Fratel Teodoreto ( Prof. Giovanni Garberoglio )

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Giovannin si fe' Giovanni

E cioè crebbe in età, come tutti i bambini di questo mondo; ma, come non tutti, crebbe pure « in sapienza e in grazia », a imitazione del bambino Gesù.

Diciamo così per dire il più in una parola; ma ora verremo ai particolari, in modo da farcene ben persuasi.

Precisamente, uno degli scopi della mia visita a Vinchio, era anche quello di parlare con i pochi coetanei di Fratel Teodoreto ancora viventi.

Il primo ch'ebbi la ventura di trovare fu il sig. Pavese Michele, papà di Don Francesco P., che tutti gli ex-allievi salesiani del Piemonte conoscono bene.

Lo trovai mentre segava legna, in .. cordata con un figliuolo; e, all'età di 87 anni, non c'è male davvero!

Si lamentava che la memoria non funzionasse bene come i muscoli del braccio, se no quante cose ci avrebbe saputo dire!

Ora aveva solo più ricordi generici, ch'egli espresse però con frasi tipiche, meritevoli di venir tramandate:

- « era diverso dagli altri... »

- « era sempre in chiesa... »

- « aiutava tutti ... »

- « se li tirava intorno per portarli al bene ... »

- « ha finito santo sicuramente, perché era già santo allora ... »

Pochi passi più sotto, eccoci in un'altra aia tipica - ah, belli questi paesi che hanno saputo rimanere paesi e non scimmiottare malamente le città! - dove vive il sig. Giuseppe Giolito.

Qui gli anni sono 88; la vista se né andata, e anche un po' l'udito; però, per parlargli, bisognò aspettare che lo andassero a cercare giù nella vigna, dove aveva trovato qualcosa da fare.

A stuzzicarlo con domande, rispondeva vivacemente.

Se Giovanni, da ragazzo, faceva delle cattiverie?...

Neppure per sogno!

Faceva sì delle « commedie » ( cioè delle ragazzate, degli scherzi ), « ma di queste ne fate anche voi », aggiunse con gran sicurezza.

Questi « voi » erano precisamente « noi », e cioè: il Rev. Signor Parroco, un Presidente Generale, un Postulatore Generale, il Direttore di Rivista Lasalliana, e il venerando Fratel Bonaventura: e ci parve di ringiovanire al complimento... che ci dichiarava autentici bontemponi!

Però aggiunse subito che « novità » non ne faceva ( le « novità » sarebbero leggerezze, galanterie o roba del genere ).

Se serviva la Messa? - Rispose con un'interiezione poco ..  parlamentare, che però sembrava significasse: non faceva altro!

E poi: - « tutti bravi a casa sua, ma lui era il migliore .. »

- « guai a parlar male con lui ... »

- « in paese lo "quotavamo" molto ... »

- « quando andò frate, tutti dicevano: "Quello riesce sicuro!! » ...

E ci è proprio riuscito, come pochi altri in egual misura!

Restava da sentire il sig. Porto Pietro, anche lui di 88 anni, e che era stato 20 anni sindaco: un uomo qualificato, quindi!

e poi scrupoloso a non voler dire un ette più di quanto esattamente ricordava: né più né meno che se l'avesse giurato sul Vangelo.

Anche lui cominciò con l'asserire che

- « era un "personale" dei più bravi ... »

- « suo fratello - l'amico personalissimo del futuro sindaco - era già bravo, ma lui ..  era un'altra cosa ... »

- « era "un santo figlio" proprio dei più bravi del paese ... ».

E se lo dice il Sindaco, ch'è li per ..  sindacare ogni cosa, ci possiamo ben credere!

a riassumere in breve, dai tre vegliardi non si sono cavate notizie particolari; ma ne venne fuori l'impressione di una specie di « fama di santità » in anticipo, già fin da quando Fratel Teodoreto era ancora Giovannino Garberoglio.

Ed è notizia preziosa a persuaderci ch'egli camminò sempre sulla stessa via e nella identica direzione ...

Per questo appunto giunse così lontano!

Chi meglio ricorda i fasti di quegli anni lontani è Fratel Bonaventura, suo nipote, allora nominato Bartolomeo Vercelli, di pochi anni minore dello zio.

Il nome Bartolomeo ..  era vezzeggiato di solito tra i famigliari in « Tamlìn », e così lo chiameremo abitualmente anche noi, per amore del ..  color locale.

La gran parte delle notizie di questo capitolo le teniamo appunto da lui, testimonio oculare, anzi familiare per parecchi anni dell'adolescenza, da quando egli aveva 7 anni d'età e Giovanni ne contava 11.

Da lui sappiamo che la famiglia era esemplarmente cristiana.

Il Papà fu per molti anni Consigliere Comunale e rifiutò ripetutamente la offertagli carica di Sindaco, perché temeva di non potervi attendere convenientemente, preso dalla condotta dei suoi poderi e della numerosa famiglia.

Ogni sera la mamma presiedeva la recita in comune del S. Rosario, seguita da speciali preghiere ai santi Protettori.

Dalla casa alla Parrocchia c'+ un quarto d'ora di cammino; un quarto d'ora per noi, gente ormai posata.

I ragazzi lo facevano ruzzolando e guadagnando certo qualche minuti, ma era sempre un bel tratto!

Pure, piccoli e grandi, andavano ogni giorno alla Messa, che Giovanni serviva il più spesso possibile; e fra tutti non perdevano mai una funzione, una predica, una novena!

Merito anche d'un santo parroco, Don Filippo Aymerì, sulla cui tomba è stato scritto meritatamente ch'era « gemma del clero ».

Giovannino, come tutti i ragazzi del paese, appartenne alla Confraternita dei « Sacramentini »; ma vi appartenne con convinta devozione.

Ne portava con piacere e con singolare compostezza l'uniforme vistosa e persino un po' chiassosa, che la Confraternita stessa procurava ai suoi membri: pellegrina rossa su veste bianca, che recava stampigliata una raggera.

Così vestiti, e luminosi anch'essi come raggi di sole, uscivano in corteo eucaristico sul sagrato, ogni terza domenica del mese: Giovannino non sarebbe mancato per tutto l'oro del mondo, così come da Fratello e fino agli ultimi anni, non mancava di prendere parte alle processioni a cui la presenza dei religiosi potesse conferire imponenza, decoro, devozione.

Fu « Sacramentino » fino ai 12-13 anni ( nessuno in paese osò prendersi la responsabilità di precisare meglio di così ).

E poi passò, benché ancor giovane, alla Confraternita della SS. Trinità ( i così detti « Battuti » ), invitatovi dal Priore, ch'era a quei tempi il sig. Chiorra, padre del Fratello Candido.

Anche qui, Giovannino, divenuto ormai Giovanni, fu assiduo alla recita del piccolo Ufficio della SS. Vergine, che precedeva i Vespri della Parrocchia, ogni domenica e festa.

L'Ufficio era salmodiato nella loro cappella, divenuta poi, con ardita evoluzione, il cinema parrocchiale, che purtroppo fallì, come ci confidava il Parroco; e vogliamo sperare non sia stato per vendetta degli spiriti dei vecchi « Battuti », inorriditi dall'aldilà per l'audacia di simili innovazioni.

Il certo si è che Giovanni era assiduo al coro come un canonichetto, lieto oltre ogni dire il giorno che i suoi genitori gli comprarono il libro per l'Ufficio.

Aveva pochi anni più di lui un altro Giovanni, vissuto due secoli prima, chierico appena, e già canonico nella famosa cattedrale di Reims, ..  quel Giovanni B. de La Salle, che avrebbe attirato nella propria orbita celeste il nostro piccolo « Battuto » quattordicenne!...

Vien naturale l'accostarli, con tutti i riguardi e salve tutte le proporzioni, ben inteso.

In casa Garberoglio astinenze e digiuni erano osservati esemplarmente; e anche Giovanni, benché al digiuno sapesse di non essere ancora obbligato, fino a mezzogiorno non si bagnava l'ugola neppure con una goccia d'acqua!

Chi pensi all'appetito di quell'età, con l'aria pura dei colli e l'aperitivo del ...  moto perpetuo, concluderà che c'era qualcosina di quasi eroico in questa privazione!...

Aveva una particolarissima devozione alla Madonna.

Oltre la recita veramente pia, da parte sua, del Rosario serale in famiglia, ne aveva facile e frequente sul labbro l'invocazione e la lode, e ne cantava volentieri le canzoncine.

Fece anche qualcosa di più originale: amante della musica, e non potendo per la giovane età entrare a far parte della banda paesana, prese lezioni di chitarra dal maestro Giolito, e presto fu in grado di poter accompagnare con i suoi pizzicati armoniosi le canzoncine popolari in onore della Madonna.

Il piccolo trovatore sappiamo con sicurezza che le sue serate e albate le serbò in modo esclusivo per la Vergine celeste, che già gli aveva rapito il cuore liliale.

Dicono tutti che dal suo labbro non uscì mai la menoma parola sconveniente, e che i vicini di casa lo consideravano come un piccolo S. Luigi; bei frutti maturati dal suo fervido amore alla Madonna!

Come molti altri devoti, anche Giovanni amava pellegrinare ai suoi altari.

Più volte, per Tamlìn, organizzò pellegrinaggi al vicino Santuario, « la Madonna di Costigliole ».

Se ne parlava parecchio tempo prima.

Ottenuto il consenso, mamma Eleonora preparava per colazione e pranzo un coniglio arrostito e una bella torta.

( Chiedete se ci metteva anche una bottiglia? .. Vi pare che siano domande da fare, in un paese dove c'è più vino che acqua? ).

Si partiva di buon mattino, per arrivare presto e fare la S. Comunione.Udita anche più d'una messa, i due fanciulli andavano in cerca d'un cantuccio di prato fiorito e tranquillo, e non c'era proprio bisogno d'augurar loro buon appetito!...

Facevano un po' di capriole « riverbero dell'armonia cosmica  » - come diceva, citando Bruno Cicognani, il compianto arcivescovo Mantalberti - e tornavano a casa balzellonando e barzellettando; ma anche fra canti devoti e preghiere alla Vergine SS.

Subito dopo cena, con tanti chilometri nelle gambe, cascavano dal sonno; dormivano come ceppi fino al tardo mattino e si risvegliavano ancor felici dei vicini ricordi.

Non si è mai finito di dire l'amore di Giovanni per la sua Mamma celeste.

Un'altra manifestazione, meno frequente in un ragazzo che non in una fanciulla, era il portarle fiori a maggio e nelle sue novene: fiori, intendiamoci, curati da lui stesso in un giardinetto vicino a casa, che si poteva chiamare il « giardinetto della Madonna ».

Se il Fratel Bonaventura « smerigliasse » bene la sua memoria - come si « smerigliano » le candele d'un motore un po' invecchiato - chissà quante altre scintille dei bei ricordi ci saprebbe far scoccare intorno al caro zio Giovanni adolescente!

Ma qui mi pare di sorprendere l'aria un po' incredula di qualche mio lettore più giovane, che sembra chiedersi se nelle vene del nostro Eroe scorreva acquasanta invece di sangue o se gli avevan fatte delle iniezioni ... che so io, di cemento armato, per esempi, come oggi si usa con strutture malsalde ... tanto questo impeccabile Giovanni pare rigido, diritto, imperturbabile.

Intendiamoci: « diritto di coscienza » lo era di certo; « imperturbabile » nel senso d'essere padrone di sé, di non « arrabbiarsi », di trattare con rispetto e comprensione tutti, comprese le persone di servizio, i giornalieri, ecc., anche; « rigido » di fronte ad ogni subdola infiltrazione di male, si capisce.

Ma non aveva rigide davvero le gambe, il collo e la spina dorsale!

Bastava vedere come s'arrampicava sugli alberi in cerca di nidi...

Andava con la cesta a farne incetta, come si trattasse di funghi: mica per sterminarli, veh!

Ché, anzi, aveva una francescana predilezione per gli uccelli.

Conosceva gl'istinti e le abitudini di tutti quelli della località.

Particolare simpatia mostrava alle rondinelle, lieto che avessero nidificato in tante sotto la gronda di casa!

Allevava con cura i merli e aveva riservata una camera per le tortorelle.

Un certo giorno, che nei componimenti delle elementari sarebbe senz'altro qualificato «un brutto giorno », Flock - non è sicuro il nome del cane e neppure l'ortografia - riuscì a entrare in quella camera e fece strage delle piumate bestiole.

Gliene rincrebbe proprio a Giovanni, ma già da allora prese la cosa come dalle mani di Dio, e non sfogò sul quadrupede la stizza che dentro sentiva ribollire!

L'amore per gli uccelli gli rimase l'intera vita.

Un Fratello, noto per la sua passione venatoria, ricordava come nell'estate del 1938 a Pessinetto il Fr. Teodoreto lo avesse pregato di non uccidere né catturare uccelli, almeno all'epoca dei nidi...

Ma torniamo a Giovannino in metamorfosi per diventar Giovanni.

Nella sua adolescenza c'è anche la storia d'un certo ciliegio che per poco non storpiò il nostro appassionato cercatore d'uccelli!

Stava fra i suoi rami, a mezza altezza, intento a imbeccare con ciliegette i piccoli d'un nido, quando la pianta cedette - bisogna dire che in vetta c'era anche Tamlìn, a raddoppiare il peso - e scodellò i due merli al suolo!

Per poco Giovanni non venne infilzato da un palo di sostegno delle viti!...

Non osava riderne a riso pieno neppure molti anni dopo, raccontando il caso, tanto era stato lo spavento; e continuava a ringraziare il suo buon Angelo Custode che l'aveva così ben protetto!

A chi mi chiedesse maliziosamente se le ciliege Giovanni le dava tutte agli uccelli, risponderei che nulla dicono le cronache vinchiesi su tal particolare.

Ma conoscendo il nostro adolescente, per nulla giansenista di istinti e con l'animo naturalmente volto in su, immagino che realizzasse in pieno il quadro del fiammingo sacerdote-poeta Gezelle, che - proprio nella poesia intitolata « Ciliege » - dopo aver invitato il bimbo a raccoglierne un mazzettino ardente, « greve della benedizione del Signore », lo ammoniva così:

Prendi e ringrazia Lui
che le ha create
che le ha cresciute:
ringrazialo, ringrazialo,
- ringrazialo!

Per concludere poi, con umanissima sensibilità:

Oh godi! è così dolce, così dolce
godere un frutto che
è maturo
e gioia e gratitudine
sentirsi venir su dal cuore!

Tale sarà, anche nei giorni più tardi, l'atteggiamento di Fratel Teodoreto, dinanzi alle cose belle e buone che Dio ha fatto per la letizia dell'uomo.

Una volta tentò uno scherzo al caro Tamlìn...

e gli riuscì fin troppo bene!

Quegli era andato a portare il pranzo agli uomini che lavoravano nei campi.

Giovanni, rimasto in casa, gli fece trovare la porta sbarrata, e provocò strani rumori dietro alle gelosie anch'esse chiuse.

Il nipote si spaventò, pensando ai ladri, e si mise a gridare aiuto!...

In aiuto corse tosto lo Zio, che, visto lo spavento non finto, ebbe rimorso e chiese perdono nientemeno che in ginocchio!

Ma ora « Tamlìn » ci deve confidare un ricordo che ha qualcosa ci commovente, anche a distanza di settanta e più anni.

E questo lo ripetiamo proprio con le precise parole di lui, come le ha trascritte il suo fedele segretario per questi appunti.

Fratello Arcangelo: "Giovanni ebbe modo di esplicare proprio con me la funzione di catechista, che fu la passione di tutta la sua vita.

Da molto tempo osservavo come egli tornasse raggiante dopo la santa Comunione che era solito fare ogni domenica - nessuno avrebbe osato farla più spesso a quei tempi, e soprattutto in Piemonte - e come il contatto con il Signore lo sublimasse ne' suoi pensieri.

Avendogli manifestato il desiderio di ricevere anch'io la santa Comunione, cominciò a farmi studiare il catechismo, spiegandomi ciò che non capivo, preoccupato di portarmi al grande atto istruito e compreso della sua importanza.

Quando il Parroco ebbe stabilito la data, egli intensificò le cure, disponendomi con più grande fervore al solenne avvenimento.

Con me contava i giorni e le ore che ci separavano dall'atteso momento e, venuto il giorno, fu tutto felice di presentare a Gesù il suo primo "catecumeno"...".

Pensiamo che aveva ancora da nascere l'Azione Cattolica: che l'apostolato di conquista fra i compagni non era organizzato affatto... e ci sentiremo ammirati dinanzi a un esempio di zelo così illuminato e costante, che sembra attestare l'ammaestramento diretto dello Spirito Santo!

È ovvio che, con una fanciullezza ed adolescenza così virtuose, il ricordo di quei primi anni sia sempre riuscito caro al nostro Fratel Teodoreto.

Ne troviamo l'espressione in una sua breve lettera di risposta proprio al nipote, scritta il 30 dicembre 1930:

"Carissimo Fratel Bonaventura,

La ringrazio di cuore del suo gradito biglietto di augurio col quale ricordò la S. Messa di Natale che ci rallegrava tanto quando eravamo bambini!

Ora siamo vicini al termine della nostra vita e quei ricordi lontani ci richiamano alla mente i nostri Cari che già tutti, come speriamo, sono in Paradiso ove ci aspettano per celebrare con noi la festa del S. Natale.

Preghiamo, caro Fr. Bonaventura, reciprocamente e non dimentichiamo il nostro ultimo fine".

Ma è ora che lasciamo Vinchio - come si dispone a lasciarlo, lo vedremo tosto, il caro Giovanni - per seguirlo sul nuovo cammino tracciatogli dal Signore.

Però, prima di ridiscendere al piano, voglio trascrivere un pensiero dettoci dal Parroco stesso, quasi a corona di tutto ciò che precede.

Egli non lo conobbe né fanciullo, né adolescente, né giovane.

Il primo incontro ch'ebbe con Fratel Teodoreto già maturo, fu come Vice-Parroco di Vinchio.

Si espresse testualmente così: « Tornavo dagli Esercizi Spirituali; ma vedere Lui in quel suo naturale atteggiamento di raggiante modestia, mi fece meglio di tutte le prediche ascoltate ! ».

È inutile star a discutere: era il 4 ottobre, e S. Francesco dimostrava ancora una volta di aver ragione per sempre nell'insegnamento lasciatoci con il famoso fioretto della « predica muta ».

In questo tipo di predicazione riuscirà eloquentissimo per l'intera vita il nostro Eroe, che non salì mai su altro pulpito.

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