L'azione

Indice

L'azione del corpo e la psicologia dell'organismo

Capitolo II

Quando la vita organica, concentrandosi nel fuoco della coscienza riflessa, vi ha rappresentato i bisogni e i desideri della nostra natura universale, e quando, una volta presa la decisione alla luce liberatrice della ragione, si è pronunciato il fiat, potrebbe sembrare che sia stato detto tutto, e che il potere superiore della riflessione abbia automaticamente un dominio immediato sull'esecuzione materiale dell'atto.

Ma abbiamo dovuto riconoscere che la causalità ideale non diventa di primo acchito causalità effettiva.

E dopo aver visto come la decisione risulta affrancata e diventa padrona di tutto il determinismo antecedente, ci siamo imbattuti in nuovi ostacoli, meno evidenti, anche se più reali di tutti gli altri.

Gli avversari della libertà, negando ingiustamente la verità del principio, non hanno sempre intravisto ciò che avrebbero avuto ragione di vedere, cioè la difficoltà pratica delle applicazioni.

Già quando abbiamo studiato lo sforzo necessario per l'esecuzione di qualsiasi atto deciso, abbiamo riconosciuto la presenza in noi di forze ostili all'azione, qualunque sia l'azione di cui la volontà prende l'iniziativa.

Ma queste forze non sono una mera inerzia, non costituiscono un peso brutale e cieco.

Sono forze plurime che si esprimono in noi mediante una tendenza istintiva verso fini intravisti, mediante appetiti, sollecitazioni che si riflettono nel nostro pensiero.

In una parola, sono forze che rivelano al di sotto della riflessione una vita soggettiva e l'intervento costante di oscure coscienze.

C'è dunque da conoscere una psicologia del corpo, e da districare un'azione complessa dell'organismo.

Qui non si tratta più di analizzare « gli elementi dello spirito ».

Indubbiamente a qualcuno questa sembra una delle verità più nuove, ma in realtà tra le verità che la psicologia contemporanea ha rinverdito, credendo di scoprirle, è una di quelle più antiche.

Se il nostro organismo è formato da organismi elementari, autentici infusori43 che vivono, muoiono e si rinnovano ciascuno alla sua maniera, se il corpo è un sistema instabile di innumerevoli viventi di specie differenti, è esattamente l'immagine della composizione della vita soggettiva.

E come una fisiologia avvertita studia il polizoismo dell'individuo, era necessario altresì discernere nella coscienza il « polipsichismo » che ne costituisce l'unità molteplice.

È quanto abbiamo già visto.

Adesso non si tratta tanto di mostrare questa collaborazione anonima delle coscienze subalterne fuse insieme nella vita centrale, ma di considerare quello che succede in seno a questa moltitudine confusa quando vi si getta un'azione, come un sasso in uno stagno brulicante.

In questa sede poco importa in che modo l'atto è stato concepito, determinato e deciso.

La cosa interessante è vedere come, penetrando nel sistema delle nostre abitudini, esso rompe l'equilibrio, provoca una nuova coalizione dei pensieri e dei desideri, fa scaturire dall'organismo psicologico una risposta al suo appello, rivela i movimenti segreti che sarebbero rimasti nascosti nel cuore, senza questo colpo penetrante della decisione.

Quindi, quasi seminasse zizzania, l'azione sembra suscitare contro se stessa un nuovo determinismo di fronte al quale minaccia di soccombere.

Col proprio slancio la volontà scopre la sua imperfezione; essa si impone una lotta intima che è la prova della sua sincerità e la condizione del suo sviluppo.

I.

In effetti riflettiamo su questa strana verità dell'esperienza comune: se voglio muovere la mano, il braccio, la testa, le altre parti più pesanti che a stento potrei reggere se fossero separate, i movimenti comandati si eseguono quasi da soli, senza che io conosca nessuno dei congegni di questa macchina straordinaria.

Si eseguono precisamente perché nelle membra si trovano energie complici e coscienze coadiuvanti.

Ma questa docilità che ottengo dagli organi sottomessi alla volontà non è erogata dalla stessa volontà.

Io muovo il dito, ma non riesco a cambiare un desiderio; comando alle mie membra come a un animale vivo e attivo di cui domino le forze disciplinate, e quando si tratta di vincere un sentimento, di evitare un'occasione, di impormi un sacrificio, resto distratto, negligente, inerme.

Voglio agire, ma agisco alla meno peggio.

Voglio volere, ma al momento dell'esecuzione e di passare ai fatti non voglio più.

Lo spirito comanda al corpo ed è obbedito; comanda a se stesso e oppone resistenza.

Comanda di volere ciò che non comanderebbe se non volesse, e tuttavia ciò che comanda non si esegue.

Governiamo più facilmente il lato materiale che non il lato morale dei nostri atti.

I - Il fatto è che il volere non è affatto integro, e rimane diviso in se stesso.

Di fronte a qualsiasi atteggiamento definito e deciso nasce il partito degli scontenti, per spirito di contraddizione.

C'è una legge delle membra il cui ruolo nel complesso è di resistere alla legge dello spirito con più forza delle stesse membra.

Ogni sforzo iniziale è come una dichiarazione di guerra alla rilassatezza e alla dissipazione delle forze vive, che pure hanno da parte loro l'istinto di conservazione e di indipendenza.

Insomma, come l'autentica iniziativa della volontà trascende l'automatismo inconscio e le condizioni fisiologiche dell'atto, così la resistenza organica, lungi dal limitarsi all'inerzia bruta, mantiene soprattutto desti in noi stati di coscienza estranei o ostili alla coscienza, volontà nuove che si ergono contro la volontà.

Nel corpo è già diffusa una vita psicologica; e quando lo sforzo volontario raccoglie in un manipolo separato le forze per l'offensiva, proprio allora si rivelano le potenze assopite e i desideri segreti.

Perché di fronte alla decisione dichiarata, che assorbe in sé sotto la loro forma ideale tutte le rappresentazioni proiettate dal corpo nella coscienza, sussiste la realtà di queste tendenze eliminate solo in astratto, ma ancora vive e concretamente in azione.

Queste non si estinguono da sé.

Il concerto dei fini voluti provoca dunque una coalizione delle potenze ostili, che non si limitano più a produrre il loro insignificante effetto nella coscienza comune, ne a rimanere allo stato virtuale.

Ma si uniscono, e dalla difensiva tendono all'offensiva.

In tal modo l'attività volontaria, rompendo incessantemente l'equilibrio interiore della vita, scopre ciò che si agita confusamente sotto la superficie dei sentimenti apparenti.

Senza dubbio l'automatismo, già governato da una ragione oscura, è sufficiente a provocare in noi quei contrasti di immagini e di desideri che rendono possibile l'esercizio della riflessione.

Ma è l'iniziativa del pensiero e lo sforzo dell'azione determinata che costringe le tendenze ignorate a manifestarsi, grazie alla vivace protesta di quelle che si vorrebbe misconoscere o distruggere.

Ecco perché i maestri della vita interiore ci consigliano di provocare, come in una battaglia a corpo a corpo, le passioni che bisogna imparare a conoscere e a sconfiggere.

In questo modo l'azione, come una spada tagliente, apre allo sguardo un passaggio fin nelle profondità oscure in cui si preparano le grandi correnti della vita interiore.

Attraverso lo stretto portello della coscienza essa ci rivela infinite prospettive, al di sotto di questo mondo complicato nel quale ci troviamo; e rinnova continuamente con i contrasti e le lotte intime la sorgente del pensiero e della libertà.

Perciò spesso è difficile discernere quello che vogliamo davvero.

E talvolta persino l'ardore della volontà fa nascere, come per un fenomeno d'interferenza, l'impotenza e l'indecisione.

Chi non ha conosciuto, nelle circostanze più critiche, quella pena dell'incertezza inattiva che rende desiderabili come un prezioso antidoto tutte le possibili sofferenze dell'azione fiduciosa!

Si direbbe che basti volere perché subito non si voglia più e che, favoriti da una decisione palese, si sviluppino nell'ombra un potere occulto e influssi ipocriti atti a dirigerei quasi a nostra insaputa.

Non è stato osservato quanto spesso i nostri discorsi e la nostra condotta si ispirano tacitamente ai propositi di cui meno ci rendiamo conto, come se per un perfido sdoppiamento e una specie di diversione la volontà si ingannasse da sé per lasciare, sotto sotto, più spazio ai desideri inconfessati?

Che singolare organo da suonare questa vita interiore in cui le note più giuste talvolta sembrano provocare gli accordi più stonati!

Vi sono dei casi in cui non possiamo fare un passo senza che ci si ergano davanti e ci assalgano migliaia di nemici nascosti.

E i nostri sentimenti più profondi sono anche quelli che ci dividono e ci sorprendono maggiormente come sconosciuti.

Certe gioie intime ci lacerano e in una misteriosa felicità si confondono addirittura con l'eccesso del dolore.

Quello che abbiamo desiderato più di tutto ci spaventa quando bisogna farlo nostro.

Abbiamo paura di abbandonare le nostre miserie, come nella dolcezza di primavera si stende un velo di tristezza con i primi raggi che giocano con la fiamma del camino che va spegnendosi.

E talvolta basta che temiamo un atto perché subito una vertigine ci trascini a compierlo, come quei bambini terribili cui la serietà dei luoghi e delle persone ispira le monellerie più irriverenti.

È un circolo singolare: la volontà non potrebbe trovare la sua pienezza che nell'azione; e l'azione, talvolta persino il solo pensiero dell'azione, lacera, sconcerta e respinge la volontà.

La libertà sembrava vincitrice, e lo era; ma non appena si rende palese, già non lo è più.

E come se la decisione avesse esaurito le forze disponibili, davanti all'impresa iniziata insorgono difficoltà impreviste e accresciute, tanto da indurre la volontà a dubitare di se stessa.

Per conservare intatti i loro propositi più cari, per non impegnarli in una lotta che li immiserisce e li deforma, vediamo che le persone delicate evitano di esprimerli, come se l'azione dovesse sopprimere quei sogni anche se vincitori, e come se realizzandoli corressero il rischio di sciuparne la grazia infinita!

Per paura di non fare ciò che preferiscono e ciò che vogliono, fanno ciò che non vogliono e che non preferiscono.

- Ma vediamo soprattutto quel gran numero di uomini che si ricoprono dei fiori dell'intenzione e non portano mai i frutti degli atti, senza neppure rendersi conto di questo perpetuo abortire!

E tuttavia vale la pena considerare questo fenomeno; perché avendo atteso dall'azione un plusvalore, non vi si trova che deficit e perdita.

II - Ogni atto è un sistema di potenze alleate.

Ma tra questi alleati vi sono quelli fiacchi, quelli inerti, quelli infidi.

Sono forze che si intralciano e si neutralizzano.

L'uomo è come un quadro: la spada sta sempre sollevata sul nemico, e il colpo non viene inferto mai.

Quando farà ciò che vuole, andando fino in fondo nelle sue decisioni più ferme e più assidue, senza deviazioni e senza ritardi?

Tutti potremmo attribuirci l'espressione tipica dei bambini: « Io vorrei farti contenta sempre; ma dimmi, mamma, perché non sempre riesco a essere buono? ».

E come spiegare che abbiamo tanta paura di fare, quando non lo facciamo, ciò che ci piace tanto quando lo facciamo?

Sappiamo almeno fino a che punto ci facciamo illusioni sull'incoerenza consueta dei progetti e degli effetti?

Questo accecamento in cui ciascuno versa circa la propria condizione costituisce una singolare ignoranza; e il principio della filosofia consiste nell'averle rilevato.

Nonostante l'esperienza quotidiana dei nostri insuccessi, non possiamo mai credere alla nostra impotenza, ne possiamo prevederla o guarirla.

Anche quando l'abbiamo riconosciuta, non riusciamo a tenerla presente in modo abituale, non più di quanto riusciamo a fare i conti con essa nei nostri disegni più misurati.

Non sappiamo fin dove arriva questa malattia, e siamo ignari dell'oblio abituale nel quale viviamo circa il poco che facciamo e il poco che possiamo fare.

Da dove deriva che ci abituiamo, senza farci caso, a questa perenne bancarotta della vita?

Qual è il segreto di questi falsi giudizi che esprimiamo su di noi e sugli altri?

È che facciamo attenzione soltanto ai nostri progetti e alle conseguenze che se ne ricavano, come se le nostre idee e i nostri propositi fossero già i fatti stessi.

Quanto ai risultati, noi li consideriamo solo attraverso i bisogni logici della nostra natura intellettuale o le illusioni della vanità.

La riflessione, nonostante il significato palese della parola, si proietta o molto più sull'avvenire, o almeno nel passato si richiama alle illusioni e ai desideri più che ritornare sulla verità degli atti.

Spesso crediamo di aver fatto ciò che non abbiamo neppure abbozzato.

E la severità dei nostri giudizi sugli altri di solito dipende dal fatto che prendiamo il nostro ideale per la nostra prassi, e la loro prassi per il loro ideale.

Quante persone piegano al loro sogno tutta la realtà, e usano della loro ragione solo per sragionare con maggiore forza logica e per non accorgersi di se stesse!

Altrimenti come spiegarci che si faccia esattamente tutto ciò che si è appena criticato sinceramente nel nostro vicino?

Contro quanto si crede comunemente, noi siamo molto più ignari delle nostre azioni palesi e per così dire palpabili che non dei nostri pensieri invisibili o delle nostre chimere più effimere.

Non sappiamo, e non vogliamo, mettere in rapporto le prime con i secondi per scoprirne le sproporzioni.

Più le risoluzioni sono numerose, generose, importanti, al di sopra dell'insignificante dettaglio dei mezzi praticabili e delle riforme precise, più sono dannose.

Perché si crede di migliorarsi tanto, ma non si fa altro che guardarsi compiaciuti in una finzione sempre più illusoria.

Pertanto, quando si discute circa i principi della condotta umana, bisognerebbe domandarsi quasi sempre: « Intendete parlare in teoria, in astratto; oppure parlate della prassi ordinaria e delle azioni comuni? ».

Quanto sono sciocchi quegli autori di morale che non hanno la preoccupazione ne percepiscono il senso di queste incongruenze costanti, e che tirano dritto per la loro strada, ragionando sulle cose che dovrebbero accadere come non accadono nella realtà.

« Tu devi, dunque puoi »: è falso.

Sarebbe forse vero soltanto se si facesse ciò che si crede di fare.

Dunque nelle nostre azioni vi è un passivo abituale.

Per così dire, noi non facciamo mai tutto ciò che vogliamo come lo vogliamo.

Vi sono resistenze impreviste, attriti, spinte che logorano, intaccano e deviano la volontà.

Ci conosciamo bene in generale, ma a ogni istante ci ignoriamo; ed è questo momento che decide degli atti.

Spesso i nostri desideri ci nascondono i nostri veri desideri.

Nel cuore umano vi sono due cuori; uno non sa i pensieri dell'altro.

Ma per il solo fatto che una decisione è presa e uno sforzo viene tentato, la situazione inferiore è cambiata.

L'ospite che è nascosto in noi si rivela.

E per continuare a volere come si voleva, occorre in qualche modo volere di più e altrimenti.

Dopo la decisione i motivi lasciati cadere e le tendenze messe da parte non sono più gli stessi di prima; e nel momento in cui si credeva di distruggere il loro impero, sembra che lo si sia restaurato.

Com'è possibile?

II.

Non soltanto noi non facciamo tutto ciò che vogliamo, ma spesso addirittura facciamo ciò che non vogliamo.

Oltre l'attività parassitaria che sussiste al di fuori, accanto o dentro la stessa azione, c'è un'attività direttamente contraria che talvolta si sostituisce alla volontà medesima e l'induce a trasmigrare in lei.

Prima di qualsiasi intervento della riflessione esistono già negli elementi della vita soggettiva strane concupiscenze le cui esigenze sanno farsi valere di sicuro.

Ma la stessa riflessione col suo intervento conferisce agli impulsi repressi una violenza raddoppiata.

È proprio il progresso di questa sfuggente sostituzione, di questo cambiamento impercettibile delle volontà che dobbiamo prendere in considerazione.

Talvolta, mentre si fanno valere le più belle norme generali, non ci si avvede affatto che esse si applicano al caso particolare da risolvere all'istante.

Talaltra, mentre ci si sente in grado di fare i sacrifici più generosi o di dimostrare una fermezza eroica, si inciampa in un'inezia.

Infatti qualche volta è più facile trionfare nelle cose più grandi che superare se stessi in quelle più piccole, è più facile subire il tracollo che tollerare con pazienza la perdita di uno scudo.

Altre volte, man mano che i desideri si purificano e le aspirazioni sembrano sublimate, la bestia approfitta del fatto che l'angelo fa l'angelo, e nelle coscienze astute si avvale di una contabilità a partita doppia in cui sia saltato l'equilibrio tra passivo e attivo.

Altre volte infine, prima ancora di rendersene conto e senza sapere come, si è già fatto quello che ci si riprometteva di non fare; e come se l'acqua accumulata per effetto della resistenza avesse una forza maggiore, una volta rotta la diga avviene l'inondazione.

Quindi le sorprese provocate dalle potenze subalterne, le rivolte riuscite, le implicazioni rivoluzionarie minacciano il nostro intimo volere.

E talvolta restiamo imprigionati in noi stessi, spettatori impotenti della nostra decadenza, o anche complici dei moti di rivolta cui la volontà aderisce come il capo che segue i suoi soldati.

Bisogna conoscere, direttamente o per sentito dire, il tumulto di una sommossa, i disordini e il clamore della folla per distinguere in sé i movimenti talvolta esasperati di questa massa che da l'assalto alla volontà dichiarata!

Non appena essa si lascia strappare una concessione, non appena accenna a esitare o « allenta un po' la corda », è finita.

Chi non lotta è già vinto, chi non agisce è coinvolto ed è sconfitto.

Non abbiamo ancora finito di riportare nei ranghi quei ribelli, che subito si presentano in noi fermenti, complotti, un'esplosione di desideri e un disordine di appetiti.

E a questo punto chi è abbastanza forte per fermare o riacciuffare l'animale scappato?

Spesso e volentieri ci si illude che la riflessione sveli e sopprima la passione mettendo allo scoperto l'assurdità in cui cade, e si è convinti che per governare l'uomo è sufficiente una teoria morale, come se si trattasse semplicemente di maneggiare bambole di cartapesta o di far rinsavire le immagini colorate di Epinal.44

Ma una volta rotta la diga, la volontà, la quale forse fingeva di non aver dapprima acconsentito, non è tentata di accettare il fatto compiuto anche senza il suo consenso, di accettare ciò che è stato fatto, di prendere come nuovo punto di partenza ciò che non ha saputo impedire, di approfittare della situazione acquisita invece di risalire con coraggio al di là del punto in cui ha deviato, anche se per questo bisognerebbe sovvertire tutto l'equilibrio che si è stabilito su un altro fondamento?

Non si avverte viceversa che un'incoerenza pratica trascina con sé inevitabilmente altre incoerenze, perché a quanto pare a una bugia si pone rimedio solo con una bugia?

E la coscienza di una collera assurda, irritandoci maggiormente, non ci eccita fino all'esasperazione, come il bambino capriccioso che si abbandona alla sua sciocchezza proprio perché ne avverte la stupidità?

Così quanti uomini, non conoscendo che gli aspetti evidenti e superficiali della loro natura attraverso le illusioni di un cuore egoista e vanitoso, intravvedono un enigma crudele là dove c'è solo la crescente tirannia dei sensi scatenati!

È più facile rimanere casti che tornare a esserlo.

E la falsità, il pericolo delle descrizioni romanzesche, sta nel fatto che la semplicità astratta e l'indipendenza relativa delle decisioni o delle passioni più complesse vi si espletano senza trascinare con sé tutto il seguito delle loro compensazioni e dei loro ostacoli naturali.

Vi si fanno spuntare sentimenti straordinari che non hanno germi e non sono coltivati.

L'eroismo sorge come dal nulla.

L'amore puro, ingenuo e fresco, è preparato dalla lussuria, l'adulterio diventa purificante.

Abbiamo il beneficio del vizio e il fascino della virtù.

- Senza dubbio nell' « uomo vecchio » vi sono passioni contrastanti che finiscono per intendersi e per andare d'accordo.

Ma se Don Chisciotte e Sancio sono la critica vivente di questa letteratura chimerica che non comporta il collaudo della vita, quale nuovo eroe farebbe nascere la pratica scrupolosa dei romanzi contemporanei!

Pertanto la volontà non solo non attinge tutte le forze che vorrebbe mettere al servizio dei suoi fini, sicché la sua azione è sempre più o meno contrastata o inficiata, ma suscita altresì, accanto a sé e contro di sé, delle potenze che tendono a soppiantarla e vi riescono persino, sostituendosi a essa e tenendola sotto tutela.

Spesso finiamo per agire volontariamente contro la nostra volontà.

È questa l'origine di quel movimento della passione che è importante conoscere bene.

III.

Se nello sforzo laborioso ci sono fatica e sofferenza, è perché, come si è evidenziato, nell'organismo medesimo ci sono già una vita psicologica e un complesso di tendenze indisciplinate.

Se nell'azione volontaria ci sono una perdita e una sproporzione abituali, è perché, anche questo abbiamo visto, tali attività subalterne esistono e resistono anche di fronte alla decisione più ferma.

Ma se queste potenze ribelli sono capaci di trascinare e di subornare la volontà, è perché in esse ci sono ( occorre metterlo in luce ) un'energia analoga a quella della volontà stessa e un carattere per cosi dire razionale.

Qualunque cosa abbiamo deciso o abbiamo fatto, siamo sempre portati a giustificarla e a ritenerla ragionevole, anche quando è contraria a una precedente volontà o a una valutazione imparziale.

Ma riserviamo questa imparzialità ad altri casi analoghi.

Nella prassi cadiamo in un perenne sofisma: « Le norme generali non si applicano mai al mio caso particolare; ma il mio caso, per quanto eccezionale sia, mi sembra avere dalla sua parte la ragione universale ».

Come dunque è possibile che agendo al contrario di come si voleva l'atto sia realmente voluto, e trovi in sé la propria ragione?

In realtà in noi la vita animale è già permeata da una specie di virtualità razionale.

Una volta arrivate alla coscienza riflessa, le tendenze spontanee vi trovano, sotto una nuova luce, più forza e determinazione.

Ormai di fronte alla volontà che le ha valutate e che, pesandole con la sua bilancia, ha comunicato loro un'energia doppia, esse conservano, anche una volta soppiantate, il segno della ragione che si è soffermata a esaminarle, come se all'occorrenza esse potessero soddisfarla e bastarle.

In tal modo, quando grazie alla spinta del moto passionale abbiamo fatto quello che non volevamo, ma che potevamo anche volere, l'atto che avevamo creduto irragionevole contiene all'improvviso una ragione imprevista, una ragione da cui gli era venuta, così immaginiamo, parte della sua forza vincente, una ragione capace di ottenergli il consenso della volontà vacillante.

Può sembrare strano che al di sotto della vita riflessa e fino ai confini estremi dell'automatismo psicologico vi sia una specie di ragione che presiede alle funzioni più oscure, e che prepara in anticipo l'attività volontaria prima di metterla in scacco; pur tuttavia ciò è fuori dubbio.

Del resto non è caratteristico di una sintesi reale che gli elementi di cui è formata partecipino dei suoi caratteri originali e vi perdano in apparenza i loro caratteri propri?

In tal modo la forma superiore della coscienza e della volontà si riflette fin nelle sue condizioni elementari.

È dunque a torto che si parla della vita animale dell'uomo come se potesse essere puramente animale.

Anche là dove la riflessione non interviene, dove la decisione libera dello spirito non penetra, c'è ancora in noi una dialettica immanente che presiede alle nostre operazioni sensibili, e ispira le nostre percezioni e le nostre conclusioni immediate.

Le stesse sensazioni hanno un carattere razionale e una tessitura logica.

Esse sono la risultante di inferenze acquisite o di integrazioni primitive in cui si manifesta la forza sintetica e persino, per così dire, la capacità sillogistica della nostra attività mentale.

Ci sono come un ragionamento implicito e un'aritmetica inconscia che governano tutti i nostri movimenti.

Il facchino che cammina più svelto sotto un carico più pesante, la danzatrice o il suonatore non sanno di essere geometri e matematici.

È altresì in questo modo che gli errori dei sensi rivelano l'iniziativa logica di un meccanismo razionale che entra in esercizio anche all'insaputa della ragione e della coscienza.

Si analizzino, per esempio, le cause che ingrandiscono gli astri all'orizzonte, o che fanno nascere false proiezioni visive e immagini accessorie nelle persone operate di strabismo.

Quindi nelle nostre minime percezioni e nei nostri atti più insignificanti vi sono un rigore e una concatenazione che confondono la riflessione più evoluta, perché nella prassi spontanea non viene mai omesso nessuno dei dati integranti del problema, e tutti hanno il loro effetto di compensazione.

Così prestiamo attenzione ai principi seminati volontariamente in questo terreno fecondo: vi sono una crescita naturale e una proliferazione delle conseguenze che i sofismi successivi e i palliativi interessati non arrestano più.

Negli stati patologici, e specialmente nei fenomeni di ipnotismo e di suggestione, questa disseminazione di una ragione immanente fin nelle stesse funzioni organiche e l'iniziativa dei centri secondari appare con la più patente e più perentoria evidenza.

Ivi si producono una dissociazione degli elementi dello spirito, un'analisi sperimentale dell'automatismo spirituale, che manifesta al tempo stesso l'indipendenza relativa e la ragione virtuale di ciascun frammento del nostro organismo mentale.

Sembra che allora, grazie a una finzione soggettiva o a una simulazione inconscia, ciascuna parte del sistema possa svolgere il ruolo principale e universale, come in una rappresentazione teatrale in cui le comparse reciterebbero a loro piacimento la parte principale.

Queste potenze subalterne, capaci di ricevere l'educazione della ragione, sono capaci anche di soppiantarla e di scimmiottarla, come quei bambini che vi impartiscono la lezione che voi avete appena impartita loro.

Se l'ipnotizzato può diventare padrone della sua vita fisiologica allo stesso modo in cui noi nello stato di veglia disponiamo della nostra vita di relazione, ciò avviene perché in lui tutta l'attività si ritira in un organo e si applica a una funzione, come se la volontà vi si fosse trasferita e concentrata.

È questo un potere sorprendente, che tuttavia non è di genere diverso dall'attività normale delle funzioni fisiologiche.

Infatti grazie a esso, secondo un'antica formula di cui bisogna dare un'interpretazione scientifica, « l'anima ragionevole è la forma sostanziale del corpo organizzato », vi imprime la sua impronta in tutte le singole parti, vi trova un'eco, vi è compresa e obbedita.

In tal modo, nell'ipnotismo come anche nella passione, sia pure a un grado minore, la gerarchia ordinaria delle forze vitali e delle coscienze elementari è sovvertita, ma per ricostituirsi artificiosamente sotto il comando di una potenza che di solito è subordinata.

La riflessione pare svuotata di ogni contenuto proprio con una sorta di tacita rinuncia.

E grazie a questa sospensione parziale delle molteplici attività la cui opposizione e unione costituiscono la ragione, questa spontaneità di uno stato semplice assorbe e impiega tutte le energie disponibili.

Non che la coscienza totale sia assolutamente abolita per un periodo di tempo che si può ipotizzare breve quanto si vuole, perché l'individuo ipnotizzato di solito è consapevole di non sapere.

E nella maggior parte dei casi di sdoppiamento ciò che dimostra la persistenza inavvertita della ragione astratta e della coscienza generale è il fatto che il soggetto conserva una nozione dell'io sufficiente per conoscere che non è più se stesso.

Egli ha la conoscenza larvata della sua palese ignoranza.

E se è docile alle successive suggestioni, ciò avviene perché nell'incerto campo della sua coscienza spenta può seguire l'indice luminoso che lo sperimentatore vi introduce.

Talvolta si riescono addirittura a dislocare come si vuole le pareti divisorie che sembrano fare di una vita due frammenti estranei.

A dimostrazione che nonostante questa scissione interiore sussiste una compagine segreta e come un reticolo invisibile che avvolge con le sue maglie trasparenti tutte le più disparate forme dell'attività, perché in tutte vi sono una sufficienza virtuale, un carattere di universalità e una ragione immanente.

Ciò che avviene al di sotto della riflessione avviene anche nel campo più rischiarato della vita interiore: alla ragione e alla volontà si sostituiscono altre facoltà, con tutti i caratteri, tutte le esigenze, tutta l'efficacia della ragione e della volontà.

E questa azione che procede da noi contro il nostro volere, come se fosse volontaria, questa azione irragionevole di cui ci si fa una nuova ragione, a dirla propriamente è la passione.

In effetti da quale segno si riconosce l'atto della ragione e la decisione volontaria?

Da questo segno: i diversi motivi che si presentano spontaneamente alla coscienza sono concepiti come le parti di un medesimo sistema totale, e la decisione libera appare come una sintesi che ingloba queste tendenze parziali e impiega le forze di tutte le altre per realizzarne una privilegiata.

Quindi il giudizio verte su tutto, e l'azione abbraccia tutto.

Ora quando la coalizione delle potenze, alle quali la volontà determinandosi ha dichiarato guerra o che approfittano della sua inazione per svilupparsi, ha il sopravvento, la contraffazione dell'atto volontario diventa totale.

Lo vediamo a sufficienza da quello che esibiscono gli uomini passionali.

L'oggetto della loro passione è il loro tutto.

Essere ragionevoli, liberi, felici significa agire solo in vista del tutto e per il tutto, goderne.

Ed essi si ritengono ragionevoli, liberi, felici.

Essi pensano di trovare affrancamento e gioia perfetta nella sottomissione totale e nella completa rinuncia.

Ma non si tratta soltanto del loro tutto, essi vogliono che sia il tutto.

A loro modo di vedere non c'è quindi altro dovere che verso questo uno e tutto, non c'è altra libertà che nella schiavitù nei suoi confronti, non c'è ne amore, ne venerazione, ne adorazione che nel suo culto.

Al di fuori di ciò per essi tutto è niente: è il centro cui riferiscono tutto, il valore delle cose e il senso delle parole.

È il dio cui sacrificano tutto, l'universo e la loro stessa vita.

Ma essi vogliono altresì essere tutto per questo centro, sapere tutto su di esso, attribuire a sé tutto ciò che costituisce quel centro.

Hanno spezzato i loro legami col resto, e il resto è per loro come annientato.

Non esiste più nulla di vivo, di umano, di sacro, a quanto sembra, che possa esigere da loro devozione e rispetto.

Al di fuori della loro passione non esiste niente che possa giudicarla e condannarla.

Rimasto solo con quello che ama, unito a questo uno e tutto, l'uomo passionale si sente per così dire assoluto, indipendente, autosufficiente, infinito.

Se ha ancora la coscienza che al di fuori di lui, o in se stesso, misconosce ciò che si illude di annientare; se lo spettacolo di altre passioni simili alla sua lo sorprende e lo ferisce, perché non ammette che vi siano altri mondi accanto al suo; se il ricordo della ragione lo irrita e lo esaspera, perché non vuole che vi sia altro che un solo universo ( ed egli preferirebbe accettare l'idea di una spartizione piuttosto che credere all'unica ragione che lo condanna e lo esclude ); se prova come un rimorso, allora egli si assolve mettendo fuori delle norme comuni ciò che avverte come sregolato.

Convinto che dal momento che ama è completamente diverso da prima, si convince anche che non è come gli altri.

Si attribuisce una natura differente e superiore, si glorifica, si giustifica con la stessa mostruosità della passione.

E siccome ognuno ha la presunzione di possedere altrettanto e più spirito di chiunque altro, ognuno crede di essere il primo ad amare come ama.

Isolato ad altezze sconosciute da cui domina la folla umana e la disprezza, non ha altro affetto, dovere, onore, forza e vita che per l'unica cosa amata, ma crede di avere tutto ciò a un grado estremo.

Egli ferirebbe, spoglierebbe, annienterebbe il suo idolo per avere la possibilità di guarirlo, arricchirlo, crearlo.

Diventa crudele per manifestare la sua onnipotenza e la sua smisurata bontà.

In tal modo i bisogni e gli appetiti umani, per quanto siano analoghi a quelli del bruto, ne differiscono profondamente.

La bestia non ha la passione; viceversa quello che c'è di bestiale nell'uomo reclama tutto ciò che la ragione e la volontà esigono, cioè una soddisfazione infinita.

La sensualità umana è insaziabile e irragionevole solo perché è pervasa da una forza estranea e superiore ai sensi.

E questa ragione immanente alla passione stessa assume un tale potere da riuscire a soppiantare la ragione ragionevole, da confiscarne le aspirazioni infinite e da usurpare le risorse inesauribili del pensiero.

L'azione voluta sotto il comando della passione si realizza soltanto se ha reso schiava la libertà per trascinarla come prigioniera, come complice, come istigatrice.

Siamo dunque costretti dalla più comune e più universale delle esperienze a riconoscere che non facciamo tutto quello che abbiamo voluto, e che non abbiamo voluto tutto quello che facciamo anche volontariamente.

Chi non ha rilevato questo fatto non ha guardato in sé neanche una volta.

E tuttavia vi è una verità più dimenticata?

Come può essere che essa venga ignorata dalla generalità degli uomini, i quali non badano affatto all'incoerenza ricorrente dei loro propositi più fermi e della loro prassi quotidiana?

Come mai è ignorata dai filosofi e dai moralisti, i quali non sono affatto penetrati nel cuore della vita umana, nei misteri della volontà carnale, in questo torrione difeso in cui la ragione, regina e prigioniera, tratta con le potenze ammutinate della natura?

Come mai è ignorata da quegli stessi che non appena hanno riconosciuto questa malattia la dimenticano, e vi soccombono senza saperlo, sempre pronti come sono ad accusare gli ostacoli estranei più che queste ribellioni intestine, sicché l'antica massima « non abbiamo peggior nemico di noi stessi » rimane lettera morta o sembra un paradosso per gente bigotta?

Tre livelli marcano il dominio crescente di questi nemici della volontà.

- Sono estranei o nemici mascherati che compiono un'invasione;

- sono vinti pieni di rancore;

- sono vincitori che si accettano e si blandiscono.

In questo modo dunque tutte queste incoerenze dell'azione si riassumono: noi non facciamo quasi mai tutto quello che vogliamo; spesso facciamo quello che non vogliamo; finiamo per volere quello che non volevamo.

Dapprima l'azione contraria al volere nasce quasi a nostra insaputa; poi si acconsente alla conoscenza che se ne ha, e quello che si faceva senza vederlo, quello che si è fatto senza volerlo, si finisce per volerlo così come lo si fa.

Nella coscienza, nella decisione e persino nell'esecuzione come ci lasciamo ingannare in fretta, e a quale ingegnosa varietà di sofismi siamo pronti! I disordini e i mutamenti possibili dell'azione sembrano infiniti.

Ma allora da questo versante non è compromessa ancora una volta la scienza dell'azione che avevamo la pretesa di sviluppare?

Rassicuriamoci. L'utilità delle analisi pregresse non è tanto quella di mettere in evidenza certe infermità morali di cui non si conosce mai abbastanza l'estensione, quanto piuttosto di assodare fino a che punto in ogni operazione riflessa si ritrova lo stesso carattere razionale, la stessa unità sistematica.

Poco importa in questa sede il senso o la qualità dell'azione.

Ma mostrando che essa, anche quando è voluta involontariamente, è l'esatta contraffazione degli atti del tutto opposti, siamo preparati a fare astrazione, almeno provvisoriamente, dalla sterminata varietà delle aberrazioni e delle deviazioni possibili, perché sia nell'abuso sia nell'uso è presente un medesimo elemento.

O per meglio dire il termine abuso non ha ancora alcun significato, perché in questa sede si tratta semplicemente di assodare la crescita necessaria degli atti, qualunque essi. siano.

Bisogna dunque far rientrare sotto la legge comune quegli stessi atti che paiono allontanarsene maggiormente, e ricondurre a uno stesso determinismo le forme più disparate e più anormali della condotta umana.

Non diamoci dunque pensiero di sapere qual è, nella lotta intima, la volontà che ha il sopravvento.

Forse che la dissolutezza della voluttà non genera e non prolifica come l'amore casto?

Per quanto sia meno fecondo di quest'ultimo, essa non può sempre smentire il desiderio della natura.

In tal modo, sia esso soccombente o vittorioso, il volere depone nel seno dell'azione un seme fecondante.

Questo germe, talvolta buttato con noncuranza in una fantasia giovanile, può assorbire insensibilmente tutta la linfa della volontà, saldando gli atti futuri nel progresso della sua irresistibile vegetazione.

Quanti uomini, divenuti prigionieri di se stessi, hanno subito la fatalità di un errore iniziale, o si sono immedesimati in un ruolo che avevano cominciato a svolgere per scherzo!

Di un atto voluto non si può mai dire che sarà insignificante.

La volontà dichiarata e lo sforzo incoativo dell'intenzione che si realizza incontrano un'opposizione nuova negli appetiti, nelle ribellioni e nelle concupiscenze del corpo.

A questo livello essi non agiscono più con la proiezione ideale nella coscienza, sotto forma di motivi e di tentazioni, ma dopo aver espresso il giudizio, nel crogiolo concreto dei desideri e delle tendenze antagonistiche.

Infatti ciò che la decisione ha scartato non per questo è rimosso; e le forze della vita spontanea che avevano sollecitato la riflessione, al momento in cui si tratta di operare effettivamente ricompaiono con un carattere mutato: prima sollecitavano, adesso sono nemici.

Ora questa volontà contraria che coalizza in un sistema tutte le potenze escluse spesso di fatto riesce a soppiantare la stessa volontà.

Ma essa arriva in questo modo a governare l'azione solo nella misura in cui si rende a sua volta ragione o volontà.

Ciò mostra chiaramente che nell'uomo tutto è segnato da questo carattere razionale, poiché si ritrova in lui fin nelle follie della passione.

Ciò rivela altresì nel modo più palese come l'azione compendia e raccoglie in sé elementi estranei alla relativa semplicità dell'intenzione iniziale.

Essa infatti non potrebbe avere effetto che a condizione di dominare tutte quelle resistenze che essa stessa risveglia e incrementa.

È sempre necessario che l'equilibrio perennemente instabile della volontà si stabilizzi interamente da una parte, e che questa sinergia costruisca la persona, formando un sistema unico di forze vincitrici e di forze vinte.

Rimane dunque da discernere meglio come l'azione diventi in questo modo una conciliazione vivente dei contrari, come essa costituisca il cemento della sintesi organica e dell'individualità cosciente, in che modo plasmi il carattere.

L'azione è il cemento della vita organica e il nesso della coscienza individuale: nell'atto c'è di più dell'atto medesimo; c'è l'unità dell'agente, la conciliazione sistematica delle sue forze, la coesione delle sue tendenze.

- Rilevo dapprima come si instaura nel corpo medesimo la sinergia organica.

Ma l'educazione delle membra non è separata da quella del pensiero e delle stesse inclinazioni.

L'azione infatti forma con la vita corporea e spirituale un unico insieme naturale.

- Studio poi il ruolo sintetico dell'azione nel conflitto dei sentimenti e nell'incoerenza delle disposizioni interiori.

Faccio vedere che essa opera una conciliazione dei contrari, e che coordina e subordina tutte le forze che impiega.

- Dunque assodo che nella cerchia dell'individuo l'azione costituisce un circuito chiuso, che essa ci plasma il corpo e l'anima, che ottiene l'omogeneità interiore, esprimendo, confermando e completando la volontà.

Tuttavia questo circolo in movimento non si chiude che per aprirsi ancora di più, e per essere il punto di partenza di una nuova espansione.

In tal modo il centro di gravita della volontà e dell'azione che la realizza si trasferirà al di là dello stesso individuo.

Indice

43 Si tratta di protozoi, chiamati anche ciliati, costituiti da una semplice cellula fornita di due nuclei.
44 Proverbiali immagini popolari, antesignano dei nostri fumetti.