L'apologetico

Indice

Capo 1

Si mette in rilievo l'illogico e ingiusto procedere dei giudici, che condannano quello che non conoscono e non vogliono conoscere.

1. Se a voi, dell'Impero romano magistrati, che in luogo pubblico ed eminente, direi quasi proprio al sommo della città presiedete ai giudizi, palesemente investigare e dinanzi a tutti esaminare non è permesso che cosa chiaramente nella causa dei Cristiani si contenga: se per questa unica specie di processi l'autorità vostra di inquisire in pubblico, come esige una giustizia accurata, o teme o arrossisce: se, in una parola, com'è recentemente in processi di casa nostra accaduto, l'ostilità contro questa setta, soverchiamente accanitasi, la bocca chiude alla difesa, sia lecito alla verità arrivare alle orecchie vostre almeno per l'occulta via di uno scritto silenzioso.

2. Essa in favore della propria causa punto non prega, perché della propria condizione nemmeno si meraviglia.

Sa essa che straniera vive su la terra, che fra estranei facilmente trova dei nemici: che, del resto, la sua famiglia, la sua sede, la sua speranza, il suo credito, la sua dignità l'ha nel cielo.

Un'unica cosa frattanto brama: di non essere, senza essere conosciuta, condannata.

3. Che ci perdono qui le leggi, che nel proprio regno signoreggiano, se essa viene ascoltata?

Forse che per questo maggiormente n'avrà del loro potere gloria, perché la verità, pur senza averla udita, condanneranno?

Ma qualora senza averla udita la condannino, oltre l'odio per l'ingiusto procedere, anche il sospetto si attireranno di nutrire qualche preconcetto, ascoltare non volendo quello che, ascoltato, condannare non avrebbero potuto.

4. Orbene, questa prima accusa noi contro di voi formuliamo: l'ingiusto odio verso il nome cristiano.

La quale ingiustizia dimostra e aggrava lo stesso titolo che sembra scusarla, vale a dire, l'ignoranza.

Che infatti di più ingiusto, che dagli uomini venga odiato quello che essi ignorano, pur se la cosa l'odio meriti?

Ché allora lo merita, quando viene conosciuto se lo merita.

5. Ma se la conoscenza manca di codesto merito, onde dell'odio la legittimità si difende, la quale, non in base ai fatti, ma in base a un preconcetto deve trovare approvazione?

Quando, dunque, gli uomini per questo odiano, perché ignorano quale sia la causa che odiano, perché non potrebbe questa esser tale che odiare non la dovrebbero?

Perciò noi l'un fatto in base all'altro impugniamo: il fatto che essi ignorano, mentre odiano, e il fatto che ingiustamente odiano, mentre ignorano.

6. Prova dell'ignoranza, che l'ingiustizia condanna, mentre vorrebbe scusarla, si è che tutti coloro, che per l'addietro odiavano, perché ignoravano, appena di ignorare cessano, anche cessano di odiare.

E da costoro provengono dei Cristiani veramente con cognizione di causa, e quello che erano stati a odiare prendono, e quello che odiavano a professare; e sono tanti, quanti anche siamo accusati.

7. Gridano che la città ne è assediata; che Cristiani si trovano nei campi, nei castelli, nelle isole.

Che persone di ogni sesso, età, condizione, anche di famiglia distinta passano a questo nome, come di un danno, si attristano.

8. Né tuttavia proprio per questo fatto a sospettare la presenza di un qualche bene nascosto si spingono.

Sospettare più dirittamente non lice; sperimentare più da presso non piace.

Solo su codesto punto l'umana curiosità torpida si mostra.

Amano ignorare, mentre altri di avere conosciuto gode.

Quanto maggiormente costoro avrebbe Anacarsi accusati, che, senza sapere, giudicano di chi sa!

9. Non sapere preferiscono, perché ormai odiano.

A codesta maniera anticipano il giudizio che quello che non sanno è tale che, se lo sapessero, odiarlo non potrebbero: dal momento che, se nessun giusto motivo di odio si scoprisse, il meglio certo sarebbe cessare di odiare ingiustamente; se, invece, che quell'odio è meritato constasse, non solo nulla all'odio non si detrarrebbe, ma, anzi, maggior ragione si acquisterebbe a perseverarvi, anche autorizzati dalla sua giustizia.

10. « Ma - dice - non per questo una cosa si giudica anticipatamente un bene, per il fatto che molti a sè converte: quanti, infatti, non si pervertono al male, quanti transfughi alla rovescia! » - Chi lo nega?

Sennonché, ciò che è veramente male, nemmeno coloro, che sono da esso trascinati, osano sostenere che è bene.

Ogni male la natura o di paura cosparge o di rossore.

11. In somma i malfattori di nascondersi bramano, di mostrarsi evitano, colti tremano, accusati negano, nemmeno posti alla tortura facilmente o sempre confessano; certo condannati si attristano, gli assalti enumerano del tristo carattere contro se stessi, o al fato o agli astri lo imputano.

Che il fatto appartenga a loro non vogliono, perché lo riconoscono male.

12. Fa invece il Cristiano qualche cosa di simile?

Nessun Cristiano si vergogna, nessuno si pente, se non proprio di non essere stato tale prima; se è denunciato, se ne gloria; se accusato, non si difende; interrogato, o anche spontaneamente, confessa; condannato ringrazia.

13. Che male è codesto, che i caratteri naturali del male non presenta, paura, vergogna, irresolutezza, pentimento, deplorazione?

Che male è codesto, del quale accusato, uno gode, l'esserne accusato risponde a un desiderio, l'esserne condannato felicità?

Non puoi chiamare follia, quello che vieni convinto di ignorare.

Capo 2

Si critica più particolareggiatamente il procedimento dei giudici nei processi contro i Cristiani: ai quali non è concessa facoltà di difendersi, è usato un trattamento che non si applica a nessun criminale, contrariamente a quanto la loro qualità di criminali imporrebbe.

1. In verità, se è certo che noi siamo quanto mai colpevoli, perché proprio da voi trattati veniamo diversamente dai nostri pari, vale a dire, gli altri colpevoli, mentre, della stessa colpevolezza trattandosi, uno stesso trattamento intervenire dovrebbe?

2. Checché sia quello che di noi si dice, quando si dice degli altri, costoro e si servono della propria bocca e di un avvocato mercenario per far valere la propria innocenza: è loro concessa facoltà di rispondere, di replicare, dal momento che condannare non è lecito affatto, senza che uno sia stato ascoltato e difeso.

3. Invece ai Cristiani soli nulla si permette di dire che l'accusa confuti, la verità difenda, il giudice faccia non ingiusto; ma soltanto quello si aspetta che è necessario all'odio pubblico: la confessione del nome, non già l'inchiesta sul delitto;

4. quando, se un colpevole processate, non vi contentate, per sentenziare, che egli il suo nome abbia confessato di omicida o sacrilego o incestuoso o nemico pubblico ( per parlare delle imputazioni che fate a noi ), se anche le circostanze non esaminate e la qualità del fatto, il numero, il luogo, il tempo, i testimoni, i complici.

5. Nulla di ciò quando si tratta di noi, mentre ugualmente strapparci bisognerebbe quello che con falsità si blatera: di quanti infanticidi uno avesse già assaggiato, quanti incesti fra le tenebre compiuti, quali i cuochi, quali i cani presenti.

Quale gloria per quel governatore, che a scovare qualcuno fosse riuscito, il quale avesse già mangiato carni di cento bambini!

6. Invece noi troviamo che anche la ricerca di noi è stata proibita.

E invero Plinio Secondo, quando era al governo della provincia, dopo aver condannato alcuni Cristiani, altri indotti ad apostatare, tuttavia turbato dallo stesso gran numero, l'imperatore d'allora, Traiano, consultò circa il modo di condursi in seguito, allegando ( toltone l'ostinato rifiuto a sacrificare ) di non aver altro scoperto riguardo ai loro riti, se non delle riunioni antelucane per cantare in onore di Cristo, come di un dio, e per rinsaldare la loro disciplina, che l'omicidio vietava, l'adulterio, la frode, la slealtà e gli altri delitti.

7. Allora Traiano rispose che persone di codesta sorta ricercare non si dovevano; ma, se deferite, doveansi punire.

8. O sentenza per necessità confusa!

Dice che non si devono ricercare, come innocenti, e che siano puniti ordina, come colpevoli.

Risparmia e infierisce, fa finta di non sapere e sa.

Perché da te stessa nella censura ti avvolgi?

Se condanni, perché anche non ricerchi?

Se non ricerchi, perché anche non assolvi?

Per la ricerca dei briganti si assegna per tutte le province un distaccamento militare; contro i rei di lesa maestà e i nemici pubblici ogni uomo è soldato: l'inquisizione fino ai complici e ai testimoni si estende.

9. Solo il Cristiano ricercare non lice: lice deferirlo, quasi che la ricerca fosse per avere altro effetto dal deferimento.

Pertanto condannate un deferito, che nessuno avrebbe voluto venisse ricercato; il quale, penso, non per questo meritò il castigo, perché è colpevole, ma perché fu scoperto, mentre essere ricercato non doveva.

10. Sennonché nemmeno in codesto verso di noi agite secondo le forme dei processi contro i criminali: in codesto, dico, che con gli altri, se negano, la tortura adoperate per farli confessare, invece con i soli Cristiani per costringerli a negare; mentre, se si trattasse di un male, noi certo negheremmo, voi, invece, con la tortura a confessare ci spingereste.

E invero non per questo riterreste di non dover inquisire con processi su i delitti, per il fatto, dico, di esser certi che essi sono ammessi con la confessione del nome: voi che oggi, pur sapendo che cosa sia un omicidio, nondimeno all'omicida confesso il modo estorcete del suo misfatto.

11. Quello che è più strambo, mentre la realtà dei nostri delitti dalla confessione del nome presumete, con la tortura ci costringete a ritrarci dalla confessione, talché, negando il nome, noi si neghi contemporaneamente anche i delitti, la cui realtà voi dalla confessione del nome avevate presunto.

12. Ma, penso, non volete che noi si perisca, noi che pur reputate pessimi.

Difatti a un omicida voi solete dire: « Nega »; e un sacrilego lo fate dilaniare, se persista a confessare!

Se non è così che agite nei riguardi dei colpevoli, allora noi ci giudicate innocentissimi quando, come innocentissimi, che si persista non volete in quella confessione, che reputate di dovere per necessità, non per giustizia, condannare.

13. Grida un uomo: « Sono cristiano ».

Dice quello che è: tu vuoi udire quello che non è.

O governatori costituiti per estorcere la verità, solo da noi vi sforzate di udire la menzogna.

« Sono - dice - quello che tu domandi se sono. Perché mi torturi alla rovescia? Confesso e mi torturi: che faresti, se negassi? »

Quando negano gli altri, certo non facilmente credete loro: a noi, se neghiamo, subito credete.

14. Siavi sospetto codesto pervertimento: che alle volte qualche forza occulta non vi si nasconda, che di voi contro le forme, contro la natura del giudicare si valga, contro anche le stesse leggi.

Ché, se non m'inganno, le leggi che si scoprano i rei ordinano, non che si nascondano; che i rei confessi si condannino, non che vengano assolti prescrivono.

Codesto le deliberazioni del senato, codesto i mandati dei principi stabiliscono.

Codesto potere, di cui siete ministri, è un dominio civile, non un dominio tirannico.

15. Sotto i tiranni, infatti, la tortura era usata anche come castigo: tra voi al servizio è messa del solo processo.

Osservate nei riguardi di essa la vostra legge, che la vuole necessaria fino a che si arrivi alla confessione; se è prevenuta dalla confessione, si renderà inutile, bisogna pronunciare la sentenza.

Alla pena dovuta il colpevole dev'essere sottoposto, non sottratto.

16. In fine nessuno brama di assolverlo: non è lecito volerlo.

Perciò nessuno viene nemmeno costretto a negare.

L'uomo cristiano, reo di tutte le sceleratezze tu lo ritieni, nemico degli dei, degli imperatori, delle leggi, dei buoni costumi, della natura tutta: e lo costringi a negare, per assolvere uno, che non potrai assolvere se non avrà negato.

17. Tu tradisci le leggi.

Vuoi dunque che neghi di essere colpevole, per farlo innocente e, contro sua voglia, senz'altro non più colpevole del suo passato.

Onde codesta stramberia, che voi nemmeno a codesto pensiate, che a chi spontaneamente confessa s'ha da credere più che a colui che nega per forza: o che alle volte, costretto a negare, abbia insinceramente negato e, assolto, lo stesso, dietro il tribunale vostro, della vostra inimiciza rida, novellamente cristiano?

18. Orbene, poiché in tutto voi diversamente dagli altri colpevoli ci trattate, a un unico intento adoperandovi, a escluderci da questo nome ( ne veniamo in verità esclusi, se quello facciamo che fanno i non cristiani ), potete comprendere che non un qualche delitto è in causa, ma un nome, cui una forma di ostile attività persegue, che a codesto anzi tutto si adopera, che gli uomini si rifiutino di sapere con certezza quello che con certezza di non sapere sanno.

19. Perciò sul conto nostro cose credono, che non sono provate; e che s'indaghi non vogliono, affinché non venga provato non esistere quelle che preferiscono avere credute, affinché quel nome, a quella ostile attività nemico, in base a delitti presunti, non provati, su la sola sua confessione sia condannato.

Perciò alla tortura sottoposti veniamo, se confessiamo; veniamo puniti, se persistiamo, assolti se neghiamo, perché la guerra è condotta contro un nome.

20. In fine, perché, leggendo su la tavoletta, dichiarate quell'uomo « cristiano »? perché non anche « omicida », se omicida è il Cristiano? perché non anche « incestuoso » o quella qualunque altra cosa che credete che noi si sia?

Solo se si tratta di noi, vergogna vi prende o rincrescimento di sentenziare, i nomi facendo propri dei delitti?

Se « cristiano » non è il nome di nessun delitto, è ben sciocco che vi sia un delitto di solo nome.

Capo 3

Illogicità e incongruenza di un odio professato contro la setta dei Cristiani unicamente a causa del loro nome.

1. Che dire del fatto che molti, così a occhi chiusi a odiare questo nome si spingono, che, pur rendendo a uno buona testimonianza, l'insulto del nome vi mescolano?

« Un onest'uomo è Gaio Seio: soltanto … è cristiano ».

Del pari un altro: « Mi meraviglio che Lucio Tizio, persona saggia, a un tratto sia divenuto cristiano ».

Nessuno considera se onesto Gaio e persona seria sia Lucio, perché cristiano, o se cristiano sia, perché persona seria e onesta.

2. Lodano quello che sanno, vituperano quello che non sanno; e quello che sanno con ciò che non sanno attaccano, mentre più giusto sarebbe l'occulto a priori giudicare in base a quello che è manifesto, piuttosto che quello che è manifesto a priori condannare in base a quello che è occulto.

3. Altri, coloro che per l'addietro, prima che portassero questo nome, avevano conosciuti quali vagabondi, vili, disonesti, di ciò stesso, che essi biasimano, li lodano: accecati dall'odio, si spingono a un tale elogio.

« Che donna, quanto galante, gioviale! Che giovine, quanto buontempone, donnaiolo! Si sono fatti cristiani! ».

Così la colpa di un nome viene imputata al loro ravvedimento.

4. Alcuni, pur nei riguardi del loro tornaconto, vengono con questo odio a patti, contenti del danno, pur di non avere in casa quello che odiano.

Un marito, ormai non più geloso, caccia di casa la moglie ormai pudica; un padre, costretto per l'addietro a tollerare, il figlio scaccia ormai sottomesso; un padrone, un tempo mite, il servo ormai fedele dai suoi occhi allontana: come uno per questo nome si corregge, offende.

Il bene non vale tanto, quanto l'odio contro i Cristiani.

5. Orbene, se l'odio è contro un nome volto, qual è il reato di un nome?

Quale accusa si può fare a dei vocaboli, se non quella che o suona barbara la voce di qualche nome, o infausta, o offensiva, o sconveniente?

Invece « cristiano », stando al significato, deriva da « unzione ».

Ma anche quando si pronunzia da voi malamente crestiano ( nemmeno la conoscenza esatta del nome c'è tra di voi ), risulta da parola che « soavità » o « bontà » significa.

Pertanto in uomini innocenti perfino il nome innocente si odia.

6. Sennonché è la setta, appunto, che nel nome si odia del suo fondatore.

Che novità, se una dottrina nei suoi seguaci una denominazione induce derivata dal maestro?

Non si denominano forse i filosofi dal loro fondatore, Platonici, Epicurei, Pitagorici? anche dai luoghi di loro riunioni e dimore, Stoici, Academici? e del pari i medici da Erasistrato, i grammatici da Aristarco, i cuochi anche da Apicio?

7. Né tuttavia offende nessuno la professione di un nome, con la instituzione trasmesso da colui che l'ha istituita.

Certo se uno prova che una setta è cattiva e, per tal modo, cattivo anche il fondatore, costui proverà che pure il nome è cattivo, degno di odio, in seguito alla colpevolezza della setta e del suo autore.

Perciò, prima di odiare il nome, riconoscere bisogna dall'autore la setta, o dalla setta l'autore.

8. Ora, invece, l'indagine e il conoscimento dell'una e dell'altro trascurando, ci si attacca a un nome, s'impugna un nome; e una setta non conosciuta e un autore non conosciuto una parola soltanto, a priori, condanna, perché così sono nominati, non perché siano di reità convinti.

Capo 4

Quando le leggi hanno il diritto di esigere l'obbedienza; e in qual modo devono essere applicate.

1. Così, dopo avere quasi a mo' di prefazione detto codesto, per bollare l'ingiustizia dell'odio pubblico contro di noi, a trattare senz'altro mi fermerò la causa della nostra innocenza.

Né soltanto quanto a noi si imputa confuterò, ma anche contro coloro lo ritorcerò che ce lo imputano, affinché da ciò sappiano inoltre gli uomini che fra i Cristiani non si trova quello che essi trovarsi tra di loro non ignorano, e insieme perché arrossiscano di accusare, non dico essi, pessimi, delle persone ottime, ma così senz'altro, com'essi vogliono, dei loro uguali.

2. Ai singoli delitti risponderò, che si dice commettiamo occultamente, che essi, invece, scopriamo commettere palesemente, in cui scellerati ci si giudica, sciocchi, degni di condanna, risibili.

3. Ma poiché, quando la nostra verità ogni loro affermazione ha fronteggiato, alla fine a quella viene opposta l'autorità delle leggi, talché o si afferma che non c'è più luogo a considerazioni dopo le leggi, o, pur contro voglia, la necessità dell'obbedienza viene alla verità anteposta, mi scontrerò con voi prima sul fatto delle leggi, come con tutori delle leggi.

4. Anzi tutto, quando duramente stabilite dicendo: « A voi non è lecito esistere », - e codesto senza alcuna più umana considerazione prescrivete, voi di violenza fate professione, di dominio tirannico ingiusto, se affermate che per questo non è lecito, perché voi così volete, non perché deve non essere lecito.

5. Che se per questo non volete che sia lecito, perché non deve essere lecito, senza dubbio codesto essere lecito non deve, perché si agisce male; e appunto con ciò stesso si presume che sia lecito l'agir bene.

Se io avrò scoperto essere bene quello che la tua legge ha vietato, non è vero che in base a quella presunzione essa vietare non mi può ciò che a buon diritto mi vieterebbe, se fosse male?

Se la tua legge ha sbagliato, essa, penso, da un uomo è stata concepita: non è caduta giù dal cielo.

6. Vi meravigliate che un uomo o abbia potuto sbagliare nel creare una legge, o ravvedersi nel condannarla?

Non forse anche le leggi dello stesso Licurgo, per essere state dagli Spartani corrette, tanto dolore produssero nel loro autore, che egli si ritirò e fece giustizia di sè, lasciandosi morire d'inedia?

7. Non forse anche voi tutti i giorni, a mano a mano che l'esperienza le tenebre dell'antichità rischiara, tutta quella vecchia ed incolta selva di leggi con la scure di nuovi rescritti ed editti emanati dai principi, troncate e recidete?

8. Non forse ieri Severo, il più conservatore dei principi, dopo tanta autorevole vecchiaia, annullò quelle futilissime leggi Papie, che a mettere al mondo figliuoli costringono prima che le leggi Giulie a contrarre matrimonio?

9. Ma anche per l'addietro era legge che i debitori condannati fossero dai creditori fatti a pezzi.

Tuttavia per pubblico consenso la disposizione crudele fu in seguito cancellata.

La pena capitale fu mutata in una nota d'infamia: col ricorso al sequestro dei beni si preferì far salire il sangue umano al viso, piuttosto che versarlo.

10. Quante leggi ancora da ripulire vi rimangono, senza che voi lo sappiate!

Le leggi non il numero degli anni né la dignità dei loro autori, ma la giustizia sola raccomanda: e perciò, quando vengono riconosciute ingiuste, meritamente vengono condannate, anche se condannino.

11. Come le diciamo ingiuste?

Anzi, anche stolte, se puniscono un nome; se, invece, le azioni, perché in base al solo nome puniscono azioni che, quando si tratta degli altri, reprimono dopo averle provate in base ai fatti, non in base al nome?

Sono un incestuoso. - Perché non s'indaga?

Un infanticida.

Perché non me lo strappano con la tortura?

Compio un'azione contro gli dei, contro i Cesari.

Perché non sono ascoltato io che ho come scolparmi?

12. Nessuna legge vieta che si esamini ciò che proibisce di commettere, perché né il giudice punisce, se non ha conosciuto essere stato commesso quello che non è lecito, né il cittadino fedelmente alla legge ubbidisce, se la qualità delle azioni ignora, che la legge punisce.

13. Nessuna legge a sé sola deve la consapevolezza della sua giustizia, ma a coloro, dai quali l'obbedienza attende.

Invece sospetta è una legge, se non vuole essere controllata: malvagia, se, senza essere controllata, s'impone.

Capo 5

Coloro che hanno perseguitato i Cristiani sono stati sempre degli empi e dei tristi, per vostra stessa confessione.

1. Per dire una parola sull'origine di tali leggi, esisteva un vecchio decreto, che nessun dio fosse da un capitano consacrato, se l'approvazione del senato ottenuto questo dio non avesse.

Lo sa Marco Emilio del suo dio Alburno.

Anche questo fa alla nostra causa, che tra di voi l'accoglimento di una divinità dall'arbitrio degli uomini viene fatto dipendere.

Se un dio dell'uomo il gradimento non avrà incontrato, non sarà dio: sarà ormai l'uomo, che dovrà mostrarsi propizio al dio.

2. Dunque Tiberio, al tempo del quale il Cristianesimo entrò nel mondo, i fatti annunziatigli dalla Siria Palestina, che colà la verità avevano rivelato della Divinità stessa, sottomise al parere del senato, votando egli per primo favorevolmente.

Il senato, poiché quei fatti non aveva esso approvati, li rigettò.

Cesare restò del suo parere, pericolo minacciando agli accusatori dei Cristiani.

3. Consultate le vostre memorie: vi troverete che Nerone per la prima volta con la spada imperiale contro questa setta infierì, che proprio allora sorgeva in Roma.

Di un tale iniziatore della nostra condanna anche ci gloriamo.

Chi infatti costui conosce, può comprendere che non poté non essere un qualche gran bene quello che fu da Nerone condannato.

4. Aveva tentato di farlo anche Domiziano, una porzione di Nerone quanto a crudeltà: ma per la porzione in cui era uomo, facilmente l'inizio represse, restituendo in patria per di più coloro che aveva relegati.

Tali sempre furono i nostri persecutori, ingiusti, empi, turpi, cui voi anche siete soliti condannare, i cui condannati siete soliti riabilitare.

5. Ma di tanti principi da quel tempo ad oggi, intenditori di cose umane e divine, indicatene uno che abbia mosso guerra ai Cristiani.

6. Noi, al contrario, indichiamo un protettore, se la lettera si ricerca di Marco Aurelio, imperatore particolarmente saggio, nella quale attesta come quella famosa sete di Germania fu dissipata in seguito a una pioggia impetrata dalle preghiere di soldati per avventura cristiani.

Se da tali uomini con un atto pubblico il provvedimento di un castigo non rimosse, in altra forma tuttavia pubblicamente lo annullò, un castigo per di più aggiungendo per gli accusatori, anche più severo.

7. Che leggi sono dunque codeste, che contro di noi applicano soltanto empi, ingiusti, turpi, truci, stolti, pazzi, leggi che Traiano in parte frustrò, vietando di ricercare i Cristiani, leggi che nessun Vespasiano, pur debellatore dei Giudei, nessun Adriano, pur indagatore di tutte le curiosità, nessun Pio, nessun Vero applicò?

In verità dei pessimi soggetti dagli ottimi tutti, come da loro avversari, avrebbero dovuto essere giudicati degni di sterminio, piuttosto che dai loro compagni.

Capo 6

Non ai Cristiani va rivolta l'accusa di violare le prescrizioni del costume romano, ma ai Romani stessi, che sono tanto degenerati dall'austerità e dalla disciplina degli antichi, sia per quanto concerne la virtù, sia per quanto riguarda la religione.

1. Ora io vorrei che gli scrupolosissimi protettori e vindici delle leggi e delle istituzioni patrie mi rispondessero nei riguardi della loro fede, onore, ossequio prestato alle prescrizioni dei maggiori: se da nessuna di esse si sono allontanati, se in nessuna hanno deviato, se le prescrizioni tutte più adatte e necessarie alla disciplina lasciate non hanno cadere in dimenticanza.

2. Dove sono andate a finire quelle leggi intese a frenare il lusso e l'ambizione, che prescrivevano fossero permessi per un pranzo cento assi e non più, e non fosse imbandita più di una gallina e, per giunta, non ingrassata: che dal senato un patrizio allontanavano, per avere posseduto dieci libbre d'argento, indizio grave di ambizione, che i teatri sorgenti per corrompere i costumi immediatamente abbattevano, che i distintivi di dignità e natali onorevoli non lasciavano capricciosamente e impunemente usurpare?

3. Vedo, infatti, ormai pranzi, che si dovrebbero chiamare centenari dai cento mila sesterzi che ciascuno costa, e miniere d'argento in piatti impiegate - poco male se in piatti di senatori, e non di liberti e perfino di gente che spezzano ancora gli staffili.

Vedo anche che non basta più un teatro per città, né scoperto.

Infatti a impedire che anche l'impudica voluttà d'inverno patisse il freddo … primi gli Spartani inventarono per gli spettacoli il mantello.

Vedo che tra le matrone e le prostitute nessuna differenza, circa il vestire, è rimasta più.

4. Nei riguardi delle donne, in verità, anche sono cadute quelle istituzioni dei maggiori, che la modestia e la sobrietà tutelavano, quando nessuna conosceva l'oro tranne che in un solo dito, quello che il fidanzato con il pronubo anello avesse impegnato; quando le donne dal vino a tal punto si astenevano, che una matrona per avere disuggellato la cassetta dov'eran le chiavi della cantina, fu fatta dai suoi morire d'inedia; e sotto Romolo, per vero, una tale che aveva toccato vino, fu dal marito Metennio impunemente trucidata.

5. Pertanto anche era un obbligo per le donne baci offrire ai congiunti, affinché venissero dall'alito giudicate.

6. Dov'è quella felicità dei matrimoni, prosperata, appunto, in seguito ai buoni costumi, per cui durante circa seicento anni dalla fondazione di Roma nessuna casa un divorzio registrò?

Ora, invece, nelle donne nessun membro a causa dell'oro è liscio, a causa del vino nessun bacio è senza preoccupazione, il divorzio, in verità, è ormai anche il loro voto, quasi un frutto del matrimonio.

7. Anche nei riguardi dei vostri stessi dei, quei provvedimenti che saggiamente avevano i padri vostri decretato, voi medesimi? gli ossequentissimi, avete rescisso.

Il padre Libero con i suoi misteri i consoli, per decreto del senato, non solo dall'urbe, ma da tutta l'Italia eliminarono.

8. Serapide e Iside e Arpocrate con il loro Cinocefalo i consoli Pisone e Gabinio, non certo cristiani, impedirono che recati fossero sul Campidoglio: vale a dire, dalla curia degli dei respinsero e, rovesciatine anche gli altari, li allontanarono, disordini di turpi e oziose superstizioni arrestando.

Restituendoli al culto, voi a questi dei conferito avete la maestà più alta.

9. Dove il religioso rispetto, dove la venerazione da voi dovuta ai maggiori?

Nel vestire, nel modo di vivere, nelle suppellettili, nei sentimenti, nel linguaggio stesso in fine voi avete gli antenati vostri ripudiato.

Sempre l'antichità lodate: e ogni giorno delle novità nella vostra vita introducete.

Onde si dimostra che, mentre dai buoni costumi dei maggiori vi allontanate, voi quello ritenete e custodite che non avreste dovuto, mentre quello che avreste dovuto, non avete custodito.

10. Quello che avete l'aria di custodire ancora fedelissimamente, tramandatovi dai padri, in cui principalmente avete preso di mira i Cristiani, come rei di averlo trasgredito, voglio dire lo zelo del culto divino, intorno al quale sopra tutto l'antichità errò ( sebbene a Serapide, ormai romano, abbiate ricostruito gli altari, sebbene a Bacco, ormai italico, le vostre furie immoliate ), dimostrerò a suo luogo che è del pari da voi trascurato e negletto e abolito contro l'autorità dei maggiori.

11. Per ora risponderò a quell'accusa infamante di scelleratezze occulte, per aprirmi la via a quelle più palesi.

Capo 7

L'accusa di delitti turpi e infamanti sparsa contro i Cristiani è falsa: prova n'è l'impossibilità in cui sempre gli accusatori si sono trovati di dimostrarne la fondatezza, e il modo come si procede con i Cristiani durante il processo.

1. Ci si dice scelleratissimi a motivo di un rito d'infanticidio e del cibo di qui preso e dell'incesto compiuto dopo il banchetto, incesto che dei cani lenoni, si capisce, delle tenebre, agevolano, i lumi rovesciando, per stendere un velo di verecondia su l'empie libidini.

Lo si dice, tuttavia, di noi, sempre: né voi quello che da tanto tempo di noi si dice, di metterlo in chiaro vi curate.

Perciò o mettetelo in chiaro, se ci credete, o non credeteci, se non lo mettete in chiaro.

2. Da codesta vostra trascuranza si eccepisce contro di voi che non esiste quello che neppur voi mettere in chiaro osate.

Un ben diverso ufficio al carnefice imponete nei riguardi dei Cristiani: a far si che essi, non già quello che fanno, dicano, ma che quello che sono, neghino.

3. L'origine di questa dottrina, come già abbiamo esposto, risale al tempo di Tiberio.

La verità ha avuto origine insieme con l'odio contro di essa: appena appare, è nemica.

Tanti sono i suoi nemici, quanti gli estranei: e propriamente i Giudei per ostilità, i soldati per ricatto, quelli stessi di casa nostra, anche, per natura.

4. Tutti i giorni siamo assediati, tutti i giorni traditi, spessissimo nelle nostre stesse riunioni e adunanze veniamo sorpresi.

5. Chi mai sopravvenne mentre un bimbo, trattato al modo che voi dite, vagiva?

Chi le bocche cruente di questi Ciclopi e Sirene custodi, come trovate le aveva, per mostrarle al giudice?

Chi pur nella propria sposa qualche immondo vestigio colse?

Chi tali misfatti, avendoli scoperti, tenne nascosti o vendette, trascinando davanti ai tribunali gli autori stessi?

Se sempre nascosti rimaniamo, quando quello che commettiamo è stato rivelato?

6. Anzi, da chi poté essere rivelato?

Dagli stessi rei non certo, essendo di regola in tutti i misteri dovuto pure un fedele silenzio.

Su i misteri Samotraci ed Eleusini si conserva il silenzio: quanto più si conserverebbe su tali misteri, che, rivelati, provocheranno, nel frattempo, anche la punizione degli uomini, mentre è riservata loro quella di Dio?

7. Se, dunque, non essi, i rei, si tradiscono da se stessi, ne segue che lo fanno gli estranei.

Ma onde agli estranei la conoscenza, dal momento che sempre le iniziazioni, anche pie, i profani allontanano e dai testimoni si guardano?

A meno che gli empi usino meno riguardo.

8. La natura della diceria è nota a tutti.

É roba vostra: La diceria un malanno, di cui non v'è altro più veloce.

Perché un malanno la diceria? perché veloce, perché rivelatrice, oppure perché è il più spesso menzognera?

Essa che, nemmeno quando reca qualche cosa di vero, è senza difetto di mendacio, togliendo, aggiungendo, in parte mutando la verità.

9. E che dire del fatto che tale è la sua condizione, che, solo a patto di mentire, persevera, e tanto a lungo vive, quanto a lungo non prova?

E invero, quando ha provato, cessa di esistere; e adempiendo, in certo modo, l'ufficio di messaggera, consegna una realtà; e da allora è una realtà che si possiede, una realtà che si riferisce.

10. Nessuno dice, per esempio, « Dicono che a Roma sia avvenuto codesto »; oppure « Corre la diceria che quello abbia avuto in sorte la provincia »; si, invece, « Colui ha avuto in sorte la provincia »; « Codesto è avvenuto a Roma ».

11. La diceria, denominazione dell'incertezza, non ha luogo dove è la certezza.

Forse che alla diceria potrebbe credere se non uno sbadato?

E invero il saggio all'incerto non presta fede.

Tutti constatare possono che, per quanto grande l'ampiezza sia in cui è diffusa, per quanto grande l'assicurazione, con cui è stata costruita, essa diceria necessariamente una volta da un unico autore è nata.

12. Di qui per i canali delle lingue e delle orecchie serpeggia, e così il piccolo vizioso seme le altre voci oscura al punto, che nessuno riflette se, per avventura, quella prima bocca la menzogna non abbia seminato: il che spesso avviene o per la natura propria dell'ostilità o per l'arbitrarietà propria del sospetto o per il gusto non occasionale, ma ingenito in qualcuno, di mentire.

13. Fortuna che il tempo tutto mette in luce ( ne fanno testimonianza anche vostri proverbi e sentenze ) per disposizione della natura, che ha ordinato in modo che nulla a lungo nascosto rimane, nemmeno quello che la diceria non ha propalato.

14. É pertanto naturale che la diceria sia da tanto tempo consapevole essa sola dei delitti dei Cristiani.

Questa, quale delatrice, contro di noi producete: la quale ciò che una volta ha blaterato e per tanto spazio di tempo nell'opinione rafforzato, non è fino ad oggi riuscita a provare.

Capo 8

Il delitto, di cui si accusano i Cristiani, è di tal natura, che non c'è uomo che si sentirebbe capace di commetterlo.

Né vale obiettare l'ignoranza o la paura in chi lo commette.

1. Per invocare la testimonianza della natura stessa contro coloro, che presumono che tali cose si debbano  credere, ebbene, si, la ricompensa vi prospetto di tali delitti: essi ripromettono la vita eterna.

Credetelo per ora. Intorno a codesto, infatti, domando: se tu, che anche vi hai creduto, pensi che valga la pena di pervenirvi con una tale consapevolezza.

2. Vieni, il ferro affonda nel bimbo nemico di nessuno, colpevole di nulla, figlio di tutti; o, se codesto ufficio appartiene ad altri, tu soltanto sta da presso a un uomo che muore prima di essere vissuto; attendi che l'anima novella si fugga, il sangue giovinetto raccogli, di esso il tuo pane imbevi, mangiane con gusto.

3. Frattanto seduto a tavola conta i posti, dove si trova tua madre, dove tua sorella: contali diligentemente, affinché, quando calate saranno le tenebre canine, non sbagli.

Ché commetterai un sacrilegio, se non commetterai un incesto.

4. Iniziato a tali riti e contrassegnato, tu vivi in eterno.

Desidero che tu risponda, se vale tanto una vita eterna; e, se non vale, se nemmeno, per questo, si debba credervi.

Anche se tu vi creda, dico che non vorresti saperne; anche se tu voglia saperne, dico che non ne saresti capace.

Perché, dunque, ne sarebbero capaci altri, se non ne siete capaci voi?

Perché non ne sareste capaci voi, se capaci ne sono altri?

5. Si capisce, noi siamo di altra natura, siamo dei Cinopeni o degli Sciapodi: altri filari di denti, altri nervi per un piacere incestuoso.

Tu che codesto di un uomo credi, anche sei capace di farlo: uomo sei tu pure, come il Cristiano.

Se non sei capace di farlo tu, non devi crederlo di altri.

Uomo è infatti anche il Cristiano, come te.

6. « Ma lo si suggerisce e impone a gente che non sa ».

Si capisce, nulla sapeva codesta gente, che tali atti sul conto dei Cristiani si affermavano: era loro certamente necessario osservare e con ogni vigilanza investigare per venirne a conoscenza.

7. Eppure a chi essere iniziato vuole, è costume, penso, prima al padre dei misteri presentarsi, quello che deve esser preparato descrivergli.

Quello dirà: « Ti è necessario un bimbo, ancor tenero, che il morire ignori, che sotto il tuo coltello sorrida; parimenti del pane, sul quale il flusso del sangue raccolga; inoltre candelabri e lucerne e qualche cane e bocconi, che li facciano tendersi fino a spegnere il lume.

Sopra tutto venire dovrai con tua madre e con tua sorella ».

8. E se queste non vogliono? o non hanno essi nessuna di costoro?

Quanti Cristiani, in somma, che vivono soli!

Non ci sarà, penso, nessun Cristiano legittimo, se non sarà fratello o figlio.

« E se tutto ciò viene preparato, senza che gli iniziandi lo sappiano? »

Ma almeno dopo vengono a conoscerlo: e sopportano e lasciano andare?

9. « Temono di essere puniti, se lo rivelano ».

Essi, che meriteranno di essere da voi, difesi?

Essi che preferirebbero morire perfino spontaneamente, piuttosto che vivere sotto una tale consapevolezza?

Orsù; ammettiamo che abbiano paura di essere puniti: perché anche vi perseverano?

Segue, infatti, che tu non voglia ulteriormente essere quello che, se l'avessi conosciuto, prima, non saresti stato.

Capo 9

Non i Cristiani meritano di essere accusati d'infanticidio e di pasti nefandi, ma essi, i Pagani.

Altrettanto dicasi dell'incesto.

1. Per riuscire a maggiormente confutare l'accusa di questi delitti, dimostrerò che da voi, parte apertamente, parte occultamente, essi vengono compiuti: per cui forse anche sul conto nostro l'avete creduta.

2. Bambini in Africa venivano sacrificati a Saturno pubblicamente fino al proconsolato di Tiberio, che i medesimi sacerdoti, appesi agli alberi stessi del loro tempio, con l'ombra loro quei delitti ricoprenti, come su croci votive espose: testimoni soldati del padre mio, che proprio quell'ufficio a quel proconsole adempirono.

3. Ma tuttora in questo rito esecrando occultamente si persevera.

Non sono solo i Cristiani a non tener nessun conto di voi: non v'è delitto che venga sradicato per sempre, né dio alcuno che i suoi costumi cambi.

4. Non avendo Saturno i propri figli risparmiato, a non risparmiare gli altrui naturalmente perseverava, che, in verità, i loro genitori stessi gli offrivano e volentieri promettevano in voto, e i bimbi accarezzavano, perché senza pianto sacrificare si lasciassero.

E tuttavia il parricidio dall'omicidio molto differisce.

5. Adulti presso i Galli a Mercurio vengono sacrificati.

Lascio i drammi Taurici al loro teatro.

Ecco, in quella religiosissima città dei pii Eneadi v'è un Giove, che, durante gli spettacoli in suo onore celebrati, di sangue umano aspergono.

« Ma col sangue d'un bestiario », voi dite.

Si capisce, codesto è meno grave, penso, che col sangue di un semplice uomo.

O non è, invece, più turpe, per il fatto che un dio spruzzate col sangue di un uomo malvagio?

Almeno tuttavia ammetterete che quel sangue in seguito a un omicidio si versa.

O Giove cristiano e figlio di suo padre soltanto in quanto a crudeltà!

6. Ma poiché per l'infanticidio non c'è differenza se per un rito sacro venga compiuto o per capriccio, sebbene fra il parricidio e l'omicidio ci sia differenza, mi rivolgerò al popolo.

Fra costoro che ci stanno d'intorno e avidamente dei Cristiani al sangue anelano, anche tra voi stessi governatori giustissimi e severissimi con noi, di quanti volete che io bussi alla coscienza, i quali i figli loro nati uccidono?

7. Che se c'è una differenza anche intorno al modo dell'uccisione, certo agite più crudelmente voi nell'acqua soffocandoli o al freddo esponendoli, alla fame, ai cani: non c'è adulto che morire di ferro non preferirebbe.

8. Quanto a noi, essendoci l'omicidio una volta per tutte interdetto, anche la creatura concepita nel grembo, mentre tuttora il sangue le deriva a formare l'uomo, dissolvere non lice. è un omicidio affrettato impedire di nascere, né importa se una vita nata uno strappi, o mentre sta nascendo la dissipi.

É uomo anche chi è per diventarlo; anche ogni frutto già nel seme esiste.

9. Quanto al pasto di sangue e alle consimili portate da tragedia, leggete se in qualche luogo non si trovi riferito - si legge, credo, in Erodoto - come certe nazioni il sangue versato dalle braccia dell'una e dell'altra parte e gustato - facevano servire alla conclusione di un patto.

Non so qual bevanda del genere fu gustata anche per ordine di Catilina.

Dicono anche che presso alcuni Gentili di fra gli Sciti, ogni defunto viene dai suoi mangiato.

10. Ma mi allontano di troppo. Qui oggi il sangue della coscia tagliata raccolto nella mano e dato a bere, i seguaci di Bellona inizia.

Del pari coloro, che durante lo spettacolo, nell'arena, il sangue caldo dei criminali sgozzati, scorrente dalla gola raccogliendo, con avida sete bevono per guarire dal morbo comiziale, dove si trovano?

11. E del pari coloro che di vivande ferme si cibano raccolte dall'arena, che domandano un pezzo di cinghiale, di cervo?

Quel cignale nella lotta il sangue lambì di colui che esso dilaniò; quel cervo nel sangue giacque di un gladiatore.

Perfino le viscere degli orsi si appetiscono, piene ancora di umane viscere non digerite.

Erutta, perciò, uomo, carne pasciutasi di uomo.

12. Voi che simili vivande mangiate, quanto siete distanti dai banchetti dei Cristiani?

E meno fanno anche coloro, che, da libidine selvaggia sospinti, bramosi anelano a membra umane, per il fatto che divorano dei viventi?

Meno con sangue umano vengono all'ignominia consacrati, perché lambiscono quello che diverrà sangue?

Non mangiano bimbi, senza dubbio, ma piuttosto degli adulti.

13. Arrossisca l'error vostro di fronte ai Cristiani, che nemmeno il sangue degli animali abbiamo a tavola tra le vivande in uso, che per questo anche dagli animali soffocati e morti di malattia ci asteniamo, per non venire in qualche modo contaminati dal sangue pur nascosto entro le viscere.

14. In fine fra le tentazioni adoperate con i Cristiani, voi anche delle salsicce accostate loro gonfie di sangue, sicurissimi - è chiaro - essere tra loro illecito quello con cui farli deviare volete.

Or dunque che è mai codesto vostro credere che bramose di umano sangue siano persone, che siete convinti aborrire il sangue di animali?

A meno che essere quello più gustoso per avventura sperimentato non abbiate.

15. Il sangue anch'esso adoperare ugualmente si sarebbe dovuto, quale mezzo di indagare i Cristiani, come il braciere e l'incensiere: in tal guisa, infatti, appetendo il sangue umano si sarebbero rivelati, allo stesso modo che rifiutandosi al sacrificio; altrimenti si sarebbe dovuto negare che fossero cristiani, se non ne avessero gustato, al modo stesso che se avessero sacrificato.

E certo non sarebbe mancato a voi sangue umano nell'ascoltare e condannare i detenuti.

16. Inoltre chi è più incestuoso di coloro, cui Giove stesso istruì?

Ctesia riferisce che i Persiani con le loro madri si uniscono.

Ma anche i Macedoni sono sospetti, perché, avendo per la prima volta assistito alla tragedia Edipo, ridendosi del dolore dell'incestuoso « Si gettava - dicevano - su sua madre! »

17. Riflettete fin d'ora quanto sia permesso alle confusioni per compiere unioni incestuose, là dove le occasioni fornisce la promiscuità della lussuria.

Prima di tutto voi esponete i figliuoli, perché siano da qualche pietà estranea, che passi loro vicino, raccolti; o li emancipate, perché adottati siano da genitori in condizioni migliori.

É inevitabile che il ricordo della famiglia divenuta estranea, un momento o l'altro svanisca.

E appena la possibilità di confusione avrà preso piede, da allora subito se ne avvantaggerà la propaggine dell'incesto, e la famiglia si estenderà delittuosamente.

18. Allora, quindi, in qualunque luogo, in patria, fuori, al di là dei mari vi è compagna la libidine, le cui deviazioni, dovunque compiute, possono facilmente in qualche luogo procrearvi, senza che lo sappiate, figliuoli anche da una qualche porzione della vostra semenza; talché la discendenza dispersa attraverso le relazioni umane, con i suoi consanguinei venga a incontrarsi, senza che l'ignaro del sangue incestuoso li riconosca.

19. Noi da codesta eventualità difende una diligentissima e costantissima castità; e quanto dagli stupri e da ogni eccesso dopo il matrimonio, altrettanto anche dall'eventualità dell'incesto siamo sicuri.

Alcuni, molto più sicuri, ogni pericolo di questo errore allontanano con una continenza verginale, vecchi fanciulli.

20. Se codesto stato di cose consideraste esistere in voi, vedreste che altrettanto non esiste fra i Cristiani: gli stessi occhi vi avrebbero fatto palese l'una e l'altra realtà.

Ma di cecità ve n'è due specie, che vanno facilmente insieme: quelli che non vedono quello che è, di vedere credono quello che non è.

Così proverò essere in tutto. Ora parliamo dei misfatti palesi.

Indice