L'anima dell'apostolato

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4 - Vita interiore e vita attiva si chiamano a vicenda

Come l'amore di Dio si rivela con gli atti della vita interiore, così l'amore del prossimo si manifesta con le operazioni della vita esteriore e perciò, non potendosi separare l'amore di Dio e l'amore del prossimo, ne risulta che queste due forme di vita non possono stare l'una senza l'altra.76

Perciò, dice il Suarez, non vi può essere uno stato correttamente e normalmente ordinato per giungere alla perfezione, il quale non partecipi in una certa misura dell'azione e della contemplazione.77

L'illustre gesuita non fa altro che commentare l'insegnamento di san Tommaso.

Coloro che sono chiamati alle opere della vita attiva, dice il Dottore Angelico, avrebbero torto a credere che questo dovere li dispensi dalla vita contemplativa; questo dovere non ne accresce e non ne diminuisce la necessità.

Perciò le due vite non solo non si escludono a vicenda, ma si chiamano, si suppongono, si mescolano e si completano, e se si deve dare una parte maggiore all'una delle due, bisogna darla alla vita contemplativa che è la più perfetta e la più necessaria.78

Perchè sia feconda, l'azione ha bisogno della contemplazione; questa quando giunge a un certo grado d'intensità, diffonde sulla prima qualche cosa della sua sovrabbondanza, e così l'anima va ad attingere direttamente nel cuore di Dio le grazie che razione deve distribuire.

Perciò nell'anima di un santo, l'azione e la contemplazione, fondendosi in perfetta armonia, danno alla sua vita una meravigliosa unità.

Tale era, per esempio, san Bernardo, l'uomo più contemplativo e in pari tempo più attivo del suo secolo.

Di lui un suo contemporaneo fa questa magnifica descrizione: « ln lui l'azione e la contemplazione si accordavano così bene, che egli pareva nel tempo stesso tutto dedito alle opere esteriori e intanto tutto assorto nella presenza e nell'amore del suo Dio ».79

Commentando quel testo scritturale: Pone me ut signaculum super cor tuum, ut signaculum super brachium tuum,80 il P. Saint-Jure descrive molto bene i rapporti tra le due vite; riassumiamo le sue riflessioni.

Il cuore significa la vita interiore, contemplativa; il braccio, la vita esteriore, attiva.

Il sacro testo nomina il cuore e il braccio per mostrare che le due vite possono allearsi e andare perfettamente d'accordo nella medesima persona.

Il cuore è nominato per il primo, perchè è un organo più nobile e più necessario che il braccio; così pure la contemplazione è assai più eccellente e più perfetta, e merita più stima che non l'azione.

Il cuore batte notte e giorno, e un momento di fermata in questo organo essenziale porterebbe alla morte.

Il braccio invece che è soltanto parte integrante del corpo umano, si muove solo a intervalli.

Così noi dobbiamo di tanto in tanto dare un pò di tregua al nostro lavoro esteriore, ma non sospendere mai la nostra applicazione alle cose spirituali.

Il cuore dà la vita e la forza al braccio, per mezzo del sangue che gli manda, altrimenti questo membro si paralizzerebbe.

Così la vita contemplativa, vita di unione con Dio, con i lumi e la continua assistenza che l'anima riceve da questa intimità, vivifica le occupazioni esteriori ed essa sola è capace di comunicare loro, insieme con un carattere soprannaturale, una reale utilità.

Senza di essa, tutto è languido, sterile, pieno d'imperfezioni.

L'uomo disgraziatamente troppo spesso separa quello che Dio ha unito, perciò questa perfetta unione è molto rara, e poi per effettuarsi esige un complesso di precauzioni che spesso si trascurano:

non intraprendere nulla di superiore alle proprie forze;

vedere in tutto abitualmente, ma semplicemente, la volontà di Dio;

non impegnarsi nell'azione se non quando Dio lo vuole e nella misura esatta in cui lo vuole da noi, e con il solo desiderio di esercitare la carità;

offrirgli fin dal principio il nostro lavoro e durante il lavoro ravvivare spesso con santi pensieri e con ardenti giaculatorie la nostra risoluzione di agire soltanto per Lui e per mezzo di Lui;

ancora durante il lavoro, qualunque sia l'attenzione che si richiede da noi, conservarci sempre nella pace, perfettamente padroni di noi medesimi;

per la riuscita, rimetterci unicamente a Dio e non desiderare di essere liberati dalla fatica se non per ritrovarci soli con Gesù Cristo.

Tali sono i sapientissimi consigli dei maestri della vita spirituale, per giungere a questa unione.

Qualche volta le occupazioni si moltiplicheranno tanto, da richiedere tutte le nostre energie, senza che possiamo in nessun modo liberarci dal nostro peso e neppure alleggerirlo.

La conseguenza ne potrà essere la privazione, per un tempo più o meno lungo, del godimento dell'unione con Dio, ma questa unione non ne soffrirà, se noi non lo vogliamo.

Se tale stato si prolunga, bisogna soffrirne, gemerne e soprattutto temere che diventi abitudine.

L'uomo è debole e incostante; trascurata la sua vita spirituale, ben presto ne perde il gusto; assorbito dalle occupazioni materiali, finisce con sentirne piacere.

Invece se lo spirito interiore esprime la sua vitalità latente con gemiti e sospiri, questi continui lamenti che vengono da una ferita la quale non si chiude nemmeno in mezzo ad un'attività assorbente, costituiscono il merito della contemplazione sacrificata, o meglio l'anima mette in effetto quella meravigliosa e feconda unione della vita interiore e della vita attiva.

Stimolata da questa sete di vita interiore, che essa non può soddisfare a suo agio, ritorna con ardore, appena lo può, alla vita di orazione.

Il Signore le prepara sempre alcuni istanti di conversazione; Egli vuole però che essa vi sia fedele e le concede di poter compensare col fervore la brevità di quei momenti felici.

In un testo le cui parole sono tutte degne di essere meditate, san Tommaso riassume molto bene tale dottrina: Vita contemplativa, ex genere suo, maioris est meriti quam vita activa. Potest nihilominus accidere ut aliquis plus mereatur aliquid externum agendo: puta si propter abundantiam divini amoris, ut Eius voìuntas impleatur, propter Ipsius gloriam, interdum sustinet a dulcedine divinae contemplationis ad tempus separari.81

Notiamo l'abbondanza di condizioni che il santo Dottore suppone, perchè l'azione diventi più meritoria della contemplazione.

La molla interna che spinge l'anima all'azione non è altro che la sovrabbondanza della sua carità: Propter abundantiam divini amoris; non si tratta dunque nè dell'agitazione nè del capriccio nè del bisogno di espandersi.

E difatti è un dolore per l'anima: Sustinet, per essere privata delle dolcezze della vita di orazione,82 a dulcedine divinae contemplationis … separati.

Perciò essa sacrifica soltanto provvisoriamente: Accidere … interdum … ad tempus, e per un fine affatto soprannaturale: ut Eius voìuntas impleatur, propter Ipsius gloriam, una parte del tempo riservato all'orazione.

Quanta sapienza e quanta bontà nelle vie del Signore!

Che meravigliosa direzione Egli dà all'anima con la vita interiore!

Conservata in mezzo all'azione e intanto generosamente offerta, questa pena profonda di dover consacrare tanto tempo alle opere di Dio e così poco al Dio delle opere, trova il suo conforto.

Per lei infatti scompaiono tutti i pericoli di dissipazione, di amor proprio, di affezioni naturali; invece di nuocere alla libertà di spirito e all'attività, questa disposizione di animo dà loro un carattere più serio.

Essa è la forma pratica dell'esercizio della presenza di Dio, perchè l'anima trova nella grazia del momento presente, Gesù vivo che si offre a lei, nascosto sotto il lavoro da compiere: Gesù lavora con lei e la sostiene.

Quante persone sotto il peso del lavoro dovranno a questa pena salutare ben compresa, a questo desiderio sacrificato, eppure mantenuto, di avere più tempo di stare presso il santo Tabernacolo, a quelle comunioni spirituali quasi continue, dovranno, dico, la fecondità della loro azione e nel tempo stesso la sicurezza dell'anima loro e il progresso nella virtù!

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76 Sicut per contemplationem amandus est Deus, ita per actualem vitam diligendus est proximus, ac per hoc, sic non possuinus sine utraque esse vita, sicut et sine utraque dilectione esse nequaquam possumus ( S. Ibid., Different, lib. II, XXXIV, n. 135 )
77 Concedendum ergo est nullum esse posse vitae studlum recte institutum ad perfectionem obtincndam, quod non aliquid de actlone et de contemplatane particlpet ( Suarez, de Relig. trac., 1. I, cap. V, n. 5 )
78 Cum aliquis a contemplativa vita ad activam vocatur, non tìt per modum subtraotionis, sed per modum additioulti ( S. Tomm., 2a 2ae, q. 182, a. 1 ad 3 )
79 Interiori quadam, qnam ubique ipse eireumferebat solitudine fruebatur, totus quodammodo exterius laborabat, et totus interius Deo vacabat ( Goffredo, Vita S. Bern., I, c, V e III )
80 Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigino sul tuo braccio ( Ct 8,6 )
81 La vita contemplativa è in sè più meritoria che la vita attiva.
Può tuttavia accadere che un uomo meriti di più, facendo un atto esteriore: per esempio se per causa dell'abbondanza di amore, per compiere la volontà di Dio, per la sua gloria, si tollera qualche volta di stare privo, per qualche tempo, della dolcezza della divina contemplazione ( 2a 2ae, q. 18, a. 2 )
82 Dolcezza che avendo la sua sede soprattutto nella parte superiore dell'anima, non sopprime punto le aridità, perciò: Exsuperat omnem sensum.
La logica della fede pura, arida e fredda in sè, basta alla volontà per infiammare il cuore con una fiamma soprannaturale con l'aiuto della grazia.
Sopra il suo letto di morte, a Moulins, santa Giovanna di Chantal, una delle anime più provate nell'orazione, lasciava alle sue figliuole, come testamento, il principio di cui essa era vissuta per logica della fede: la maggiore felicità quaggiù è di potersi trattenere con Dio