L'ordine

Indice

Razionalità come cultura

a) Teoria di autorità e ragione ( 9,26 - 11,34 )

9.26 - Concetto di autorità e ragione

Ora devo esporre come devono essere istruiti coloro che si dedicano agli studi e hanno iniziato a vivere come è stato detto.

All'apprendimento siamo condotti necessariamente da un duplice principio: l'autorità e la ragione.

In ordine di tempo viene prima l'autorità, idealmente la ragione.

Una cosa infatti è il principio che si suppone come stimolo all'attività ed altra ciò che si valuta come fine.

L'autorità dei dotti è ritenuta più efficace per una massa ancora non istruita e la ragione più conveniente per le persone colte.

Ma la persona colta non è stata sempre tale e chi non è istruito non sa in quali condizioni si deve presentare agli insegnanti e con quale metodo di vita può apprendere.

Ne consegue che soltanto l'autorità può aprire la porta a tutti coloro che aspirano ad apprendere la morale, la fisica e la metafisica.

Chi è entrato segue senza incertezze le regole della vita razionale.

Reso da esse idoneo all'apprendimento, imparerà alfine di quanta razionalità fossero dotate le nozioni che ha conseguito prima del procedimento razionale, che cos'è la stessa ragione che egli ormai con costanza e capacità segue e intende dopo la culla dell'autorità, che cos'è il puro pensiero in cui esiste l'universale, che è anzi lo stesso universale, e che cos'è il trascendente principio degli universali.

Pochi in questa vita possono giungere a una conoscenza di tal genere e nessuno, anche dopo questa vita, può superarla.

Vi sono poi coloro che, contenti della sola autorità, danno atto con fermezza ai buoni costumi e agli onesti desideri, ma trascurano o non possono essere istruiti nelle discipline liberali e nobili.

Non saprei come considerare felici costoro, poiché sono ancora nella vita terrena.

Tuttavia credo fermamente che, dopo la loro morte, raggiungeranno la redenzione più o meno facilmente secondo che sono vissuti più o meno bene.

9.27 - Autorità magisteriale divina e umana

Il potere d'insegnare si divide in divino e umano.

Soltanto quello divino è vero, certo e sommamente autorevole.

In tale settore bisogna temere il mirabile potere di manifestarsi degli spiriti dell'aria.

Essi, mediante magici segni nel mondo sensibile e con responsi, di solito facilmente ingannano le anime o curiose del loro destino terreno o desiderose di caduchi poteri o paurose di vani presagi.

Si deve considerare divino l'insegnamento che non solo supera ogni umana facoltà nel produrre segni sensibili, ma influendo direttamente anche sull'uomo, gli mostra fino a qual punto si è abbassato per lui.

Ordina inoltre a coloro, cui appaiono i suddetti segni straordinari, di non attenersi ai sensi, ma di ricorrere all'intelligenza.

Fa loro comprendere nello stesso tempo la grandezza del proprio potere sul mondo, il fine per cui l'ha creato e il dominio che su di esso esercita.

È necessario che faccia apparire nell'opera il proprio potere, nell'abbassarsi la propria clemenza, nel modo d'insegnare la propria essenza.

Le stesse verità sono insegnate in forma più ineffabile ma con maggiore certezza nelle Sacre Scritture cui siamo iniziati.

Con esse la vita dei buoni raggiunge la sicurezza non mediante discutibili opinioni ma con l'autorità dei dommi.

L'insegnamento umano spesso è ingannevole. Appare tuttavia meritamente eccellente in quegli uomini i quali, per quanto può comprendere l'intendimento degli indotti, danno molte garanzie della loro dottrina e non vivono diversamente da come insegnano.

E supponiamo che vi si aggiungano anche alcuni doni di fortuna e che essi appaiano nell'usarli grandi e più grandi nel disprezzarli.

Allora è assai difficile che si possa biasimare chi crede alle norme di vita che impartiscono".

10.28 - Il fondamento autorevole dell'insegnamento di Agostino

A questo punto intervenne Alipio: "È stato da te presentato davanti ai nostri occhi, in maniera esauriente e concisa ad un tempo, un nobile sistema di vita.

E sebbene, secondo i tuoi consigli, continuamente ad esso aspiriamo, oggi tuttavia ci hai reso più desiderosi e fervorosi.

Desidererei anche che non solo noi ma tutti gli uomini lo conoscano ed accettino, se è così attuabile nella pratica come è nobile nella teoria.

In verità non so perché, e mi auguro che così non sia per noi, lo spirito umano, quando si sente esporre tali norme, le riconosce altissime, eterne e assolutamente vere, ma in quanto a farne oggetto del volere si comporta diversamente.

Ritengo quindi che possono seguire un tal sistema di vita o uomini vicini a Dio o per lo meno non senza un particolare aiuto divino".

Gli risposi: "Queste norme che a te, o Alipio, come sempre, assai piacciono, sebbene in questo momento sono state da me esposte, tuttavia non sono state da me inventate.

E tu lo sai bene. Di esse sono pieni i libri di uomini eccellenti e assai vicini a Dio.

E ho pensato di doverlo ammettere non per te ma per questi giovani affinché, nell'udire tali norme, non abbiano motivo per disprezzare la mia autorità.

Non desidero affatto che mi credano se non in quanto dimostro e adduco ragioni.

E penso che hai proferito quelle parole per stimolarli data l'importanza del problema.

Difatti la pratica di tali norme per te non è difficile.

Le hai accettate con tanto entusiasmo e le hai seguite con tale generosità della tua ammirevole indole che se io ti sono stato maestro nell'insegnamento, tu lo sei stato per me con l'esempio.

Non ho motivo alcuno o per lo meno un pretesto per mentire.

Non penso infatti di renderti più interessato allo studio con un falso elogio.

D'altra parte i presenti ci conoscono entrambi e sarà destinatario di questo discorso un individuo, al quale né io né tu siamo sconosciuti.

10.29 - Continuità della tradizione classica al tempo di Agostino

Per quanto ho potuto comprendere, se hai espresso bene il tuo pensiero, tu ritieni che gli uomini eccellenti e degni per nobiltà dei costumi sono in minor numero di quanto ritengo io.

Molti tuttavia ti sono sconosciuti e di molti che ti sono noti ti è nascosta la dignità morale.

Essa è nello spirito che non può apparire al senso.

E il saggio, nell'intento di stabilire il dialogo con individui viziosi, propone tesi che potrebbero sembrare opinioni e propositi personali.

Compie molte azioni non di propria scelta, ma o per evitare l'odio degli uomini o per non apparire stravagante.

Noi, sentendone parlare o direttamente osservando, difficilmente possiamo supporre che le cose potrebbero star diversamente di come l'immediata esperienza ci attesta.

Quindi di molti pensiamo che non siano tali quali essi stessi o i loro intimi li hanno descritti.

Vorrei che te ne persuadessi dall'esempio di alcune degnissime personalità fra i nostri amici che noi soli conosciamo.

L'errore si fonda su questo non trascurabile motivo che non pochi si convertono all'improvviso alla vita saggia e ammirevole e sono giudicati per quel che erano prima finché non si manifestano con qualche opera illustre.

Ma non andiamo lontano. Qualsiasi persona, che prima conosceva questi giovanetti, non potrebbe credere che essi con tanto interesse compiono indagini su problemi importanti e all'improvviso in tale età fanno tanta lotta contro i piaceri.

Rimuoviamo quindi dalla mente un tale pregiudizio anche perché l'aiuto divino che tu piamente, come conveniva, hai posto a conclusione del tuo discorso, esercita su tutti gli uomini la propria clemenza molto più largamente di quanto alcuni possono credere.

Ma riprendiamo le fila del nostro discorso. E poiché abbastanza è stato detto dell'autorità, esaminiamo che cosa significa ragione.

11.30 - Concetto di ragione

La ragione è l'atto della mente che ha il potere d'operare le analisi e le sintesi dei concetti.

L'uomo può difficilmente valersi della sua guida per conoscere Dio e l'anima individuale e cosmica.

Unico motivo è che è difficile per l'individuo condizionato dal mondo della sensibilità rientrare nel proprio Io.

E poiché gli uomini s'impegnano di trattare il tutto col pensiero, pur attraverso gli oggetti sensibili, ne ignorano, salvo pochissimi, l'essenza e le proprietà.

Sembra strano ma è così. Basta per il momento quanto ho detto poiché se volessi ora esporvi un sì grande argomento come deve essere compreso, sarei sciocco e pretenzioso ad un tempo perché presumerei di averne una conoscenza certa.

Tuttavia, se c'è possibile, esaminiamo la ragione, come la discussione iniziata esige, nei limiti con cui essa ha potuto manifestarsi all'indagine nelle nozioni che riteniamo d'avere finora accertate.

11.31 - L'essere ragionevole e l'essere razionale

E prima di tutto esaminiamo in qual senso viene usato di solito il termine di ragione.

Ci deve soprattutto spingere all'indagine il motivo che l'uomo stesso fu dai filosofi classici definito: L'uomo è un animale ragionevole mortale.6

Vediamo che nella definizione, posto il genere il quale è determinato in animale, sono aggiunte due differenze.

E con queste, come penso, si doveva ammonire l'uomo dove deve ritornare e da dove deve fuggire.

Infatti come l'allontanamento dell'anima ha raggiunto la soggezione alla morte, così il ritorno deve essere verso la ragione.

In una parola, in quanto ragionevole si differenzia dalle bestie, in quanto mortale dai valori.

Se non conserverà il primo, diverrà bestia, se non si allontanerà dall'altro, non diverrà valore.

E poiché gli uomini dotti sogliono con acume e perspicacia determinare la distinzione che esiste fra ragionevole e razionale, la distinzione non può essere trascurata ai sensi dei risultati che intendiamo raggiungere.

Essi han detto che ragionevole è l'essere che usa la ragione o la può usare e che razionale è un prodotto della ragione nell'ordine dell'azione e del linguaggio.

Possiamo quindi denominare razionali queste terme e il nostro discorso e ragionevoli il loro costruttore e noi che stiamo parlando.

Quindi la ragione si produce dall'anima ragionevole nell'ordine dell'azione e del linguaggio.

11.32 - Vista e udito come strumenti della ragione in quanto arte

Noto quindi due settori in cui possono apparire anche ai sensi il potere e la facoltà della ragione: le opere umane che si vedono e le parole che si odono.

In entrambi la mente usa di due organi soggetti al meccanismo corporeo: di uno che è proprio della vista e di un altro che è proprio dell'udito.

Quindi quando osserviamo un oggetto composto di parti raccordate fra di loro, giustamente diciamo che ci si presenta razionalmente.

Allo stesso modo quando udiamo parole organicamente disposte, non esitiamo a dire che sono profferite razionalmente.

Ma chiunque sarebbe schernito se dicesse: " Ha un odore razionale ", ovvero: "Ha un sapore razionale", ovvero: " Ha una morbidezza razionale".

Si fa eccezione per gli oggetti che sono stati trattati dagli uomini per uno scopo in maniera che abbiano quell'odore, quel sapore o quel calore e così via.

Ad esempio, qualcuno, comprendendo il motivo per cui è stato fatto, può dire che razionalmente odora un luogo, dal quale si fugano i serpenti con odori acri; ovvero può dire che la bevanda preparata dal medico è razionalmente amara o dolce o anche che il letto, fatto da lui riscaldare per l'ammalato, razionalmente è caldo e tiepido.

Ma un individuo, entrando in un giardino e portando una rosa alle narici, non può vantarla: "Ma che fragranza razionale ha" neanche se il medico ha ordinato di sentirne l'odore.

Nella fattispecie si dice che l'ordine è stato dato razionalmente, ma non che l'odore è razionale appunto perché esso è naturale.

Allo stesso modo possiamo dire che una vivanda condita dal cuoco è razionalmente condita.

Ma nel comune modo di parlare non si dice che ha un sapore razionale poiché non interviene una causa dal di fuori, ma si soddisfa ad un bisogno del momento.

E se si esamina il vero motivo della dolcezza della pozione data dal medico all'ammalato, ne risulterebbe uno estraneo dovuto alla realtà delle cose, cioè al genere di malattia che non riguarda appunto il senso del gusto, ma in altro modo lo stato fisico.

Supponiamo di chiedere a un tale che sta assaporando ghiottamente una vivanda il motivo della sua dolcezza e che egli risponda: "Perché mi piace", ovvero: "Perché ne ricevo piacere".

Nessuno potrebbe dire che essa ha una dolcezza razionale a meno che il piacere sia riferito ad uno scopo e la vivanda gustata sia a tale scopo ammannita.

11.33 - Vista e udito sensi estetici

Siamo in possesso, nei limiti della nostra indagine, di alcune orme della ragione nei sensi e per quanto riguarda la vista e l'udito nello stesso sentimento estetico che si ha.

Gli altri sensi di solito non raggiungono razionalità in virtù della loro esteticità, ma per un motivo estraneo che è appunto un prodotto dell'animale ragionevole in vista del fine.

Ciò che è di competenza della vista, in relazione alla quale si dice razionale la proporzione delle parti, si denomina bello.

Ciò che è di competenza dell'udito, nell'atto che notiamo un razionale raccordo di suoni ovvero osserviamo che un canto ritmico è stato razionalmente composto, ormai con nome appropriato si denomina armonia.

Tuttavia di solito non diciamo razionale l'effetto che si ha nelle cose belle per il diletto immediato e nell'armonia per le vibrazioni ritmiche e pure dell'arpa.

Rimane quindi da ammettere che nell'esteticità di questi sensi è di pertinenza della ragione quell'effetto in cui si hanno proporzione e misura.

11.34 - Proporzione e misura nelle arti visive e uditive

Allo scopo esaminiamo bene in questo edificio i particolari.

Non possiamo non essere contrariati nel vedere una porta da un lato e l'altra posta vicino al centro, ma non proprio al centro della facciata.

Infatti nelle strutture architettoniche, se non ve n'è necessità, la sproporzione delle masse sembra quasi contrariare la vista.

Invece il fatto che tre finestre, una in mezzo e due ai lati, diffondono a spazi eguali luce nella stanza, se osserviamo bene, ci piace e attira a sé l'attenzione.

Ed è cosa evidente che non deve essere esposta a voi con molte parole.

Pertanto gli stessi architetti con termine tecnico definiscono ragione la proporzione e affermano che le masse disposte asimmetricamente non hanno una ragione.

Il principio si estende largamente e si applica a quasi tutte le opere e le arti umane.

Chi non comprende che nella poesia, in cui diciamo che si ha ragione spettante all'esteticità uditiva, la proporzione è operatrice di tutta l'armonia?

Così, quando un mimo danza, per chi sa bene osservare, ogni gesto sta ad indicare una vicenda.

E sebbene la mimica ritmica, mediante la proporzione, diletta direttamente la vista, tuttavia si deve dire che la pantomima è razionale perché, al di là del diletto sensibile, significa e manifesta chiaramente qualche cosa.

Ma supponiamo che rappresenti, sia pure con armonici movimenti e atteggiamenti delle membra, Venere con le piume e Cupido col pallio.

In tal caso non si può ritenere che contrari la vista, quanto piuttosto, mediante la vista, il sentimento al quale si propone la vicenda con tali segni.

La vista sarebbe contrariata se il mimo non si muovesse armonicamente.

Tale percezione appunto è funzione del senso ed in esso l'anima avverte l'effetto estetico per il fatto che è unita al corpo.

Un conto è quindi il senso ed un altro è ciò che si avverte mediante il senso.

Infatti il senso è dilettato dalla mimica ritmica, ma soltanto il sentimento, per la mediazione del senso, è dilettato dal contenuto estetico della mimica.

Il fatto si avverte più facilmente nell'udito. Infatti ogni raccordo armonioso di suoni diletta e attira l'udito.

Ma il contenuto, espresso adeguatamente dai suoni, sia pure per la mediazione dell'udito, si riferisce esclusivamente al sentimento.

Così, quando udiamo i versi: Perché il sole invernale si affretta a tuffarsi nell'oceano e quale ostacolo ritarda le notti estive?,7 per un aspetto giudichiamo il ritmo e per un altro il pensiero.

Non è il medesimo criterio per cui diciamo che è razionalmente ritmato e che è razionalmente espresso.

b) Le arti formali o della parola ( 12,35 - 13,38 )

12.35 - L'istruzione di primo grado e i mezzi espressivi

Si danno dunque tre settori in cui si manifesta la razionalità.

Il primo è dell'etica, il secondo delle arti formali, il terzo dell'armonia.

Il primo ci stimola a non compiere azioni irrazionalmente, il secondo a insegnare con metodo, il terzo a contemplare felicemente.

Il primo riguarda i costumi, gli altri due le discipline di cui stiamo per trattare.

Ora il potere razionale che è in noi, quel potere cioè che usa la ragione ed opera e scopre il razionale, per un certo vincolo naturale tende a far comunicare fra di loro gli individui che hanno in comune la ragione.

D'altronde l'uomo non avrebbe potuto attuare rapporti validi col proprio simile se non mediante il colloquio e, per così dire, lo scambio di concetti e di pensieri.

Allora la ragione scoprì che si dovevano imporre alle cose nomi, cioè suoni significativi, in maniera che gli uomini, i quali non possono intuire l'animo degli altri, per stringere vincoli sociali usassero del senso come mezzo di comunicazione.

Ma non si potevano ascoltare le parole degli assenti, quindi la ragione scoprì i segni dell'alfabeto con la determinazione e distinzione di tutti i suoni vocalici e consonantici.

Non poteva ottenere un tale risultato se la serie delle cose si poteva prolungare all'infinito senza un determinato limite.

Data dunque l'impellente necessità fu avvertita l'utilità del numerare.

Con la duplice invenzione sorse la professione degli insegnanti di lettere e di calcolo.

Fu l'infanzia della grammatica che Varrone definisce esercizio alfabetico.

Sul momento non ricordo bene come si dice in greco.

12.36 - L'istruzione di secondo grado mediante grammatica e prosodia …

La ragione, gradualmente evolvendosi, avvertì che fra i suoni articolati, già determinati in lettere, alcuni, con varia apertura di bocca, uscivano semplici e spontanei dalle labbra senza contatto degli organi vocali; che altri, nonostante il contatto degli organi, avevano un proprio suono; che altri infine non potevano essere proferiti senza essere associati ai primi.

Quindi denominò le lettere, nell'ordine con cui sono state elencate, in vocali, semivocali e consonanti.

Quindi considerò le sillabe. Poi le parole furono distribuite in otto generi formali e furono determinate con competenza e perspicacia l'etimologia, la morfologia e la sintassi.

Non dimenticandosi del ritmo e della durata, pose attenzione alla varia lunghezza delle parole e delle sillabe e scoprì che la durata può essere doppia o semplice e che per la sua funzione le sillabe si pronunciano lunghe o brevi.

Considerò tali proprietà e le sistemò in regole fisse.

12.37 - … e letteratura

Poteva con ciò la grammatica avere la sua completezza.

Ma col nome stesso essa dichiara di attendere alle lettere e per questo in latino si denomina anche letteratura.

Avvenne dunque che quanto di degno di ricordo si consegnò alle lettere divenisse di sua competenza.

Così a questa disciplina si associò la storia che come concetto è unitaria, ma come argomento è senza limiti, molteplice, piena più di ricerche affannose che di pregio letterario e di verità.

E fu compito ingrato non tanto degli storici quanto dei grammatici.

Non si può infatti sopportare che si reputi analfabeta chi non ha sentito parlare del volo di Dedalo, creatore di finzione chi lo ha inventato, imbecille chi vi crede e sfrontato chi ne discutesse la credibilità.

Per questo io sono solito compatire i nostri amici quando considero che sono tacciati d'ignoranza se non rispondono come si chiamava la madre di Eurialo mentre essi non osano restituire a coloro che li interrogano la taccia di frivolezza, futilità e d'inabilità all'insegnamento.

13.38 - Il terzo grado d 'istruzione mediante dialettica e retorica

La ragione dunque, dopo aver prodotto e ordinato la grammatica, avvertì di dover ricercare e configurare il potere con cui aveva creato la disciplina grammaticale.

Difatti con le definizioni, le analisi e le sintesi non solo l'aveva attuata e organizzata, ma l'aveva anche garantita dall'errore.

Non avrebbe potuto passare ad altre produzioni senza aver prima discriminato, configurato, espresso e manifestato i propri procedimenti e la propria tecnica nella disciplina delle discipline che denominano dialettica.

Essa insegna ad insegnare, essa insegna ad apprendere.

In essa la ragione stessa mostra con evidenza la propria natura, i propri intenti, i propri poteri.

Essa ha scienza di avere scienza. Ed essa soltanto non ha solo la funzione ma anche la validità di creare scienza.

Ma spesso gli ignoranti, per raggiungere la persuasione su problemi riguardanti il vero, l'utile e l'onesto, non seguono la verità raggiungibile da pochi spiriti eletti, ma piuttosto le proprie esperienze e disposizioni individuali.

Si rese quindi indispensabile non solo istruirli secondo le loro capacità, ma spesso e soprattutto suscitare il loro interesse.

La ragione chiamò retorica questa sua parte destinata a tale funzione.

Essa, a causa della pienezza di ornamenti letterari da versare sul popolo perché si lasci guidare al proprio benessere, ha valore più tecnico che liberale.

Fin qui è stata distribuita negli studi e discipline liberali quella parte del razionale che riguarda la parola.

c) Le arti reali ovvero del numero e dell'armonia ( 14,39 - 15,43 )

14.39 - L'armonia uditiva nei cori, auletica, citaristica

Dopo ciò la ragione ha voluto elevarsi alla beatificante visione del mondo ideale. 

a per non precipitare dall'alto cercò gli scalini e si costruì lo stesso procedimento di ascensione nel dominio già acquisito.

Desiderava la bellezza da potere intuire direttamente e svelatamente senza la mediazione degli occhi.

Ne era impedita dai sensi. Quindi volse per un po' lo sguardo ad essi che, affermando di possedere la verità, la ritraevano con importuno strepito mentre si accingeva a passare avanti.

Cominciò dall'udito poiché esso affermava che le parole gli appartengono.

Per esse aveva già creato la grammatica, la dialettica e la retorica.

Ma lei, nel suo grande potere di discriminare, si accorse subito della differenza esistente fra il suono e ciò di cui esso è segno.

Comprese che è di competenza dell'udito soltanto il suono e che esso è triplice: quello della voce articolata, quello prodotto da strumenti a fiato e quello prodotto da strumenti a percussione.

Al primo si assegnano i tragici, i comici, cori del genere e tutti coloro che comunque cantano con la voce umana; il secondo è attribuito ai flauti e strumenti del genere; nel terzo si includono le cetre, le lire, i cembali e ogni strumento che si rende sonoro con la percussione.

14.40 - nella poesia

Si accorgeva inoltre che questo mezzo sensibile non aveva valore se i suoni non venivano regolati dalla durata e da una proporzionata varietà di acuti e di gravi.

Riconobbe allora che le basi erano quei valori che in grammatica, mentre valutava attentamente le sillabe, aveva definito piedi e accenti.

Le fu facile notare dalle parole stesse che le sillabe brevi e le lunghe sono diffuse in un discorso pressappoco in quantità rispettivamente eguale.

Si propose allora di disporre e unire i piedi in determinate strutture.

Seguendo, in questa prima operazione, l'udito, articolò le strutture mediante commi e cola.

Così li denominano. E affinché la sequenza dei piedi non si prolungasse al di là di quanto il suo criterio esigeva, stabilì una misura per il ritorno.

E da esso appunto diede nome al verso. Denominò poi ritmi le strutture che non avevano misura mediante un limite ben definito, ma che comunque si svolgevano secondo una regola in determinate disposizioni di piedi.

In latino non s'è potuto definirle altrimenti che prosa numerosa. Così diede vita ai poeti.

E poiché in essi scorgeva non solo l'attenzione ai suoni, ma anche alla forma e ai contenuti, li onorò molto e diede loro il potere di costruire secondo il loro genio la favola poetica.

E poiché essi traevano origine dalla prima disciplina formale, permise che i grammatici fossero i loro giudici.

14.41 - nella musica come idea

In questo quarto scalino si accorgeva che tanto nella prosa ritmica come nei versi si ha il dominio dei numeri, e che essi sono una dimensione dell'universo.

Ne considerò attentamente la natura. Trovò che hanno valore ideale e universale soprattutto perché con la loro mediazione aveva dato sistematicità a tutte le discipline suddette.

E già cominciava a sopportare malvolentieri che la loro intelligibilità e purità fossero offuscate dal dato sensibile della parola.

Ciò che la mente intuisce è sempre presente e perennemente immutabile ed anche i numeri appartengono a quest'ordine.

Il suono al contrario è un dato sensibile, defluisce nel passato e si fissa nella memoria.

Quindi, poiché ormai la ragione favoriva i poeti, con un mito razionale si favoleggiò che le Muse fossero figlie di Giove e di Memoria.

( Ci dobbiamo proprio chiedere quale somiglianza ci sia fra generanti e generati? ).

L'altra disciplina pertanto, in quanto partecipe di senso e d'intelligenza, ebbe il nome di musica.

15.42 - L'armonia visiva nello spazio ( geometria ) e nello spazio tempo ( astronomia) …

Passò quindi nel dominio degli occhi e percorse la terra e il cielo.

Avvertì che per lei non aveva valore se non l'armonia e nell'armonia le figure, nelle figure le misure e nelle misure i numeri.

E rifletté in se stessa se questa linea o questo cerchio o qualsiasi altra forma o figura sensibile è simile a quella che è oggetto dell'intelligenza.

Trovò che sono molto più imperfetti e che non si può assolutamente paragonare l'oggetto visibile con l'oggetto dell'intuizione della mente.

Analizzò e sistemò tutte queste nozioni, le raccolse in una scienza e la definì geometria.

L'attraeva assai il movimento del cielo e la stimolava a considerarlo attentamente.

Comprese che anche qui, attraverso le successioni uniformi dei tempi, il corso fisso e definito degli astri e le distanze esattamente stabilite, valeva l'esclusivo dominio della misura e dei numeri.

E riducendo anche queste nozioni a sintesi mediante definizioni e analisi generò l'astronomia che è valida dimostrazione per gli spiriti religiosi e causa d'affanno per i superstiziosi.

15.43 - … e nel numero puro ( aritmologia )

Nelle discipline elencate le si presentavano tutte nozioni riducibili al numero.

Ed esse tuttavia apparivano di più alto valore in quelle misure che ella intuiva nella loro pura intelligibilità pensando e meditando in se stessa.

Nelle cose sensibili al contrario ne ravvisava piuttosto un'ombra o un'orma.

A questo punto si esaltò ed ebbe una grande presunzione.

Osò dimostrare l'immortalità dell'anima.

Esaminò tutto diligentemente, avvertì il proprio stragrande potere e che esso si confondeva con la legge aritmetica.

La colpì un pensiero meraviglioso. Cominciò a ritener probabile che lei stessa fosse numero, quello ideale per cui l'universo è nel numero e, se non lo era, che esso fosse in quel mondo ideale che voleva raggiungere.

Lo afferrò con tutte le forze in quanto esso poteva svelarle l'interezza della verità.

È lo stesso di cui ha parlato Alipio nella indagine sugli accademici ed è come il Proteo fra le mani.

I fenomeni che ci rappresentiamo nel succedersi dei numeri, nel loro fluire dal metempirico numero ideale, trascinano con sé la serie delle rappresentazioni e spesso fanno svanire il numero nell'atto stesso che viene afferrato.

Sapere e filosofare ( 16,44 - 20,54 )

a) Scienza come unità delle discipline ( 16,44 - 17,46 )

16.44 - Scienza proveniente dalle discipline

Chi non si arresta ai fenomeni e sistema in unità scientifica tutte le nozioni diffusamente e variamente formulate in tante discipline è degno del nome di uomo colto.

Egli ormai può criticamente indagare sul mondo intelligibile che deve accettare non soltanto per fede, ma intuire, spiegare ed averne certezza.

Ma v'è chi è schiavo del sensibile e anela alle cose caduche ovvero chi le fugge e vive nella temperanza, ma non ha scienza della quiddità del non essere, della materia informe, della sostanza inorganica, del corpo e di ciò che è inorganico nel corpo, dello spazio del tempo e dell'essere nello spazio e nel tempo, del moto locale del divenire, del divenire fuori tempo, della durata, dell'essere fuori dello spazio e d'ogni sua parte e dell'essere fuori del tempo e nell'eternità, del non essere nello spazio e del non essere fuori dello spazio, del non essere nel tempo e del non essere fuori del tempo.

Chi dunque non ha scienza di queste nozioni e vorrà indagare e disputare non dico di Dio, di cui si ha meglio scienza con scienza negativa, ma della propria anima, cadrà in ogni errore possibile.

Avrà conoscenza di tali oggetti chi comprenderà i numeri puri e intelligibili.

E lì comprenderà certamente chi, e per capacità di mente e per maturità di pensiero e per libertà spirituale e per costante applicazione nello studio, avrà seguito, per quanto è richiesto, il suddetto metodo d'apprendimento del sapere.

E poiché tutte le discipline liberali si apprendono parte per la vita pratica e parte per l'attività teoretica e speculativa, è assai difficile averne il possesso.

Si eccettua il caso di chi, fin dall'infanzia, essendo di pronto ingegno, vi si sia applicato con tenacia e perseveranza.

17.45 - Scienza, saggezza e moderazione

Ma per quanto se ne richiede alla nostra indagine ti prego, o madre, non ti spaventi questa immensa selva di nozioni.

Se ne sceglieranno soltanto alcune assai limitate nel numero, assai efficienti allo scopo, ma piuttosto difficili per molti a comprendersi.

Ma la tua mente si rinnova di giorno in giorno. Mi accorgo inoltre che il tuo spirito, o per maturità o per l'ammirevole moderazione, tenendosi lontano da ogni banalità e distaccandosi dalla passione, s'è levato a grande dignità interiore.

Per te quindi saranno tanto facili quanto sono difficili per gli ingegni torpidi e per coloro che vivono nella passione.

Mentirei se dicessi che tu raggiungerai un modo di parlare privo di difetti di forma e d'espressione.

Io ho dovuto apprendere tali nozioni per esigenza di professione.

Eppure gli italiani ancora mi scherniscono per la pronuncia di molte parole e per ricambio sono da me rimproverati sempre per questioni di pronuncia.

Un conto è aver garanzie dalla cultura e un conto è averle dall'appartenenza ad una nazione.

Un uomo dotto, se mi segue attentamente, potrà scoprire nel mio modo di dire quelli che chiamano solecismi.

Ma c'è stato un individuo il quale con dimostrazione eruditissima m'ha convinto che perfino Cicerone ha commesso simili peccati di forma.

È stata poi rilevata in lui ai nostri giorni tale abbondanza di barbarismi da far sembrare barbaro perfino il discorso con cui fu salvata Roma.

Ma tu, disprezzati questi problemi come puerili ovvero come non di tua competenza, conosci così bene la forza e la natura quasi divina dell'arte dell'esprimersi che ne hai ritenuto lo spirito e ne hai lasciato il corpo agli eruditi.

17.46 - Scienza che dispone al filosofare

Direi altrettanto delle altre arti. Ma se tu le disprezzi per quanto posso osare come figlio e per quanto lo permetti, ti raccomando di conservare con fermezza e prudenza la tua fede che hai attinto dalle sacre Scritture e di rimanere con perseveranza e vigilanza nella vita e costumi attuali.

Sono oscuri e tuttavia d'ordine intelligibile i seguenti problemi.

Come si concilia che Dio non opera il male, sia onnipotente e avvengano tanti mali?

A quale fine ha creato il mondo, egli che non aveva bisogno?

Il male è sempre esistito o ha avuto inizio nel tempo?

Nell'ipotesi che sempre sia esistito, è dipeso dalla legge divina?

In tal caso anche il mondo sensibile è sempre esistito perché il male dipendesse dalla disposizione divina?

Nell'ipotesi che il mondo abbia avuto inizio e prima che lo avesse, come il male era frenato dalla potenza divina?

E che bisogno v'era di creare il mondo in cui, per pena delle anime, rientrasse il male che la potenza divina frenava?

Se poi vi fu un tempo in cui il male non rientrava nel governo di Dio, a parte che è stolto, per non dire empio, affermare che in Dio sia sorta una nuova disposizione, quale improvviso mutamento avvenne che fino a quel momento era stato escluso dall'essere eterno?

Se poi affermiamo che il male non fu subordinato a Dio e gli si oppose, come alcuni affermano, ogni uomo di scienza ci schernirà e chi non è di scienza si sdegnerà.

Come infatti questa inconcepibile idea del male poté ribellarsi a Dio?

Se rispondono che non lo poté, non vi fu ragione della creazione del mondo.

Se affermano che lo poté, è imperdonabile errore ritenere Dio violabile almeno nel senso da non concedergli di provvedersi con la propria potenza contro la violazione dal proprio essere.

Essi infatti affermano che l'anima è una particella dell'essere divino posta in questo mondo a scontare una pena.

Sarebbe poi da empi e misconoscenti ammettere che il mondo non è stato prodotto, perché ne conseguirebbe che Dio non l'ha creato.

Quindi circa tali problemi o s'indaga sulla base della suddetta formazione culturale o non si deve indagare affatto.

b) Il filosofare che giustifica per riduzione all'unità ( 18,47 - 19,51 )

18.47 - Il filosofare mediante la ragione matematica tende all'uno …

E poiché non si pensi che abbiamo svolto largamente l'argomento, ripeterò più chiaramente e brevemente che alla conoscenza di simili oggetti non si può aspirare senza il duplice fondamento scientifico della vera dialettica e della validità della matematica.

Se qualcuno pensa che questo è troppo, conosca bene o la sola matematica o la sola dialettica.

Se anche questo non sembra un limite, sappia soltanto che cos'è l'unità numerica e quale la sua validità non ancora nella sovrana struttura universale e ragione ideale dell'universo, ma nei dati immediati della nostra quotidiana esperienza conoscitiva e pratica.

Il pensiero filosofico implica questa iniziale formazione al sapere e lo studioso in essa non troverà altro che la definizione dell'uno, ma posto in un ordine superiore e intelligibile.

E duplice è il problema della filosofia, l'uno riguardante l'anima, l'altro Dio.

Il primo c'induce a conoscere noi stessi, l'altro il principio del nostro essere.

L'uno è per noi più dilettevole, l'altro più prezioso. Quello ci rende degni della felicità, questo felici.

Il primo spetta a coloro che ancora apprendono, questo a coloro che hanno appreso.

Questo è il procedimento razionale del filosofare.

Con esso l'uomo si rende idoneo a comprendere il principio razionale dell'universo, cioè a distinguere due mondi e lo stesso creatore dell'universo.

Di lui nella mente non v'è altra scienza che avere scienza dell'impossibilità di averne scienza.

18.48 - … mediante la forza dialettica del pensiero

La mente applicatasi al filosofare, conservando tale procedimento, dapprima prende coscienza di sé.

E la mente già formata al sapere ritiene che la ragione o è sua o è lei stessa, che nella ragione nulla v'è di più valido e funzionale del procedimento matematico o che la ragione stessa è procedimento matematico.

Quindi dirà a se stessa: Io per un mio potere interiore e occulto posso operare analisi ovvero sintesi sugli oggetti da apprendere e questo mio potere si chiama ragione.

E la sintesi si deve operare sull'oggetto che si presenta come uno e non lo è, ovvero non è tanto uno come si manifesta.

Così, perché operare la sintesi su un oggetto se non perché diventi uno quanto è possibile?

Quindi tanto nelle analisi come nelle sintesi voglio l'uno, tendo all'uno.

Ma quando opero l'analisi, lo voglio nella sua distinzione e quando opero la sintesi, lo voglio nella sua totalità.

Con la prima operazione si eliminano le note non pertinenti, con la seconda si aggiungono quelle pertinenti perché si abbia l'uno nella sua interezza.

Tutte le parti e tutte le proprietà della pietra, perché sia pietra, si sono composte nell'uno.

E l'albero ci sarebbe se non fosse uno? E le membra di qualsiasi animale e le viscere e tutte le parti che lo compongono?

Se rimanessero separate, non vi sarebbe l'animale.

E gli amici non aspirano ad essere uno? E quanto più sono uno, tanto più sono amici.

I cittadini costituiscono un solo Stato. Ad esso è dannoso il dissenso.

E che cos'è il dissentire se non il non sentimento dell'unità? Di molti soldati si compone un solo esercito.

Ed ogni moltitudine tanto meno facilmente viene dispersa quanto maggiormente aderisce all'unità.

Ed appunto lo strumento che congiunge nell'uno è stato chiamato cuneo, come a dire "insieme nell'uno".

E l'amore nei suoi vari aspetti? Chi ama vuol divenire una sola cosa con l'oggetto amato e, se gli è dato, con esso unificarsi.

La passione stessa genera un forte godimento perché i corpi che si amano si uniscono.

E il dolore perché ci contraria? Perché tende a dissociare ciò che era uno.

Quindi è spiacevole e svantaggioso farsi uno con un oggetto da cui si può esser separati.

19.49 - Pensiero-ragione che trascende la natura …

Da molti elementi sparsi disordinatamente e poi radunati secondo una struttura unitaria io costruisco una casa.

Io valgo di più perché la faccio ed essa è fatta. E valgo di più appunto perché faccio.

Non v'è dubbio che proprio per tale motivo valgo più della casa.

Ma non per lo stesso motivo valgo di più della rondine e dell'ape poiché la prima tanto ingegnosamente costruisce i nidi e la seconda i favi.

Valgo di più perché sono un animale dotato di ragione.

Ma se la ragione consiste nelle misure razionalmente disposte, forseché la costruzione degli uccelli non è misurata proporzionatamente e convenientemente? Anzi ha esattezza matematica.

Quindi valgo di più non perché eseguisco opere matematicamente esatte ma perché conosco l'esattezza matematica.

Ma allora? Gli uccelli possono realizzare cose matematicamente esatte pur non avendone scienza?

Lo possono certamente. Da dove l'hanno appreso?

Da quello stesso principio per cui anche noi adattiamo in determinate proporzioni la lingua ai denti e al palato perché ne escano lettere e parole.

Non pensiamo tuttavia nel parlare con quale movimento della bocca lo facciamo.

Inoltre chi ha una bella voce, anche se non conosce la musica, per dote naturale ritiene nel cantare il ritmo e la melodia conservate nella memoria.

E che cosa vi è di più aritmeticamente esatto? L'uomo ignorante non ne ha scienza, ma li eseguisce per dono di natura.

Quando dunque vale di più e deve essere anteposto alle bestie? Quando sa quel che fa.

Ma soltanto il fatto che sono animale dotato di ragione mi antepone alla bestia.

19.50 - … ed è quindi indefettibile

Com'è dunque possibile che la ragione sia immortale ed io per definizione un essere insieme ragionevole e mortale? Forse la ragione non è immortale?

Ma che il rapporto fra uno e due è il medesimo che fra due e quattro è un principio razionale assolutamente vero.

E questo principio non fu più vero ieri che oggi e non sarà maggiormente vero domani o fra un anno.

E anche se il mondo venisse a mancare, è impossibile che tale principio razionale cessi.

Esso è sempre identico a sé; al contrario il mondo sensibile ieri non ha avuto e domani non avrà ciò che ha oggi.

Oggi stesso, nell'intervallo di un'ora, non ha avuto il sole nel medesimo punto dello spazio.

E poiché nel mondo non v'è nulla d'immutabile, non v'è, anche in un piccolo intervallo di tempo, qualche cosa che non soggiaccia al divenire.

Quindi se il pensiero è immortale ed io che sto facendo analisi e sintesi sono pensiero, la parte per cui sono considerato mortale non è il mio Io.

Allo stesso modo se l'anima non è il medesimo che il pensiero e tuttavia io uso il pensiero e mediante il pensiero valgo di più, dobbiamo elevarci dalla parte peggiore alla migliore, dal mortale all'immortale.

L'anima istruita riflette e medita su questi e molti altri problemi.

Non voglio esporli per non oltrepassare, mentre v'insegno il principio razionale, la misura che è generatrice del principio razionale.

Gradualmente l'anima si lascia guidare non solo dalla fede ma anche da una valida ragione alla nobiltà dei costumi e della vita.

E se ella avrà vera visione del valore e dell'esattezza delle proporzioni numeriche, le sembrerà assai indegno e motivo di pianto che in virtù del suo sapere un verso procede bene e la cetra è in accordo col canto mentre la sua vita ed ella stessa, che è anima, procede fuori sentiero e, a causa del dominio della passione e il turpe frastuono dei vizi, è in disaccordo con se stessa.

19.51 - e induce alla contemplazione dell'armonia sovrana

E quando avrà attuato in sé l'unità, l'ordine, l'armonia e la bellezza, potrà aver visione di Dio e della sorgente stessa da cui deriva ogni vero e dello stesso Generatore di verità.

O grande Dio, come saranno quegli occhi! Quanto sani, quanto belli, quanto penetranti, quanto intenti, quanto sereni, quanto beatificati!

E che cosa veggono? Che cosa, prego? Che cosa possiamo ritenere, giudicare o esprimere?

Ci si presentano le parole del nostro comune linguaggio, ma esse sono rese profane perché adatte soltanto ad esprimere cose banali.

Non posso dir di più se non che si promette la visione dell'armonia, dalla cui partecipazione il mondo sensibile è bello, al cui paragone è deforme.

C'è chi può vederla. E la vedrà chi bene vive, chi bene prega, chi bene attende al filosofare.

E non lo potrà turbare il fatto che qualcuno, desideroso di aver figli, non li ha, che un altro li esponga perché ne ha in abbondanza, che un altro, mentre stanno per nascere, non vorrebbe averli, ma una volta nati li ama.

Comprenderà non essere assurdo che nulla avviene che non sia in Dio, da cui ogni cosa ha la sua necessaria ragion d'essere e che Dio tuttavia non si prega invano.

Infine in che maniera le difficoltà, i pericoli, le sofferenze o le lusinghe della fortuna possono turbare quell'uomo?

Dobbiamo infatti attentamente considerare la funzione di tempo e di spazio in questo mondo sensibile.

Se è nell'armonia ciò che è posto in una porzione di spazio e di tempo, si deve comprendere che molto più valore ha il tutto in cui rientra quella porzione.

Al contrario se è disarmonico ciò che è posto in una porzione, deve esser chiaro all'uomo di scienza che appare disarmonico soltanto perché non si ha la visione del tutto, cui quella porzione mirabilmente si adatta e che nel mondo intelligibile qualsiasi parte è bella e perfetta come il tutto.

Questi concetti saranno esposti più largamente se i vostri studi cominceranno a tenere e, con matura perseveranza, conserveranno o il procedimento da me indicato o forse un altro più breve e adatto, comunque un razionale procedimento. Così esorto e spero.

c) Conclusione e congedo ( 20,52 - 54 )

20.52 - Esorta la madre alla fede, Alipio allo studio

Ma affinché lo possiamo, ci si deve impegnare seriamente alla dignità morale.

Diversamente Dio non potrà esaudirci. Esaudisce invece largamente chi vive bene.

Preghiamo dunque non perché ci siano date ricchezze, onori e simili beni caduchi, incerti, malgrado qualsiasi sforzo, ma quelli che ci rendono buoni e felici.

A te, soprattutto, o madre, affidiamo il ruolo che i nostri desideri si adempiano nella fede.

Io credo senza incertezze e affermo che per le tue preghiere Dio mi ha concesso l'intenzione di non preporre, non volere, non pensare, non amare altro che il raggiungimento della verità.

E continuo a credere che per le tue richieste conseguiremo un bene tanto grande cui abbiamo per i tuoi meriti aspirato.

E perché dovrei esortare e consigliare te, o Alipio? Comunque non hai ecceduto perché di certe cose si può giustamente dire che sempre poco e mai troppo si amano".

20.53 - Agostino e le dottrine esoteriche di Pitagora nel complimento finale dell'uditore anziano

Mi rispose: "La dottrina di uomini assai colti e insigni ci sembrava, per l'altezza del pensiero, inaccessibile.

Ma tu hai ottenuto che su di essa, mediante la quotidiana meditazione e l'autorità che ti riconosciamo, non rimangano incertezze.

Possiamo anzi, se fosse necessario, affermarlo con giuramento.

Non è stata oggi sotto i nostri occhi dischiusa la veneranda e quasi divina dottrina che a diritto è stata ritenuta e riconosciuta di Pitagora?

Hai infatti brevemente e chiaramente indicato le norme di vita e non tanto i sentieri quanto anche i terreni senza traccia e il fluido mare del sapere e perfino, ed era questo un valore custodito con disciplina esoterica dal grande filosofo, il luogo, le caratteristiche e gli eletti del santuario di verità.

E sebbene noi abbiamo motivo di supporre e di credere che hai verità ancora più esoteriche, pensiamo che mancheremmo di delicatezza se volessimo chiedere ancora qualche cosa".

20.54 - La risposta al complimento ed esortazione per i non eletti al filosofare

Risposi: "Accetto volentieri quanto hai detto.

Non mi danno infatti piacere o mi confortano le tue parole che non sono vere ma l'animo sincero nelle parole.

Ed è proprio bene che abbiamo stabilito d'inviare questi scritti al nostro amico che è solito dire apertamente molte bugie sul mio conto.

Se per caso altri li leggeranno, non temo che si sdegnino contro di te.

Chi infatti non perdona con magnanimità ad un errore di valutazione fatto da una persona che ama?

Hai ricordato Pitagora. Non so per quale occulta disposizione divina, come credo, ti sia venuto in mente.

M'era sfuggito del tutto un motivo molto importante che io nell'insigne filosofo approvo completamente e che, come sai, inculco quasi ogni giorno.

Do per ipotesi che si debba credere agli scritti degli storici. Ma a Varrone chi non crederebbe?

Pitagora dunque, secondo costui, comunicava per ultimo la teoria sull'amministrazione dello Stato ai suoi uditori ormai istruiti, perfetti, saggi e felici.

Vi vedeva infatti tante tempeste da voler abbandonare ad esse soltanto un uomo che nel governo potesse evitare quasi per divino istinto gli scogli e, se gli fossero mancate tutte le difese, divenisse egli stesso scoglio alle onde.

Soltanto del saggio in definitiva si può dire con verità: Egli ha resistito come un incrollabile scoglio nel mare8 e i concetti che seguono, espressi in questo senso da versi assai belli".

Qui si pose fine alla discussione. Sciogliemmo la seduta con piena soddisfazione ed entusiasmo di tutti.

Era stato già portato il lume della notte.

Indice

6 Aristotile, Top. 132b2; Sesto Emp., Pyrr. Hyp. 2, 25; Cicerone, Lucullus 7, 21
7 Virgilio, Georg. 2, 480-481
8 Virgilio, Aen. 7, 586