.

Si aggiunga ogni altro concetto relativo, in tale mistero, all'interiore purificazione che dai santi e dai più buoni si possa pensare.

E dunque non è cosa da meravigliarsi se l'anima, agendo nella carne mortale, subisca la soggezione del corpo.

E non perché essa è più perfetta del corpo, bisogna pensare che tutto ciò che avviene in essa sia più perfetto di ciò che avviene nel corpo. Ritieni, penso, che il vero è da ritenersi più perfetto del falso.

D. - Chi ne dubiterebbe?

M. - È forse vero l'albero che si vede nel sogno?

D. - Certo no.

M. - Ma ora la sua immagine si ha nell'anima e invece l'immagine di quello che ora vediamo è riprodotta nel corpo.

Ora sebbene il vero è più perfetto del falso e l'anima è più perfetta del corpo, il vero che è nel corpo è più perfetto del falso che è nell'anima.

E come il vero è più perfetto perché è vero e non perché si ha nel corpo, così il falso è forse meno perfetto perché è falso e non perché si ha nell'anima.

A meno che tu non abbia da obiettare.

D. - Proprio niente.

M. - Ascolta un altro esempio che avrebbe, come penso, maggiore somiglianza che perfezione.

Non potrai negare infatti che ciò che conviene è più perfetto di ciò che non conviene.

D. - Anzi lo affermo.

M. - Chi potrebbe mettere in dubbio che una donna è convenientemente vestita con un abito, col quale un uomo è indecentemente vestito?

D. - Anche questo è chiaro.

M. - C'è dunque da meravigliarsi tanto se questo modo di ritmi è conveniente nei suoni che giungono all'udito ed è sconveniente nell'anima, quando li ha in sé percependoli e subendone la soggezione?

D. - Non credo.

M. - Perché dunque esiteremo a reputare i ritmi di una fonte sonora corporea più perfetti di quelli che ne sono l'effetto, anche se questi si hanno nell'anima che è più perfetta del corpo?

In realtà noi reputiamo alcuni ritmi migliori di altri, quelli che li producono di quelli prodotti, e non il corpo dell'anima.

Infatti i sensibili sono tanto più perfetti quanto più sono ritmici da tali ritmi.

L'anima invece diviene più perfetta con la privazione dei ritmi che riceve dal corpo, quando si allontana dal sensibile e si trasforma con i ritmi divini della sapienza.

Si dice infatti nella Sacra Scrittura: Sono andato in giro per conoscere, esaminare e cercare la sapienza e il ritmo. ( Qo 7,26 )

E non bisogna certamente supporre che il detto riguarda quei ritmi, di cui risuonano anche gli spettacoli scandalosi, ma, credo, di quelli che l'anima non riceve dal corpo ma che essa piuttosto imprime sul corpo dopo averli ricevuti dal sommo Dio.

Ma qualunque sia l'argomento, non si deve esaminarlo qui.

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1 Ambrogio, Hymn. 4, 1