L'azione

Indice

Dall'azione sociale all'azione superstiziosa

Quinta tappa

L'unione feconda delle volontà e l'estensione universale dell'azione

La vita individuale è per forza di cose indotta ad aprirsi e a espandersi.

Essa fa concorrere altre forze ai suoi fini, cerca al di fuori un complemento, spera in una convalida e come in una reduplicazione della propria energia.

Siccome l'individuo non può chiudersi e non vuole rimanere solo e tutto isolato in sé, aspira a rivivere negli altri.

Egli trasferisce, per così dire, il suo centro d'azione non più nella sua opera esteriore, e neppure in quella cooperazione che gli permette di estendere il suo potere e il suo influsso, ma nell'unione intima che contrae con un altro se stesso.

Non è questo un modo per moltiplicare in un certo senso e per riempire la propria vita?

Egli quindi si dona, per ritrovare in ciò che riceve in contraccambio tutto quello che era già, - quello che era, ma senza poter tenere in serbo da solo l'abbondanza della sua vita.

E con un surrogato dell'egoismo, che sembra un « altruismo » condizionato e reciproco, diffonde il suo ardore irradiante, ma perché gli sia riflesso più caldo e concentrato.

Come nelle onde sonore vi sono dei nodi, o nella diffusione della luce in certi casi si formano dei fuochi virtuali, l'azione non si disperde senza ritorno e senza concentrazione ulteriore.

Così si stabilisce, per azioni e reazioni simultanee, una circolazione e uno scambio da vita a vita.

Due esseri formano un'unica e identica fecondità.

Si costituisce, se così si può dire, una sinergia.

Non si tratta più di una semplice cooperazione, limitata a produrre un'opera che forse sembra vivere, ma che in realtà non vive.

È come una sostanza doppia, che vive e produce la vita.

È una società reale e un'esistenza unica nella sua stessa molteplicità.

È una comunità che funziona come un organismo prolifico, la cui fecondità è data dalla stessa unione.

Quindi non si tratta più di consegnare un'intenzione alla morta lettera di un segno, ma si tratta per l'uomo di rivivere nella sua opera e di moltiplicarsi in essa.

Qual è il senso di questo prodigio?

Pur espandendosi, l'uomo vuole essere contraccambiato.

Se si ripara per istinto in un sistema chiuso, quasi per sintetizzare l'irradiamento della sua vita con un duplice movimento di donazione e di recupero, lo fa anche per raggiungere in sé ciò che gli sfugge in se stesso.

Se cerca negli altri, lo fa per meglio trovare se stesso.

Che se ne renda conto o meno, egli appartiene a gruppi naturali all'interno dei quali i suoi atti non solo si alleano ad altri atti per formare un'opera comune, ma procedono dalla federazione sociale e ne costituiscono la funzione vitale.

Qui l'unione non è più soltanto un effetto, ma è una causa.

E questi atti veramente sociali presuppongono, per così dire, un connubio già consumato tra gli esseri di cui concertano le volontà.

Essi quindi mettono a frutto in noi energie che non sono nulla se non sono fecondate.

È un'alleanza da stipulare con tutte le forme della vita, in modo da determinare in noi le potenze sconosciute che tendono con l'azione a inserirci nella vita universale.

In tal modo il baricentro del nostro equilibrio interiore si sposterà ulteriormente, e si attesterà in società sempre più ampie, fino a essere per così dire ovunque.

Infatti queste società, più o meno comprensive, sono definite e limitate, come lo è ogni organismo.

Esse configurano un'individualità collettiva, e posseggono, come un essere vivente, un nome proprio: la famiglia, la patria, l'umanità.

Ma mentre sono circoscritte e quasi incastrate tra loro, rimangono aperte e si estendono senza deformarsi.

E non soltanto ogni individuo in un gruppo sociale trova il suo posto e svolge il suo ruolo determinato, ma ciascuno appartiene nello stesso tempo a questi gruppi diversi, i quali, crescendo e allargandosi senza mai cessare di essere distinti, procedono come quei cerchi mobili formati da una palla caduta nell'acqua immobile: πέρας καί άόριστον.54

Perciò, nello sviluppo spontaneo e persino necessario che fonda le società umane come un'opera della natura, bisogna ritrovare il movimento delle volontà, come se ciascuna per proprio conto, coniugandosi con tutte le altre, si alienasse a tutte senza cessare di trovare soltanto in sé il principio della vita collettiva.

È un compito delicato quello di esibire come, mentre la volontà individuale rimane coestensiva allo sviluppo totale dell'azione comune, ciascuno dei diversi gruppi sociali si costituisce, si chiude, si apre, per passare al successivo e chiudersi ancora.

- E una prima difficoltà sta nel sapere come arriviamo a volere, a conoscere, a investire altre vite umane: in che modo allora il soggetto può venire a contatto con altri soggetti e fondersi con loro?

In effetti non si tratta più di ciò che degli estranei e degli sconosciuti possono apportare all'egoismo individuale, non sono più in questione tutti i contributi che la volontà esige e sfrutta a vantaggio della sua opera.

Ciò rappresenta ancora « l'oggetto », e quello che adesso vogliamo dal soggetto è il soggetto stesso, - non ciò che manifesta e produce, ma la sua intimità, ciò che egli possiede, per così dire, di infinito e di incomunicabile.

Finora lo avevamo preso unicamente come mezzo, da lui chiedevamo unicamente un concorso in vista di un'opera che sembrava il fine principale, e di cui egli era unicamente uno strumento.

Adesso lo trattiamo come « un fine in sé », lo sollecitiamo e lo desideriamo per se stesso, da lui ci aspettiamo non quello che fa ma quello che è.

Evidentemente quello che vogliamo è, prima ancora che l'opera, l'operaio stesso, per allearci con lui non più come il fine con un mezzo o come il tutto con la parte, ma come il principale con il principale e come la parte con la parte, in un tutto al quale si dedica l'individualità di ciascuno, in una vita davvero unica e in una comunione reale.

Ora, come riesce a superare la barriera delle coscienze questo movimento che ci porta verso altre volontà?

Se crediamo in maniera del tutto spontanea all'esistenza dei nostri simili, è perché abbiamo bisogno, vogliamo che essi siano.

Non si tratta affatto degli indici di sensibilità o di intelligenza che troviamo da interpretare intorno a noi.

Chiunque si ferma a questo punto ( se pure è possibile fermarsi qui ) può certo sfruttare la vita apparente degli uomini, ma a rigore rimane isolato di fronte a loro, non è penetrato in loro, non si mette al loro posto.

Egli ha davanti solo strumenti di cui si serve con l'abilità e l'egoismo della sua passione, bestie da soma più intelligenti e macchine più sofisticate, ecco tutto.

È un errore madornale pretendere di fondare la vita sociale sullo scambio dei fenomeni, sul contatto delle sensibilità o sul commercio degli interessi.

No, la società umana, limitata o estesa che sia, non si fonda su un gioco di segni, su un calcolo delle forze utili, su un equilibrio di compensazione delle leggi economiche, sull'esteriorità dei fatti, ma possiede una realtà tutt'altra, perché implica l'unione attiva dei soggetti stessi, la messa in comune delle energie e delle vite.

Perché l'opera comune si sottrae sempre, più o meno, alla nostra presa e alle nostre precauzioni.

In ciò che facciamo c'è sempre quello che facciamo fare, e in quello che facciamo fare esiste sempre una riserva latente di energia che sfugge alla nostra previdenza e al nostro governo.

In tutti i calcoli più accorti dell'uomo pratico o dell'economista bisogna fare i conti con un'incognita che indubbiamente è trascurabile per i sensi e persino per l'intelletto, ma che nasconde l'infinito di una forza o di una volontà.

Quel soggetto misterioso e indefinibile che in un primo tempo sembra refrattario alla mia conoscenza e alla mia iniziativa, quell'infinito che sconcerta la mia azione solitaria modificandola senza posa, quell'egoismo che intravedo ergersi di fronte al mio ed è altrettanto inaccessibile nel suo fondo quanto io lo sono per lui, anelo a penetrarlo, ad annettermelo, sono tentato di sottomettermelo e di godermelo.

Voglio che questa forza sconosciuta che collabora con me sia un soggetto simile a me, e che questo soggetto mi sia alleato, aiutante, amico.

Voglio possederlo in qualche modo, averlo in mano, essere lui senza cessare di essere io e, per meglio essere me stesso, voglio legarlo a me come io mi lego a lui con quella reciproca affezione nella quale Aristotele ha visto il fondamento e la pristina virtù della società.

Ai miei occhi lui esiste veramente solo se è per me così come è per sé.

Per riconoscere al di fuori di me una vita soggettiva del tutto simile e uguale alla mia, è dunque necessario che con un atto di volontà implicito collochi sotto i segni sensibili e le opere palesi l'invisibile presenza di un'altra volontà.

Ecco perché l'amore avido e bisognoso è un organo di conoscenza.

Infatti se ogni soggetto è nel suo fondo riflessione, ragione, libertà, non può essere conosciuto veramente che come tale, e di fatto lo è solo nella misura in cui è voluto.

Il solo modo di comprenderlo è amarlo.

Amore ancora più egoista di quanto comunemente non immagini l'apparente generosità e la pretesa dedizione di chi ama in questo modo, ma amore che nondimeno costituisce una tendenza al disinteresse, e che se sincero conduce l'individuo a staccarsi da sé.

Sincero e disinteressato, questi due sentimenti ne costituiscono uno soltanto, fino a tal punto la riflessione prima condanna l'egoismo esclusivo!

Quindi « l'altruismo » non è meno naturale, necessario e volontario dello stesso egoismo, rispetto al quale rimane concentrico.

L'altruismo è conforme al desiderio intimo della mia volontà, e sembra che non possa essere me stesso, come voglio, se non a condizione di mettermi al posto degli altri.

Quindi le formule nelle quali si è preteso vedere l'espressione pura del dovere55 sono realizzate di fatto, qualunque cosa si faccia.

E lo sono in effetti come delle leggi naturali, se non in atto come dei fini voluti.

Infatti soltanto l'accordo tra il fatto necessario e la volontà spontanea, per essere voluto nella misura in cui è volontario, esige anche quello sforzo morale di cui la scienza accantona le infinite varianti.

Se la vita sociale è una necessità, perché la natura orienta le simpatie e perché la ragione governa l'accordo tra le forze e tra gli interessi, allora a livello ancora più profondo essa è opera della libertà: noi vogliamo che sia.

E qui, come del resto dappertutto, la forma spontanea, il carattere inevitabile della nostra azione non è che la traduzione esteriore di una volontà radicale e originale, scaturita dal fondo più intimo della nostra persona.

Pertanto quando siamo portati volontariamente ad agire, esigiamo implicitamente al tempo stesso che la società sia, perché la società è il referente di esplicazione e la garanzia stessa dell'azione.

Noi possiamo fare assegnamento solo sul concorso effettivo e affettuoso di volontà capaci di corrisponderci con la libertà e la fiducia che usiamo nei loro confronti.

E per quanto in definitiva sia ancora e sempre una volontà - la mia volontà personale - che ricerca se stessa, per essere conseguente occorre che essa si guardi da un ritorno immediato all'egoismo.

Lo stesso movimento che mi induce a volere che un altro sia come me, mi porta a volere che resti diverso per me, perché esattamente voglio da lui ciò che ha di incomunicabile.

È questo mistero, questo infinito della sua vita che mi attira tanto più, quanto meno penetro in lui.

Io ammetto veramente che lui è in se stesso come io sono in me solo a condizione di non rapportare la sua operazione, la sua vita, la sua persona alla mia individualità, a condizione di rispettarle nella loro integrità, o meglio di subordinarmi a lui nella misura in cui subordino lui stesso alla nostra comune azione.

In effetti come ottenere che in questo rispetto reciproco, che a prima vista sembrerebbe tenere in sospeso e mantenere sulla difensiva i diversi soggetti in presenza, si suggelli un'unione e che la loro intimità li fecondi?

- È necessario che da una parte e dall'altra ognuno si proponga un fine superiore a ciascuno di loro presi isolatamente, un fine che sia bene perseguire con uno slancio comune, un fine tale che l'uno possa sacrificarsi all'altro, come nel paradosso eroico in cui un uomo muore per salvare un altro uomo soltanto, simile a lui, inferiore a lui.

Non ci uniamo semplicemente per essere uniti; non si può contenere fra due argini questo torrente che scorre dalla volontà.

Occorre che l'unità delle vite congiunte sia più della somma delle vite isolate; occorre che questo eccesso si effonda, e che la sovrabbondanza dell'essere molteplice generi un'opera che divenga la sua ragione d'essere.

In tal modo si vede ancora una volta, e con maggiore chiarezza, come la sintesi è sempre trascendente rispetto agli elementi che fonde e trasforma e si comprende che, se l'uomo è per l'uomo « un fine in sé », ciò avviene in vista di uno sviluppo superiore alla loro solitudine reciproca.

È perciò palese che non si dà propriamente una statica sociale, perché nelle relazioni umane tutto è in azione, tutto nasce dall'azione, tutto sfocia nell'azione.

A questo livello soprattutto non c'è unione che grazie alla cooperazione.

Dunque la giustizia, nonostante tutte le astrazioni contrarie, non consiste in un'immobile opposizione di diritti, in una separazione delle persone di natura tale che ciascuno resterebbe presso di sé e a sé; essa è una forza di promozione, che mantiene un equilibrio conforme alla volontà profonda di ciascuno, ma un equilibrio in movimento.

Infatti se il bisogno che abbiamo degli altri nasce da un'espansione del volere individuale, esso diventa a sua volta una causa di azione.

Tra gli uomini vi potrebbero essere relazioni reali e cooperazione vivente solo grazie a un progresso verso la sintesi sociale.

Con ciò risulta dimostrato il carattere a un tempo naturale necessario e libero della società.

L'intervento della riflessione non fa che sancire e perfezionare la natura.

Alla lenta formazione degli organismi sociali, delle istituzioni tradizionali e delle federazioni spontanee che hanno amalgamato gli uomini senza una convenzione esplicita o un contratto consapevole, essa aggiunge tutto il lavoro di una volontà illuminata.

Agendo, essi sono stati necessitati a unirsi, perché agivano allo scopo di unirsi.

E agiscono in maniera concertata non soltanto per arrivare all'unione, ma anche per dedizione all'unità, una volta che questa sia costituita.

Infatti non si può perseguire un fine comune se non subordinandosi a esso e personificandolo per dedicarvisi insieme agli altri.

Pertanto le espressioni del linguaggio corrente come « spirito di famiglia, coscienza sociale, spirito di corpo, corpo della nazione » non hanno un semplice valore verbale, perché un tutto, in quanto esprime una sintesi vivente, non è uguale alla somma delle parti, non trattandosi di parti o di unità aritmetiche, ma di membra solidali che si vivificano a vicenda.

Quindi l'azione volontaria è il cemento che edifica la città dell'uomo, è la funzione sociale per eccellenza.

L'azione è destinata alla società e noi ci teniamo uniti a vicenda soltanto grazie all'azione.

Su questo solo fondamento si costruirà solidamente la scienza sociale, una scienza che sarebbe incompleta o persino falsa se si limitasse a studiare il meccanismo dei fenomeni esteriori e il concerto astratto della vita collettiva, una scienza in cui non si arriva a rendere conto del diritto privato, del potere civile e dell'organizzazione politica se non guardandosi dal metodo impersonale e dalla generalità delle scienze positive, per considerare il modo sempre concreto e particolare in cui la società è generata.

Infatti il carattere proprio degli atti è di non poter essere considerati come fatti, senza qualificazione singolare e soggettiva.

E come uno non è prima un uomo, e poi il tale uomo in particolare, allo stesso modo la società non esiste senza essere una data società, senza diventare quasi il cuore comune di coloro che si amano in essa e per essa.

La sociologia ha un carattere scientifico solo se non è una scienza come le altre.

Quindi considerare i fenomeni sociali solo dal punto di vista delle scienze positive significa di fatto abolirli.

Infatti è tralasciare esattamente ciò che li distingue dagli altri fenomeni.

Per ciascuno di coloro che cooperano alla vita comune la famiglia, la patria esiste solo sotto una forma concreta e singolare, la loro per eccellenza.

Bisogna dunque vedere come ciascuno di questi gruppi viene generato da una volontà particolare e precisa.

Ciò significherà indicare la strada attraverso cui abbiamo accesso alle scienze sociali, facendo salvo il duplice carattere sociale e scientifico che esse debbono conservare.

Molti errori sono derivati dal fatto di non aver saputo graduare la gerarchia ininterrotta e distinta delle differenti associazioni umane; molti altri dal fatto che si sono presi come realtà assolutamente esclusive le une delle altre fenomeni invece compatibili; molti altri infine sono nati dal fatto che si sono considerate delle singolarità dell'azione collettiva come astrazioni generali.

Bisogna collocare al loro posto le diverse funzioni della vita.

E sebbene forse un individualismo superiore debba assorbirlo, bisogna senza dubbio passare attraverso un socialismo provvisorio.

A dire il vero in questa sede è impossibile esaminare in dettaglio la costituzione e la fisiologia di ciascuna delle società fondate col concorso delle persone.

È questo l'oggetto di discipline regionali.

Ma è quanto meno essenziale rilevare la continuità del legame scientifico, mostrando lo sviluppo ininterrotto dell'azione fino alla sua completa fioritura.

Studiarne dunque la volontà, attraverso la sua espansione sociale e nell'impersonalità della sua azione feconda e indefinita.

Essa cerca ancora e sempre di completarsi, non volendo affatto restare sola per meglio essere una.

* * *

Pur formando un sistema chiuso ed esclusivo, ciascuna società aspira a estendersi, e si apre per avere accesso a una sintesi più ampia.

Bisogna dunque seguire il movimento della volontà, dall'unione più semplice e più intima da solo a solo, fino al punto in cui questa sinergia tende a oltrepassare i limiti della stessa vita sociale.

- Dapprima studio il vincolo dell'amicizia e più in particolare dell'amore.

- Poi indago come dalla famiglia si passa alla patria; e mostro che la vita nazionale è un bisogno spontaneo e una costruzione naturale della volontà.

- Infine faccio vedere come, straripando oltre il perimetro della città, la nostra azione solidarizza con l'intera umanità, ma senza trovare ancora in questo nuovo allargamento l'equilibrio e la sufficienza di cui va in cerca.

- Occorre capire bene che è sempre l'azione volontaria che col suo progresso genera e giustifica queste forme susseguenti della vita umana, che queste forme si sovrappongono e si completano a vicenda, che ciascuna aggiunge a quella che la prepara una nuova perfezione, ma senza per questo abolire l'indipendenza relativa e la perennità delle forme precedenti.

Indice

54 L'espressione ricorre in Fiatone ( Filebo, 30 ) e in Aristotele ( Metafisica A, 8; A8, 17; N, 5 ); essa definisce l'opposizione limite-senza limite.
55 Palese allusione alle formule nelle quali Kant, sia nella Fondazione della metafisica dei costumi, sia nella Critica della ragion pratica, condensa l'espressione della legge morale.