Compendio di Teologia Ascetica e Mistica

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Capitolo III.

La Mortificazione.

751. La mortificazione contribuisce, come la penitenza, a purificarci delle colpe passate; ma il principale suo scopo e di premunirci contro quelle del presente e dell'avvenire, diminuendo l'amor del piacere, fonte dei nostri peccati.

Ne spiegheremo dunque la natura, la necessità e la pratica.

Natura

- I diversi nomi.

- La definizione.

Necessità

- Per la salute.

- Per la perfezione.

Pratica

- Principi generali.

- Mortificazione dei sensi esterni.

- Mortificazione dei sensi interni.

- Mortificazione delle passioni.

- Mortificazione delle facoltà superiori.

ART. I. Natura della mortificazione

Spiegati che avremo i termini biblici e i moderni con cui si denomina la mortificazione, ne daremo la definizione.

752. 1. Espressioni bibliche per indicare la mortificazione.

Sette principali espressioni troviamo nei Libri Sacri per indicare la mortificazione sotto vari suoi aspetti.

1° Il vocabolo rinunzia, "[qui non renuntiat omnibus quae possidet non potest meus esse discipulus] chi non abbandona tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo", ci presenta la mortificazione come atto di distacco dai beni esterni per seguir Cristo, come fecero gli Apostoli: "[relictis omnibus, secuti sunt eum] lasciarono tutto e lo seguirono".

2° E pure abnegazione o rinunzia a sé stesso "[si quis vult post me venire, abneget semetipsum] Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso" …; infatti il più terribile dei nostri nemici è il disordinato amore di noi stessi; ecco perché è necessario distaccarsi da sé stessi.

3° Ma la mortificazione ha pure un lato positivo: è un atto che ferisce e distrugge le male tendenze della natura: "[Mortificate ergo membra vestra] Quindi mettere il" … "[Si autem spiritu facta carnis mortifica veritis, vivetis] Se, nello spirito di opere della carne, mortificanti per temere che, voi vivrete" …

4° Anzi è una crocifissione della carne e delle sue cupidigie, onde inchiodiamo, a così dire, le nostre facoltà alla legge evangelica, applicandole alla preghiera e al lavoro: "[Qui… sunt Christi, carnem suam crucifixerunt cum vitiis et concupiscentiis] E loro … appartenere a Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con gli affetti e le passioni".

5° Questa crocifissione, quando è costante, produce una specie di morte e di seppellimento, che ci fa come intieramente morire a noi stessi e seppellirci con Gesù Cristo a fine di vivere con lui di vita novella: "[Mortui enim estis vos et vita vestra est abscondita cum Christo in Deo] Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio" … [Consepulti enim sumus cum illo per baptismum in mortem] Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella morte …

6° A indicare questa morte spirituale S. Paolo adopera pure un'altra espressione; poiché, dopo il battesimo, vi sono in noi due uomini, l'uomo vecchio che rimane, o la triplice concupiscenza, e l'uomo nuovo o l'uomo rigenerato, egli dichiara che dobbiamo spogliarci dell'uomo vecchio per rivestirci del nuovo: "[expoliantes vos veterem hominem… et induentes novum] Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio e mettere su il nuovo …".

7° Non potendo questo farsi senza combattere, Paolo afferma che la vita e una lotta "[bonum certamen certavi] la buona battaglia"; e che i cristiani sono lottatori o atleti, che castigano il corpo e lo riducono in schiavitù.

Da tutte queste espressioni e da altre simili risulta che la mortificazione inchiude un doppio elemento: uno negativo il distacco, la rinunzia, lo spogliamento; e l'altro positivo, la lotta contro le cattive tendenze, lo sforzo per mortificarle o svigorirle, la crocifissione e la morte: crocifissione della carne, dell'uomo vecchio e delle sue cupidigie, per vivere della vita di Cristo.

753. II. Espressioni moderne.

Oggi si preferiscono espressioni addolcite, che indicano lo scopo da conseguire anziché lo sforzo da sostenere.

Si dice che bisogna riformare sé stesso, governare sé stesso, educare la volontà, orientare l'anima verso Dio.

Sono espressioni giuste, purché si sappia far rilevare che non si può riformare e governare sé stessi se non combattendo e mortificando le male tendenze che sono in noi; che non si educa la volontà se non domando e disciplinando le facoltà inferiori, e che non si può orientarsi verso Dio se non distaccandosi dalle creature e spogliandosi dei vizi.

Bisogna insomma saper riunire, come fa la S. Scrittura, i due aspetti della mortificazione, mostrare lo scopo per consolare ma non dissimulare lo sforzo necessario per conseguirlo.

754. III. Definizione.

Si può dunque definire la mortificazione: la lotta contro le inclinazioni cattive per sottometterle alla volontà e questa a Dio.

Più che un'unica virtù è un complesso di virtù, è il primo grado di tutte le virtù che consiste nel superare gli ostacoli a fine di ristabilire l'equilibrio delle facoltà e il loro ordine gerarchico.

Onde si vede meglio che la mortificazione non è uno scopo ma un mezzo: uno non si mortifica che per vivere una vita superiore; non si spoglia dei beni esterni che per meglio possedere i beni spirituali; non rinunzia a sé stesso che per posseder Dio; non lotta che per conquistare la pace; non muore a sé stesso che per vivere della vita di Cristo e della vita di Dio: l'unione con Dio è dunque lo scopo della mortificazione.

Onde meglio se ne capisce la necessità.

ART. II. Necessità della mortificazione

Questa necessità può essere studiata sotto doppio rispetto, rispetto all'eterna salute e rispetto alla perfezione.

I. Necessità della mortificazione per l'eterna salute.

Vi sono mortificazioni necessarie all'eterna salute, nel senso che, se non si fanno, si è esposti a cadere in peccato mortale.

755. 1° Nostro Signore ne parla in modo assai chiaro a proposito dei peccati contro la castità: "Chiunque guarda una donna con concupiscenza, [ad concupiscendam eam] per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore".

Vi sono dunque sguardi gravemente colpevoli, quelli che procedono da cattivi desideri; e la mortificazione di questi sguardi è necessaria sotto pena di peccato mortale.

Ma lo dice poi chiaro Nostro Signore con quelle energiche parole: "Se il tuo occhio destro ti è occasione di caduta, cavatelo e gettalo via, perché è meglio per te che un solo dei tuoi membri perisca, anziché l'intero tuo corpo venga gettato nell'inferno".

Non si tratta qui di strapparsi materialmente gli occhi ma di allontanare lo sguardo dalla vista di quegli oggetti che ci sono motivo di scandalo.

S. Paolo dà la ragione di queste gravi prescrizioni: "Se vivrete secondo la carne, morrete; se poi, per mezzo dello spirito, darete morte alle azioni della carne, vivrete: [si enim secundum carnem vixeritis, moriemini; si autem spiritu facta carnis mortificaveritis, vivetis] Perché se vivete secondo la carne, voi morrete; se per lo Spirito si morire le opere della carne, vivrete".

Come infatti già dicemmo al numero 193-227, la triplice concupiscenza che alberga in noi, aizzata dal mondo e dal demonio, ci porta sovente al male e mette in pericolo la nostra eterna salute se non badiamo a mortificarla.

Onde nasce l'assoluta necessità di incessantemente combattere le cattive tendenze che sono in noi; di fuggire le occasioni prossime di peccato, cioè quegli oggetti o quelle persone che, attesa la passata nostra esperienza, costituiscono per noi serio e probabile pericolo di peccato; e quindi pure di rinunziare a molti piaceri a cui ci trae la nostra natura.

Vi sono dunque mortificazioni necessarie, senza le quali si cadrebbe in peccato mortale.

756. 2° Ve ne sono altre che la Chiesa prescrive per determinare l'obbligo generale di mortificarsi così spesso ricordato dal Vangelo: tale è l'astinenza dal grasso nel venerdì, il digiuno della Quaresima, delle Quattro Tempora e delle vigilie.

Sono leggi che obbligano sotto pena di colpa grave coloro che non ne sono legittimamente dispensati.

Qui però vogliamo fare un'osservazione che ha la sua importanza: vi sono persone che, per buone ragioni, sono dispensate da queste leggi; ma non sono per questo dispensate dalla legge generale della mortificazione e devono quindi praticarla sotto altra forma; altrimenti non tarderanno a risentire le ribellioni della carne.

757. 3° Oltre queste mortificazioni prescritte dalla legge divina e dalla legge ecclesiastica, ce ne sono altre che ognuno deve imporsi, col consiglio del direttore, in certe circostanze particolari, quando premono maggiormente le tentazioni; si possono scegliere tra quelle che verremo indicando. ( n. 769 ss.).

II. Necessità della mortificazione per la perfezione

758. Questa necessità deriva da ciò che abbiamo detto sulla natura della perfezione, la quale consiste nell'amore di Dio spinto fino al sacrificio e all'immolazione di sé, n. 321-327, tanto che, secondo l'imitazione, la misura del progresso spirituale dipende dalla misura della violenza che uno si fa: [tantum proficies, quantum tibi ipsi vim intuleris] servirà solo a realizzare, quanto si forza contro se stessi.

Basterà quindi richiamare brevemente alcuni motivi che possano muovere la volontà ed aiutarla a praticare questo dovere; si desumono da parte di Dio, di Gesù Cristo, della nostra santificazione.

1° Da parte di Dio

759. A) Il fine della mortificazione, come fu detto, è di unirci a Dio; cosa che non possiamo fare senza distaccarci dall'amore disordinato delle creature.

Come giustamente dice S. Giovarmi della Croce, "l'anima attaccata alla creatura le diviene simile; quanto più cresce l'affetto tanto più l'identità si manifesta, perché l'amore rende pari l'amante e l'amato.

Chi dunque ama una creatura, s'abbassa al suo livello, anzi al di sotto, perché l'amore non si contenta della parità ma rende anche schiavi.

È questa la ragione per cui un'anima, schiava d'un oggetto fuori di Dio, diviene incapace di unione pura e di trasformazione in Dio, perché la bassezza della creatura è più distante dalla grandezza del Creatore che non le tenebre dalla luce".

Ora l'anima che non si mortifica, s'attacca presto in modo disordinato alle creature, perché, dopo il peccato originale, si sente attirata verso di loro, cattivata dal loro fascino, e, in cambio di servirsene come di scalini per salire al Creatore, vi si diletta e le considera come fine.

A rompere quest'incanto, a schivare questa stretta, è assolutamente necessario distaccarsi da tutto ciò che non è Dio, o almeno da tutto ciò che non è considerato come mezzo per andare a Lui.

Ecco perché l'Olier, paragonando la condizione dei cristiani a quella di Adamo innocente, dice che vi è grande differenza tra le due: Adamo cercava Dio, lo serviva e l'adorava nelle creature; i cristiani invece sono obbligati a cercare Dio con la fede, a servirlo e adorarlo ritirato in sé stesso e nella sua santità, separato da ogni creatura.

In questo consiste la grazia del battesimo.

760. B) Nel giorno del battesimo si stipulò tra Dio e noi un vero contratto.

a) Dio, da parte sua, ci mondò dalla macchia originale e ci adottò per figli, ci comunicò una partecipazione della sua vita, obbligandosi a darci tutte le grazie necessarie per conservarla e accrescerla; sappiamo con quanta liberalità mantenne le sue promesse.

b) Da parte nostra, ci obbligammo a vivere da veri figli di Dio, ad avvicinarci alla perfezione del Padre celeste coltivando questa vita soprannaturale.

Ora questo non possiamo fare se non in quanto pratichiamo la mortificazione.

Perché, da un lato lo Spirito Santo, datoci nel Battesimo, "ci porta all'umiltà, alla povertà, ai patimenti; e dall'altro la carne brama gli onori, i piaceri, le ricchezze".

Vi è quindi in noi conflitto e lotta incessante; e non possiamo essere fedeli a Dio che rinunziando all'amore disordinato degli onori, dei piaceri e delle ricchezze.

Ecco perché il sacerdote, battezzandoci, ci segna addosso due croci, una sul cuore, per imprimerci l'amor della Croce, e l'altra sulle spalle, per darci la forza di portarla.

Mancheremmo quindi alle promesse del battesimo se non portassimo la croce, combattendo il desiderio dell'onore con l'umiltà, l'amore del piacere con la mortificazione, e la sete delle ricchezze con la povertà.

2° Da parte di Gesù Cristo

761. A) Col battesimo veniamo incorporati a Gesù, onde dobbiamo da lui ricevere il movimento e le ispirazioni e quindi conformarci a lui.

Ora l'intera sua vita, come dice l'Imitazione, non fu che un lungo martirio: [Tota vita Christi crux fuit et martyrium] Tutta la vita di Cristo fu croce e martirio".

Non può dunque la nostra essere vita di piaceri e d'onori, ma dev'essere vita mortificata.

Ce lo dice del resto chiaramente il divino nostro Capo: "[Si quis vultpost me venire, abneget semetipsum et tollat crucem suam quotidie et sequatur me] Se uno mi vultpost a venire, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua".

Se vi è chi debba seguir Gesù è certo colui che tende alla perfezione.

Ora come seguire Gesù, che fin dal suo ingresso nel mondo abbracciò la croce, che tutta la vita sospirò patimenti, umiliazioni, che sposò la povertà nel Presepio l'ebbe compagna fin sul Calvario, se si amano i piaceri, gli Onori, le ricchezze, se non si porta quotidianamente la croce, quella che Dio stesso ci scelse e c'inviò?

È una vergogna, dice S. Bernardo, che sotto un capo coronato di spine siamo membri delicati, atterriti ai più piccoli patimenti: "[pudeat sub spinato capite membrum fieri delicatum]vergogna di essere un membro di un delizioso aiutare testa Spirito".

Per conformarci a Gesù Cristo e avvicinarne la perfezione, è dunque necessario che portiamo la croce come lui.

762. B) Se aspiriamo all'apostolato, troviamo in ciò un nuovo motivo per crocifiggere la carne.

Colla croce Gesù salvò il mondo; colla croce quindi lavoreremo con lui alla salute dei fratelli, e il nostro zelo sarà tanto più fecondo quanto più parteciperemo ai patimenti del Salvatore.

Ecco il motivo che animava S. Paolo, quando dava nella sua carne compimento alla passione del Maestro, a fine di ottener grazie per la Chiesa; ecco ciò che resse nel passato e regge ancora al presente tante anime che consentono ad essere vittime perché Dio sia glorificato e le anime salvate.

Il patire è duro, ma quando si contempla Gesù che ci va innanzi portando la croce per la salute nostra e per quella dei nostri fratelli, quando se ne contempla l'agonia, l'ingiusta condanna, la flagellazione, l'incoronazione di spine, la crocifissione, quando s'odono gli schemi, gli insulti, le calunnie che accetta tacendo, come osar lamentarsi?

Non siamo ancora giunti allo spargimento del sangue: "[nondum usque ad sanguinem restitistis] Non ancora resistito fino al sangue".

E se stimiamo secondo il giusto loro valore l'anima nostra e quella dei nostri fratelli, non mette forse conto di tollerare qualche passeggero patimento per una gloria che non finirà mai e per cooperare con Nostro Signore alla salute di quelle anime per cui versò il sangue fino all'ultima goccia?

Questi motivi, per alti che siano, sono ben compresi da certe anime generose, anche fin dal principio della loro conversione; e il proporli serve a farle progredire nell'opera di purificazione e di santificazione.

3° Da parte della nostra santificazione

763. A) Abbiamo bisogno d'assicurarci la perseveranza; e la mortificazione è uno dei mezzi migliori per preservarsi dal peccato.

Ciò che ci fa soccombere alla tentazione è l'amore del piacere o, l'orrore del patire e della lotta, [horror difficultatis, labor certaminis] orrore di difficoltà, la fatica della battaglia.

Ora la mortificazione combatte questa doppia tendenza, che in fondo è una sola; col privarci di alcuni leciti piaceri ci arma la volontà contro i piaceri illeciti e ci rende più facile la vittoria sulla sensualità e sull'amor proprio, "[agendo contra sensualitatem et amorem proprium] agendo in contrasto con la corretta amore e la sensualità", come giustamente dice S. Ignazio.

Se invece cediamo sempre davanti al piacere, prendendoci tutti i leciti diletti, come sapremo poi resistere nel momento in cui la sensualità, avida di nuovi godimenti, pericolosi o anche illeciti, si sente come trascinata dall'abitudine di cedere sempre alle sue esigenze?

Il pendio è così sdrucciolevole che, soprattutto in materia di sensualità, è facile traboccare nell'abisso, trattivi da una specie di vertigine.

E anche quando si tratta della superbia, il pendio è più ripido di quel che si creda: si mentisce in materia leggera per scusarsi, per schivare un'umiliazione; e poi, al sacro tribunale della penitenza, si corre rischio di mancare di sincerità per la vergogna di un'accusa umiliante.

La nostra sicurezza richiede dunque la lotta contro l'amore proprio come contro la sensualità e la cupidigia.

764. B) Ma non, basta schivare il peccato; bisogna, anche progredire nella perfezione.

Ora, qual'è anche qui il grande ostacolo se non l'amore del piacere e l'orrore della croce?

Quanti desidererebbero essere migliori e tendere alla santità se non paventassero lo sforzo necessario a progredire e le prove che Dio manda ai migliori suoi amici!

Bisogna dunque richiamare loro ciò che S. Paolo ripeteva spesso ai primi cristiani, cioè che la vita è una lotta, che dobbiamo arrossire d'esser meno coraggiosi di coloro che lottano per una ricompensa terrena, i quali, per prepararsi alla vittoria, si privano di molti piaceri permessi e assumono rudi e laboriosi esercizi, tutto per una corona peritura, mentre la corona promessa a noi è corona immortale, "[et illi quidem ut corruptibilem coronam accipiant nos autem incorruptam] essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile uno".

Abbiamo paura del patire; ma non pensiamo alle pene terribili del purgatorio ( n. 734 ) che dovremo subire per lunghi anni se vogliamo vivere nell'immortificazione e prenderci tutti i piaceri che ci allettano?

Quanto più prudenti sono i mondani!

Molti si sobbarcano a rudi fatiche e talora a forti umiliazioni per guadagnare un poco di danaro e assicurarsi poi un onorevole riposo; e noi ricuseremmo di sottoporci a qualche mortificazione per assicurarci l'eterno riposo nella città del cielo? È ragionevole questo?

Bisogna dunque persuaderci che non si dà perfezione, non si dà virtù senza la mortificazione.

Come essere casti senza mortificare quella sensualità che ci inclina così fortemente ai pericolosi e cattivi diletti?

Come essere temperanti se non reprimendo la golosità?

Come praticare la povertà e anche la giustizia se non, si combatte la cupidigia?

Come essere umili, dolci e caritatevoli, senza padroneggiare quelle passioni di superbia, di ira, di invidia, di gelosia che sonnecchiano in fondo al cuore umano?

Nello stato di natura decaduta non c'è virtù che possa praticarsi a lungo senza sforzo, senza, lotta, e quindi senza mortificazione.

Si può dunque dire col Tronson che, "come l'immortificazione è l'origine dei vizi e la causa di tutti i nostri mali, così la mortificazione è il fondamento delle virtù e la fonte di tutti i nostri beni.

765. C) Si può anche aggiungere che la mortificazione, non ostante le privazioni e i patimenti che impone, è, anche sulla terra, fonte dei più grandi beni, e che i cristiani mortificati sono poi in complesso più felici dei mondani, che si abbandonano a tutti i piaceri.

Lo insegna Nostro Signore stesso quando dice che chi lascia tutto per seguirlo avrà in ricambio il centuplo anche in questa vita: "[Qui reliquerit domum vel fratres… centuplum accipiet, et vitam aeternam possidebit] Chiunque avrà lasciato case, o fratelli … riceverà il centuplo ed erediterà la vita eterna".

Nè altro linguaggio, tiene S. Paolo quando, dopo aver parlato della modestia, vale a dire della moderazione in tutte le cose, aggiunge che chi la pratica gode di quella pace vera che supera ogni consolazione: "[pax Dei quae exsuperat omnem sensum custodiat corda vestra et intelligentias vestras] la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori ei vostri pensieri".

E non ne è egli stesso un vivo esempio?

Paolo ebbe certamente da patire molto; e a lungo descrive le prove terribili che dovette soffrire nella predicazione del Vangelo e nella lotta contro sé stesso; ma soggiunge che in mezzo alle tribolazioni abbonda e sovrabbonda di gaudio superabundo gaudio in omni tribulatione nostra".

È così di tutti i Santi: dovettero anch'essi subire lunghe e dolorose tribolazioni; ma i martiri, fra le torture, dicevano di non essersi mai trovati a un simile festino, "[nunquam tam jucunde epulati sumus] mai banchetto così abbiamo"; leggendo le vite dei Santi, due cose ci colpiscono: le prove terribili che subirono e le mortificazioni che liberamente s'imposero; e d' altra parte la loro serenità in mezzo a questi patimenti.

Giungono al punto di amare la croce, di non più paventarla, di sospirarla anzi, di considerare perduti i giorni in cui non ebbero nulla da soffrire.

Fenomeno psicologico che fa stupire i mondani ma che consola le anime di buona, volontà.

Non si può certamente pretendere dagl'incipienti quest'amore della Croce; ma si può far loro capire, citando l'esempio dei Santi, che l'amor di Dio e delle anime allevia notevolmente il dolore e la mortificazione, e che, se consentono ad entrare generosamente nella pratica dei piccoli sacrifici che sono alla loro portata, anch'essi giungeranno un giorno ad amare e desiderare la croce e a trovarvi vere consolazioni spirituali.

766. É ciò che nota l'autore dell'Imitazione, in un testo che compendia molto bene i vantaggi della mortificazione: "[In cruce salus, in cruce vita, in cruce protectio ab hostibus, in cruce infusio supernae suavitatis, in cruce robur mentis, in cruce gaudium spiritus, in cruce virtutis summa, in cruce perfectio sanctitatis] Nella croce è la salvezza, nella croce è la vita, nella croce è la protezione dai nemici, nella croce è l'infusione di dolcezza celeste, nella croce è forza d'animo, nella croce è gioia dello spirito, nella somma della potenza della croce, nella croce è perfetta santità".

Infatti l'amore della croce è l'amore di Dio spinto fino all'immolazione; ora, come, abbiamo detto, quest'amore è il compendio di tutte le virtù, l'essenza stessa della perfezione, e quindi il più potente usbergo ( coraza di ferro che copriva il busto ) contro i nemici spirituali, una fonte di forza e di consolazione, il miglior mezzo l'accrescere in noi la vita spirituale e di assicurarci l'eterna salute.

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