Fratel Teodoreto ( Prof. Giovanni Garberoglio )

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Il paesello natio

Giovanni Garberoglio - in religione Fratel Teodoreto delle Scuole Cristiane - nacque nel cuore del Monferrato, a Vinvhio d'Asti, il 9 febbraio 1871, dal Sig. Bartolomeo, di Vinchio stesso, e dalla Sig.ra Eleonora Giolito di Noche, frazione del medesimo comune.

Se di Vinchio noi sapessimo solo quello che ce ne disse in vita Fratel Teodoreto, ne sapremmo ben poco, anzi non ne sapremmo un bel nulla; poiché, osservantissimo com'era della Regola, mai non parlava, in ossequio alle sagge sue prescrizioni, né di sé, né della sua famiglia, né del suo paese.

Per fortuna io ne so qualcosa di più da oggi, 4 ottobre 1954, poiché andai a passarvi alcune orette, apposta per visitare la casa in cui nacque il nostro Eroe e la chiesa ove pregò, per interrogare i vecchi coetanei sopravvissuti; per ambientarmi, come suol dirsi, e intingere la penna nel color locale...

Il color locale di tali paraggi, a dir vero, è quello delle albe e dei tramonti, e del « redolente mosto »: roba più da poeti che da cronisti, come si vede, e non fatta per il caso mio.

Comunque, fresco di tali impressioni, scrivo queste prime note, a inizio del lavoro biografico che accettai di comporre, spinto dalla profonda venerazione che sempre mi ha ispirato il Fratel Teodoreto.

Alcune ore non sono molte, d'accordo, per una documentazione locale; ma occorre tener presente che Vinchio non è New York; e ha sulla metropoli statunitense il vantaggio di essere sopra d'un colle, così che la si può abbracciare con uno sguardo solo.

Di lassù ( oh, mica da altezze vertiginose, 270 m. circa ) si può ammirare la distesa dei valloncelli, dei declivi, delle creste che ne costituiscono il tipico territorio circostante.

Inoltre ho avuto tempo a imparare che Vinchio deriva forse da victor, perché il borgo - oggi di 1500 anime - in tempi remoti avrebbe debellato i sette castelli viciniori; ma io temo che questa etimologia l'abbia scovata qualche sacrista un po' troppo borioso delle avite glorie paesane, orecchiando al latino del suo parroco.

Non è molto più certa l'etimologia che fa derivare Vinchio da vigesimus, benché sia certo che si trova a 20 ( esattamente, 21 ) chilometri dalla città di Asti, nota ai Romani e più su ancora.

Insomma per farla breve, i fasti etimologici di Vinchio sono molto meno saldi e sicuri e indiscutibili dei suoi fasti enologici.

Purtroppo, anche quanto alla storia, non sono in grado di dire molto ai lettori che fossero avidi di risalire nel passato.

C'è bene in paese un « bricco » che si chiama « dei Sarasìn » ( Saraceni ), con relativo ricordo d'un manipolo di quei audaci che non riuscirono peraltro a passare oltre tale rampa, respinti, si capisce, dal valore dei bravi Vinchiesi.

Ma anche questo non è molto sicuro ...

Per aver precise notizie bisognerebbe andar a consultare gli archivi delle varie Biblioteche del Capoluogo, e nessuno a Vinchio ha avuto mai tempo e testa per quest'impresa, intenti come sono nell'assiduo impegno di piantare, potare e curare le viti, da cui tutto il paese trae succo vitale.

Per sbrigarmela, dirò che a Vinchio né sindaco, né Parroco, né Maestro ne sanno più di così; e i miei lettori, pretenderebbero conoscerne più degli ottimati del luogo?

Via, siamo discreti!

Ai fini di questa biografia, Romani, Saraceni e Longobardi ( senza parlare di Francesi e Spagnoli e Tedeschi che, durante le varie guerre di successione e d'invasione, passeggiarono da quelle parti, magari « alleggerendo ai contadini le fatiche della vendemmia », come quegli altri soldati della guarnigione di Lecco di manzoniana memoria ), non hanno da dirci molto, e non saranno chiamati di certo a deporre nei Processi Diocesani e Apostolici sul nostro Servo di Dio.

Dirò invece ciò che ho visto con i miei occhi e udito con le mie orecchie, in quel rapido passaggio, il giorno di San Francesco.

Per andare a una buona fonte d'informazioni, a una guida sicura nelle ricerche, che cosa avrei potuto far di meglio che recarmi difilato dal parroco, così pieno di cordialità e di simpatia per i Fratelli?

Bisognò salire fino alla cima del paese, perché la parrocchia e la canonica dominano tutte le altre case, fronteggiate dalla Scuola recentemente costruita con l'aiuto del Governo, un edificio che sarebbe degno di una città e quasi direi della Capitale.

Lo trovai nel pieno esercizio delle sue funzioni; in una funzione anzi che mi parve d'ottimo augurio per iniziare lo studio intorno a un Fratello delle Scuole Cristiane: l'inaugurazione religiosa dell'anno scolastico per i bambini delle Elementari, le uniche scuole del paese.

Il Viceparroco, giovane sacerdote alle sue prime armi, ma per compostezza, dignità, gravità, un vero presbitero ( e qui mi riferisco proprio alla sicura etimologia del vocabolo ) celebrava la S. Messa, mentre il Parroco ne faceva un commento assai adatto.

al Vangelo, per esempio, tenendo un'opportuna esortazione ai bambini, sui loro doveri di scolari, non mancò di raccomandare, secondo il concetto validissimo dell'integrità nell'educazione, anche lo studio delle scienze profane, fino a Napoleone compreso, affinché non l'avessero a scambiare, che so io, ad esempio con Vercingetorice, vissuto molto prima.

Naturalmente disse di « studiare anche con più amore N. S. Gesù Cristo che vale, senza timor d'esagerare, cento e mille e un milione di volte, più di Napoleone! ».

Non che Epistola e Vangelo parlassero direttamente di queste cose, intendiamoci!

Ma si capisce che il parroco, con molta assennatezza, ne tradusse i concetti in linguaggio novecento, per mettersi alla portata dei suoi piccoli uditori.

I quali seguivano attenti e persuasi, ben composti nei banchi ch'essi riempivano completamente, con le loro ottime maestre, ognuna dietro la propria classe.

Che bravi bambini!

Ascoltavano, poi pregavano al alta voce guidati dal Parroco - il Rev. Don Ugo Brondolo - e poi cantavano, tenuti in tono dalla sua tonda voce baritonale, su cui facevano un vero ricamo di strilli le note argentine dei bimbi in coro.

E figuratevi quali erano le parole ch'essi fiorivano di gorgheggi!

Nientemeno che le seguenti, dal ritmo piuttosto zoppicante:

Oh che giorno beato
il ciel ci ha dato!
Viva Gesù,
viva Gesù!
Giorno di paradiso
tutto un sorriso;
viva Gesù,
viva Gesù

Benché, per la verità storica, invece del « sorriso », proprio quel mattino per la prima volta le nebbie ottobrine velassero tutto, sì che il sole penò parecchio ad averne ragione, a quelle straordinarie parole perfino il quadro di S. Giovanni Battista de La Salle nell'austera figurazione del Gagliardi, lì di fianco all'altare a sinistra, parve sorridere benedicente.

E più ancora, quando, nel lasciare la chiesa a funzione finita, i bimbi proclamarono convinti, con ritmo e rima peggio che sopra, ma con pensiero tanto suggestivo:

Gesù, io parto;
ma nel mio partire,
ti lascio il mio cuor
da custodire!...

Con ragazzi siffatti - che proclamano beato il giorno in cui si riaprono le scuole! - S. Francesco Protettore d'Italia ha ben poco da proteggere!

E non è da stupire che di tra quelle file di piccoli Vinchiesi siano saltati fuori uomini eminenti che hanno riempito di sé i fasti lasalliani, per limitarci a questi soli.

Essi furono principalmente: i due Chiorra, Fr. Candido, divenuto Assistente Generale, pur continuando ad essere un educatore di razza e un fervido catechista, quello anzi che diede il « via » a tutto il movimento catechistico lasalliano in Italia;

e Fr. Augusto, rimasto famoso per la sua semplicità, la pietà, lo zelo, il talento drammatico che, unito a una distrazione o astrazione talvolta fenomenale, fece di lui quasi un personaggio di leggenda;

Fratello Biagio, uno dei pionieri del movimento cattolico giovanile in Italia, carissimo a s. Pio X, che scherzava con lui familiarmente e pensava anche a rifargli il guardaroba, quando questo gli pareva anche sguarnito o sgualcito;

Fratel Luigi, vice direttore del Collegio S. Giuseppe di Torino, vivente, e da non ricordare quindi ancora in termini di necrologio; ma sarà lecito ripetere quel che la pubblica voce dice di lui come professore: « Chi non impara la matematica con il Fr. Luigi non la imparerà mai con nessun altro! »;

Fratel Bonaventura ( bel nome francescano e ben scelto ), l'uomo di tutte le corse e di tutte le pratiche e i servizi, nipote del Fratello Teodoreto;

e finalmente quest'ultimo nominativo, che nei cieli ufficiali della santità pare chiamato a rifulgere più di tutti gli altri!

Perché precisamente, vedendo quegli scolaretti, io pensavo che sett'anni addietro, uno del numero era Giovannino Garberoglio!...

E veniva proprio in questa chiesa, rimasta dal più al meno com'era allora, a tre navate, romanica di linee, con ornamentazione rinascimentale e la facciata barocca ( quale chiesa, prepositorale o meno, il Seicento non ha imbarocchito... ?).

Forse non era la stessa d'oggi l'icona dell'abside, che sembra di fattura moderna, rappresentante l'evangelista S. Marco cui è dedicata la Chiesa, mentre patrono del paese è san Vincenzo Martire.

Un'altra variante dai tempi di Giovannino è il posto del Battistero, ch'era a sinistra subito entrando, mentre ora è a destra; oggi con una statua di Gesù battezzato da s. Giovanni, ma allora spoglio del tutto!

e più spoglio ancora mi sembrò, nel ricordo e per contrasto, la sera dello stesso giorno in cui una missione catechistica ebbe a portarmi di fronte al meraviglioso Battistero del Duomo di Pisa!...

Ma poco importa se a Vinchio non c'è quell'ampiezza, né vi sono quei marmi, né vi si ode quell'eco multipla: lì il nostro Eroe si era fatto cristiano; ed ogni volta che capitava a Vinchio, la sua prima visita era per Gesù nel tabernacolo, e la seconda per l'umile Battistero dalle cui acque era venuta a Lui la zampillante vita soprannaturale della Grazia.

Ma è ora che ce ne ansiamo dalla composta chiesetta verso la casa ove Giovannino diede il primo vagito ( a meno che sia venuto al mondo sorridendo come sorrise poi sempre in vita... particolare circa il quale mancano purtroppo, oggi, i testi oculari! ).

C'è da  attraversare tutto il paese per giungervi, ché, per l'appunto, la casa è situata un po' fuori, in una frazione detta di S. Sebastiano, da una vicina cappella dedicata a questo martire santo.

Si tratta d'una casa contadina, senza pretese, ma solida e grande, con stalle, cantine, porticati, ecc.

Tutto è conservato come sett'anni addietro, quando Giovannino vi russava felice nella sua innocenza.

Il fienile è colmo e profumato, e configurato come allora, con il buco che dà sulla stalla sottostante per la discesa del fieno.

Quel buco, di cui volemmo constatare la realtà, per la ricostruzione d'un ameno casetto, che eccovelo qui, autentico e grazioso.

A casa Garberoglio c'era una discreta agiatezza alla quale corrispondeva una grande carità: un pane, una minestra, un pagliericcio non era rifiutato a nessun povero che vi passasse.

Se si trattava di sconosciuti, per non tenerseli in casa - non si sa mai, con tante brutte storie che si sentono raccontare! - il posto per la notte era il fienile.

Così fu fatto anche quella sera d'estate, con un calderaio ambulante che ci passava la prima volta.

Ma poco dopo Giovanni si ricordò di non averlo avvertito di quel famoso buco.. « Corro, Tamlìm, corri ad avvertirlo », disse al nipote!

Il quale vi corse e gridò forte: « Magnino, stai attendo al buco! »...

Al quale avvertimento, rispose dal basso una voce: « L'ho già trovato! ».

E anche provato, avrebbe potuto aggiungere, perché l'aveva infilato dritto dritto, senza farsi male, per fortuna, avendo il fieno attutito il colpo!

Da questa casa, ben situata in cima a un bricco, si domina tanta parte del paese e dei campi circostanti.

Proprio di fronte si spiega a ventaglio il paese di Mombercelli, più grande, insignito nientemeno della Pretura.

Avvallando direttamente e risalendo sull'opposto colle, i Garberoglio vi giungevano in pochi minuti al mercato d'ogni lunedì, invece di percorrere tutta la strada carrozzabile a mezza costa, che fa un giro largo e prende tanto tempo.

Ho contemplato anch'io di lassù tutti quegli ondulamenti di terreno che, ancora un po' avvolti di foschia mattutina, favorivano l'immagine cara ai poeti di una immensa cavalcata d'indomite giumente!

A far tacere la fantasia e ad aprire gli occhi, lo spettacolo non era men bello: si discernevano i filari nereggianti delle uva non ancora vendemmiate, per il ritardo della stagione.

Spettacolo monotono e vario al tempo stesso!

Tutti quei grappoli neri sul fondo chiaro della terra calcarea - in quell'inizio dell'anno scolastico e del mio lavoro biografico -  mi sembravano grandi pagine, con tanto nero sul bianco; pagine stese ad asciugare al sole del buon Dio.

E neppur potevo fare a meno di pensare che anche S. Giovanni B. de La Salle era nato in terra di viti, nel centro di quella Sciampagna famosa in tutto il mondo per i suoi vini spiritosi, per le sue cantine interminabili e intersecantesi come le catacombe romane.

Lo « champagne » e la « barbera », due marche che difendono bene i propri specifici titoli nobiliari sopra i mercati di tutto il mondo!...

Qui nacque e visse i suoi tra primilustri l'Eroe della nostra storia, in questa veramente bella cornice.

E, come cornice, mi pare possa bastare.

Immagino anzi che qualcuno fra i miei lettori si stia impazientendo in attesa del quadro.

Credo convenga affrettarsi a contentarlo.

Nell'attesa, spero terrà per buona l'idea di presentare il Protagonista  di questa storia quale figurò nell'ultima visita - o in quella ch'eli ritenne dover essere l'ultima - al suo paese natio di cui ebbe sempre un sì caro ricordo.

Vole a compagno, oltre il Fr. Annibale, Segretario dell'allora Visitatore Fr. Amedeo di v. m., il Catechista congregato Rag. Cesone, che annotò diligentemente ogni cosa, e al quale quindi passò la penna.

In mancanza di chi ci possa con vivezza profetare il « Giovannino di Vinchio » all'alba dei suoi giorni, ci consoliamo d'aver una descrizione quasi fotografica di Lui al tramonto della sua vita, nella cornice stessa in cuci trascorse la prima giovinezza,.

Gli estremi si toccano.

"14-17 agosto 1942. Gita a Vinchio d'Asti col Fratel Teodoreto.

Mi disse prima di partire: "Io ti presento e, siccome non tornerò più a Vinchio, tu vi sarai già conosciuto".

"Ho seguito quindi passo a passo il suo affettuoso ritorno al paese natìo ed ho notato che, se da una parte Egli manifestava la gioia di rivedere persone e luoghi cari, dall'altra mi fu esempio di perfetto distacco.

Salutando tutti i compaesani e parenti nel dialetto del luogo, non si lasciò sfuggire occasione per incoraggiare al bene e alla virtù.

"Dopo la S. Messa mi portò sul punto più alto del Castello, mi fece ammirare il magnifico panorama, indicandomi i nomi delle frazioni, e facendomi notare le tre diramazioni del paese.

Mi usò poi particolari riguardi perché non scivolassi nella discesa.

"Più tardi mi accompagnò alla sua casa paterna, dove trovammo il cognato Angelo e la nipote Teresa.

Il suo sguardo abbracciò, prima d'entrare, tutta la casa e disse: "Questa è proprio la casa dei vecchi.

Il nonno era chiamato "Carlùn", perché era grande e grosso.

Io ero chiamato "Giuvanìn del Carlùn" ".

"Entrato in casa e abbracciati affettuosamente i parenti, si sedette e guardò con manifesta gioia quelle pareti, quei mobili dicendo: "È ancora tutto tale e quale... Allora però mi pareva tutto grande... adesso invece lo trovo piccolo".

"Parlando poi al cognato Angelo di oltre 80 anni, gli raccomandò di far chiamare il prete appena si fosse sentito male, "perché - disse - ad una certa età bisogna essere pronti.

Virginia ti aspetta, ti viene incontro".

"Consumata modestamente un po' d'uva, uscì da quella sua casa senza dare sguardi indiscreti, come un forestiere con contegno umilissimo.

Sempre sorridente e disinvolto nei suoi atti di virtù.

"Viene invitato a pranzo dalla nipote.

A tutta prima si schermisce; ma, dopo che Fr. Annibale gli fa notare che quella dopo tutto è la casa paterna, accetta.

Durante l'intera sua permanenza a Vinchio si mantenne cordiale con tutti, senza impegnarsi in visite particolari.

Parlò anche con quattro o cinque compagni di leva.

"A tavola dal sig. Prevosto accetta con deferenza quanto gli si presenta e partecipa con moderata cortesia a tutti i discorsi.

Il Prevosto gli chiede schiarimenti sull'origine dell'Unione ed Egli riferisce con esattezza, ma sempre parlando in terza persona.

"L'ultimo giorno della nostra permanenza, mi conduce al cimitero, dove sono sepolti i suoi Cari.

La tomba dei Genitori, che era vicino all'antica cappella mortuaria, non esiste più.

Si prega ad ogni tomba e infine chiede al Vice Parroco, D. Ugo Brondolo, che ci accompagna, di recitare una preghiera per tutti.

Dopo si volta ancora un istante, visibilmente commosso, a pregare; poi usciamo dal Camposanto.

"L'ultimo mattino si va alla Messa nella cappella di San Sebastiano, nella quale Fratel Teodoreto dichiara che non era più entrato da quando era ragazzo... ".

Per conclude questo primo capitolo, dirò solo più: se è vero che

la terra dolce, delicata e molle
simili a sé gli abitator produce,

è vero altresì il contrario; cioè: la terra aspra, per durezza di suolo e di clima, dà una tempra ai suoi abitanti, che avremo più d'una occasione di ammirare nel nostro esemplare Vinchiese, il quale tanto attinse dalla piccola patria dei suoi natali.

Sono poi certo che nessun Fratello del Piemonte protesterà se, prima di lasciare questa fertile e fervida terra Monferrina, la saluto come terra lasalliana per accoglienza della provincia torinese.

Meriterebbe anzi di essere salutata e cantata in rime spumeggianti come i suoi mosti generosi, per il dono cospicuo che ci ha fatto di tanti e tanti valorosi « Fratelli ».

Monferrato generoso e fedele!

Ci sentiremo in debito verso di te, fin quando, per mezzo di una grande opera che benefichi i figli delle tue terre, non avremo sciolto un voto di riconoscenza che è nel cuore di tutti!

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