La storia della Chiesa

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II. Chiesa o chiese

1. Nella storia del cristianesimo antico abbiamo parlato al singolare della chiesa orientale.

L'espressione si riferiva all'insieme della struttura ecclesiastica dell'Oriente cristiano.

Essa ha per più versi una sua giustificazione.

In primo luogo perché - prescindendo dalle chiese particolari dei nestoriani e dei monofisiti - esiste realmente l'unità dogmatica, liturgica e canonica dei diversi patriarcati, comprese le chiese nazionali rumena, slava e altre, e quindi l'unità della chiesa « ortodossa ».283

Ci fu perfino, anche se in senso molto debole, una suprema autorità ecclesiastica d'Oriente, il patriarca ecumenico di Costantinopoli.

Una lunga catena di tentativi documentano l'aspirazione dei titolari della sede bizantina ad estendere il loro influsso, o anche il loro dominio, su altre chiese o su altri patriarcati, ad avocare a sé il diritto di consacrare, per loro, dei legittimi supremi pastori.

Tali tendenze non erano soltanto espressione del naturale istinto umano di affermazione, la loro forza consisteva nel fatto che esse rappresentavano il tentativo di trasferire la ecclesialmente reale sovranità del Basilèus sulla cristianità del suo impero alla persona del patriarca ecumenico.

Tale sovranità, infatti, l'abbiamo incontrata a partire da Costantino e dal momento in cui la religione cristiana fu proclamata religione di Stato.

Conosciamo il graduale ampliamento della circoscrizione ecclesiastica dipendente da Costantinopoli, in modo speciale dopo Calcedonia, quando il patriarca ecumenico fu investito del diritto di consacrare i vescovi delle diocesi della Tracia, del Ponto e dell'Asia.284

In quel tempo, il patriarca della « seconda » « nuova Roma » divenne praticamente la suprema istanza d'appello della chiesa orientale.

Quando, più tardi, i patriarcati di Gerusalemme, di Antiochia e di Alessandria, praticamente a causa delle conquiste arabe, cercarono spesso protezione a Costantinopoli, il patriarca di Costantinopoli de facto divenne sempre più vescovo « ecumenico » d'Oriente.

Abbiamo già visto ( § 41, II ) come Fozio negasse il primato della vecchia Roma e lo pretendesse invece per la cattedra di Costantinopoli e come estendesse con successo il suo influsso sui Balcani ( Bulgaria ).

L'autonomia ecclesiastica delle diverse chiese ortodosse, come di quelle scismatiche, oppose sì tenace resistenza, ma la tendenza verso la centralizzazione ecclesiastica rimase.

Questa tendenza rivive attraverso i secoli in tentativi caratteristici, ma non scismatici, di grecizzare in un certo senso le chiese ortodosse di lingua slava o araba e i romeni, o perlomeno ( e soprattutto ) di affidarne a pastori greci le sedi episcopali.

Di qui hanno origine le numerose controversie del clero autoctono con gli intrusi candidati greci alle sedi episcopali.

Altrettanto a lungo durò la rivalità fra liturgia slava e greca ( nella chiesa serba, bulgara e romena ).

2. Un aiuto considerevolissimo in questa aspirazione fu prestato al patriarca ecumenico addirittura dal dominio dei turchi.

Questi ( accanto allo sfruttamento finanziario, a sporadiche persecuzioni, ad improvvisi atti di crudeltà ) dimostrarono invero una considerevole tolleranza verso i cristiani.

Rispettarono anche le singole chiese cristiane e la loro gerarchia.

Lo spodestamento del Basilèus e il fatto che il sultano ne prendesse il posto, non comportò l'eliminazione della scissione tra le chiese orientali ( Bratsiotis ).

Ma per i nuovi dominatori era molto più semplice avere a che fare con un unico capo della Chiesa cristiana che fosse responsabile per tutti; e questo non poteva essere che il patriarca di quella che un tempo era stata la capitale dell'impero.

Specialmente allora, sotto la dominazione turca, fu attuata in collaborazione coi conquistatori e col Panar285 la ricordata grecizzazione286 dei Balcani.

3. Si può anche parlare dell'unica chiesa ortodossa, nel senso che ogni chiesa autocefala vede se stessa come immagine spirituale di tutta la Chiesa cattolica della stessa fede.

Alcuni sinodi del XVII secolo ( quello di Jassy nel 1642, di Gerusalemme nel 1672 che, fra l'altro, presero posizione contro il protestantesimo ) e poi i più recenti ( 1923 a Costantinopoli e 1930 sul Monte Athos ) si sforzarono di fissare questa unità religiosa.

Nel 1961, finalmente, rappresentanti di tutte le chiese ortodosse si incontrarono a Rodi su invito del patriarca ecumenico.287

Assunto e aspirazione di questa Conferenza era che le chiese ortodosse si rendessero maggiormente coscienti del loro carattere sovrannazionale.

L'ortodossia si presentò qui come comunità unitaria, sotto la guida spirituale del patriarca di Costantinopoli.288

4. Tutto questo però vale soltanto in senso spirituale; l'unità di cui abbiamo parlato non è affatto da intendersi come un sovraordinamento e subordinamento giurisdizionale.

Giammai in Oriente poté realizzarsi l'unità, in un senso anche solo approssimativamente uguale a quello della chiesa latina.

Le singole chiese patriarcali sono autocefale,289 hanno cioè un proprio capo supremo.

Le chiese orientali hanno tutte carattere locale.

Di conseguenza dobbiamo parlare delle chiese orientali ( al plurale ); pur vivendo in una comunità sacramentale e nell'ambito di un diritto canonico generale, esse sono giuridicamente indipendenti l'una dall'altra.

Questo stato di cose non esclude però degli intensi contatti panortodossi.

A Rodi, tutte le chiese ortodosse, anche la russa, si pronunziarono a favore di una intensificazione di questi collegamenti.

Già in occasione delle celebrazioni commemorative del 1948 e del 1958 a Mosca, la Russia aveva stabilito relazioni con la maggior parte delle chiese ortodosse.

L'odierna divisione viene da tutti lamentata.

Un sintomo dell'aspirazione unitaria è costituito pure da quel principio per cui la giurisdizione su di un paese ancora privo di gerarchia ortodossa è riconosciuta al patriarca di Costantinopoli.

Si sta intensamente lavorando per preparare un concilio ecumenico ortodosso, che dovrebbe occuparsi dei problemi attuali dell'ortodossia, ma anche dei rapporti con le chiese e le confessioni latine e con le chiese « orientali minori ».

Sono in corso colloqui teologici di unione con i monofisiti.

A Costantinopoli esiste una apposita commissione patriarcale panortodossa e un'altra cosiddetta pancristiana ( relazioni con le altre confessioni ), segretario generale delle quali è il noto teologo e metropolita Chrysostomos Konstantinidis.

5. Questa molteplicità e autonomia delle chiese è la vera e propria caratteristica dell'Oriente.

Le sue radici sono molto profonde.

Il suo principio originario consiste nel fatto che parecchie chiese orientali vantano origine apostolica,290 mentre in Occidente esiste una sola sede apostolica, Roma.

In Oriente quella che si affermò fu la molteplicità dell'origine.

Le espressioni costituzionali della Chiesa primitiva mostrano una sorprendente varietà.

Particolarmente ovvie furono, sin dall'inizio, le differenze linguistiche nella liturgia e in genere nell'annuncio del messaggio evangelico.

L'elemento etnico si manifestò nel raggruppamento singolo, sotto un proprio capo supremo.

I confini ecclesiastici e quelli « nazionali » coincidevano.

Il primo esempio in questo senso ce lo offre, già a partire dal I secolo, la chiesa siriaca.

Questa stretta relazione fra Chiesa e « popolo » o ( stirpe ), e quindi Stato, fu determinante per l'intero sviluppo.

Succede così che le variazioni dei confini politici, per es. nelle molteplici e complicate vicende tra Bisanzio e il regno bulgaro e quello serbo, si riflettono tenacemente nella storia della chiesa.

Le continue e sempre nuove definizioni di confini, a causa delle numerose guerre, condizionano al tempo stesso i nuovi confini della chiesa.

Il vincolo e l'impronta politica si mostreranno poi nelle loro estreme conseguenze in Russia: Kiev, e più tardi Mosca, diventano non solo la capitale politica, ma anche ecclesiastica.

Tutto sommato, risulta una frantumazione molto varia e più che multiforme delle chiese e dei riti orientali, assai difficilmente inquadrabile.

Oggigiorno una visione panoramica è resa estremamente difficile, dati i mutamenti e gli spostamenti dei confini, causati dai due conflitti mondiali.

Prima della seconda guerra mondiale ( 1932 ) i cristiani « orientali », cattolici e non cattolici, della Polonia, entrambi i gruppi con 4 milioni di fedeli, erano etnicamente molto differenti.

Parecchie osservanze ortodosse erano rivali fra loro.

Si pensi alla molteplicità di movimenti, di reazioni e di scismi fra i ruteni.

Oltre i russi, oggi sono gli armeni che presentano la dispersione maggiore: vivono in Unione Sovietica, Turchia, Iran, Siria, Libano, Palestina, Egitto, Stati Uniti; in Europa, ad es., i dintorni di Lione costituiscono una grande città armena.

Molto marcata è la frammentarizzazione anche nel complesso di quei paesi ove un tempo il messaggio cristiano era stato fecondissimo, quali sono i paesi del vicino Oriente.

Ora il cristianesimo vi è quasi scomparso.

Quanto vi rimane, si suddivide ancora in una moltitudine di gruppi i cui mèmbri non sono uniti ne socialmente ne culturalmente.

Sul territorio montuoso del Libano, per es., troviamo, l'uno accanto all'altro, il patriarcato dei maroniti di Bkerké, il patriarcato greco-cattolico di Bzoumar, il patriarcato armeno-ortodosso di Antilias, il patriarcato siro-cattolico di Charfé e una nunziatura apostolica, accanto alla gerarchia ortodossa.

A Il Cairo la piccola minoranza cristiana è rappresentata da sette diversi riti cattolici, ciascuno con giurisdizione propria; accanto ad essi, le chiese ortodosse: la copta, la greca, la siriaca e la caldea.

6. Nonostante questa impressionante, radicale frantumazione ecclesiastica, va ripetuto ancora una volta con insistenza, che questa molteplicità fu ed è tuttavia legata da una profonda unità.

Le chiese orientali si sono sempre sentite una Chiesa, e sono una Chiesa.

L'unità deriva dalla Chiesa primitiva, attraverso la chiesa bizantina dell'impero ( con le dovute riserve dogmatiche riguardo alle chiese particolari ), fino alle chiese slave dei Balcani e di Russia e alla chiesa romena.

Va tenuto presente, però, che questa unione fu non di rado attraverso i secoli più che altro esteriore, determinata dalla comune ostilità ( talora molto aspra ) contro Roma e, nell'età moderna, anche contro le comunità protestanti.

Oggigiorno, nonostante la vastissima frantumazione su base nazionale, sia la coscienza dell'unità della chiesa ortodossa sia i tentativi di garantirla in campo teologico ed ecclesiastico sono molto maggiori che non nei secoli passati.

La suaccennata Conferenza panortodossa di Rodi e i lavori teologici che ne risultarono ne costituiscono una valida prova.

7. a) Se si cerca di scoprire alcune costanti nella storia di questa molteplicità, si tocca subito con mano come questo problema si ponga con maggiore difficoltà in Oriente che non in Occidente.

O, diciamo piuttosto, prescindendo dalla comunità della professione di fede, il contrassegno del processo evolutivo sembra proprio essere la mancanza di un elemento unitario continuo e complessivo.

Il decorso storico si svolge in un comune confronto e in una aspra lotta reciproca, sostenuta dalle forze tanto impari greco-bizantine, romene, slave meridionali e slave settentrionali.

Questo sviluppo, a sua volta, è continuamente o ( come in Russia ) per molti secoli pregiudicato da gravi oppressioni esercitate da forze straniere.

Così, in questo enorme quadro la varietà e l'avvicendamento raggiungono un grado tale che sembra impossibile cogliere una costante.

Prendiamo, per es., per avere una prima idea, Bisanzio.

Nonostante la potente e commovente volontà di vita che la storia del patriarcato ecumenico documenta anche attraverso il declino dell'età moderna, la frantumazione è tanto grande, le sorti del rifiorire da una parte e del declino dall'altra, gli sconvolgimenti politici e politico-ecclesiastici e, con essi, i mutamenti e i processi di amalgama etnici, spirituali, ecclesiastici sono così numerosi e profondi; questa varietà di vita ecclesiastica è abbandonata in maniera così radicale al variare della politica di forza, esterna; il contesto degli avvenimenti concreti muta in maniera così rapida che il tentativo di cogliere in concreto i dati della « sfera spirituale » non va oltre una cornice generale.

Nell'alto e nel tardo Medioevo e nell'età moderna la situazione è molto diversa da quanto abbiamo potuto costatare per la storia della chiesa antica.

In essa eravamo alle prese con un unico impero universale e con processi di fondo, relativi alla formulazione dei dogmi, il cui sviluppo seguì una notevole e abbastanza facilmente comprensibile regolarità.

b) Per la nostra esposizione noi scegliamo dunque un'altra strada.

Daremo anzitutto uno sguardo generale alla storia delle singole chiese orientali; poi ci porremo il problema relativo alle caratteristiche comuni, al loro modo particolare di concepire la Chiesa, la redenzione, il monachesimo, il clero.

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283 « Ortodosse » si chiamarono le chiese che seguivano la dottrina calcedonense dell'unica persona umano-divina del Cristo in due nature.
A partire dalla rottura del 1054, la denominazione fu riservata in prevalenza alle chiese orientali che, staccate da Roma, rimasero fedeli a quella fede, vivendo quindi unite ecclesiasticamente alla Bisanzio greca.
A partire dal XIX secolo, il termine « ortodosso » viene usato sempre più dall'Occidente, indiscriminatamente, per tutte le chiese orientali che non siano unite a Roma, anche per quelle scismatiche.
La chiesa ortodossa intende se stessa come l'unità canonica, liturgico-sacramentale e dogmatica dei patriarcati di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, Russia, Geòrgia, Serbia, Romania, Bulgaria, delle chiese di Cipro, di Grecia, di Polonia, di Cecoslovacchia, d'Albania, di Finlandia, dell'arcivescovado del Sinai e della diaspora da essi dipendente in tutti i continenti.
Come chiese « orientali », con le quali essa, a partire dal concilio di Calcedonia non è più in alcuna comunione ecclesiastica, essa considera la chiesa monofisita dei copti, degli etiopi, dei siro-giacobiti, degli armeni e dei malabaresi ( che però a loro volta chiamano se stessi « ortodossi » ) da una parte e dei nestoriani ( Irak, Persia, America ) dall'altra ( vedi la Conferenza pan-ortodossa tenuta a Rodi nel 1961 ).
284 Vedi nota 277.
285 Dopo la conquista di Costantinopoli, il patriarca ecumenico dovette cedere la sua chiesa episcopale, che fu poi trasformata in moschea.
Infine, nel 1720, la nazione greca poté ricostruire nel remoto quartiere del Fanar la chiesa di san Giorgio, questa volta come cattedrale patriarcale.
Accanto ad essa fu eretta la sede ufficiale del patriarca ecumenico e del suo sinodo.
Perciò il Fanar è per l'Oriente ciò che il Vaticano è per l'Occidente.
286 I turchi assunsero il principio, già in uso presso i bizantini, dell'etnarchia.
Secondo questo principio per cui la società è concepita teocraticamente, col suo diritto sacrale, i capi supremi delle religioni non-islamiche erano, per così dire, ministri del culto, dell'interno e della giustizia dei loro fedeli, assieme ai quali erano solidalmente responsabili e si rendevano garanti verso i sultani.
Le tendenze alla grecizzazione vanno perciò intese, in gran parte, alla luce di questi presupposti.
287 Erano rappresentati ( come mèmbri con diritto di voto ) vescovi con sacerdoti e teologi, anche laici, in qualità di consultori.
Non parteciparono le chiese in esilio d'Albania, Finlandia e Russia.
Le chiese monofisite ( copta, etiopica, siriaca, malabarica ) avevano inviato ufficialmente degli osservatori.
288 « Noi crediamo che le chiese-sorelle ortodosse locali, conservando la fede salutare dei nostri padri, rimangano fedeli a quell'unità la cui immagine originaria è rappresentata dall'unità misteriosa e soprannaturale della santissima Trinità una, regnante su un solo trono in Dio … » ( messaggio della Conferenza panortodossa di Rodi ).
289 « Autocefalo » significa più che « indipendente ».
Le chiese autocefale trassero origine dalle città politicamente più importanti, dalle quali esse si diffusero.
Nelle chiese « indipendenti », che crescendo insieme in un ampio territorio si erano riunite attorno a città di esigua importanza, la dipendenza dal supremo capo ecclesiastico della città non era cosi stretta come nelle chiese autocefale.
I vescovi delle chiese autocefale si chiamano, già a partire dal II secolo, esarchi e poi patriarchi.
I primi esarchi furono quelli di Alessandria, Antiochia, Efeso, Cesarea di Cappadocia ed Eraclea in Tracia.
Quando il vescovo di Costantinopoli assunse il titolo di esarca, i tre ultimi menzionati vennero a lui subordinati e perdettero il loro titolo.
Tuttavia finora non è stato ancora stabilito, in maniera vincolante, chi, e a quali condizioni, possa proclamare l'autocefalia.
La chiesa madre accorda l'autocefalia, sanzionata dal concilio ecumenico.
290 L'Oriente, tuttavia, fin dalle sue origini fu culturalmente e politicamente molto più articolato dell'Occidente.
Prima della civiltà ellenistica di carattere unitario, vi fioriva una civiltà con molti elementi originari di antichissima data, i quali, anche più tardi, riaffiorarono sempre in maniera più o meno autonoma ( elementi egiziani, copti, siriaci ).
I bulgari, i serbi e i russi sostennero contese secolari con Bisanzio.