Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

Indice

Capitolo quarto - IV

IV. Natura del progetto di Blondel

Blondel è un apologista o un filosofo?

Da parte sua ha sempre rifiutato l'etichetta apologista.

Non ha cessato di ripetere che il suo progetto e il suo metodo erano filosofici e che, anche quando poneva il problema religioso, non aveva altra intenzione che di parlare da filosofo.

Quindi come il pensiero di Blondel è una filosofia?

E che cosa la caratterizza?

Queste domande si pongono tanto più che Blondel stesso ha brancolato prima di giungere a definire il proprio progetto.

L'elaborazione de L'Azione, come si può seguire tramite i Quaderni intimi e le note di lavoro, dimostra che è attraverso approssimazioni successive che Blondel ha precisato la natura della sua opera.

Per molti anni il suo progetto generale di « riallacciare la scienza e la mentalità moderna alla filosofia cristiana e alla metafisica cattolica » è presente, ma i due piani filosofico e teologico non sono ancora chiaramente differenziati.

È tipico a questo proposito il passo seguente tratto da una lettera di Blondel al suo amico Victor Delbos del 6 maggio 1889, all'epoca in cui aveva appena redatto qualche pagina di un abbozzo de L'Azione: « Il ritmo trinitario di Hegel mi piace molto, ma qualunque sia l'altezza della Tesi e dell'Antitesi, l'idea cristiana, sempre meglio capita e sviluppata, offre una sintesi superiore.

Si cerca sempre di inventare un ideale migliore e più bello, una verità più larga.

E il compito perpetuo della Flosofia e dell'Apologetica ( per me sono in fondo tutt'uno ), è di scoprire che esso è più grande e incomparabile.

Dove è la soluzione del problema dell'Immanenza e della Trascendenza?

Essa è nell'Incarnazione e nella Comunione.

La confusione monista del finito e dell'infinito non è che un aborto, una contraffazione vaga dell'unità.

L'ideale dell'unità si trova nell'Ostia che riassume in essa tutta la natura, opulenza della terra, rugiade, raggi, prima che, mediante una specie di alimento perfetto, essa sia diventata l'umanità e la divinità per formare in noi l'essere nuovo, una realtà per così dire più che divina, una sintesi veramente universale.

Sarebbe strano se si potesse spiegare qualcosa al di fuori di Colui senza il quale niente è stato fatto, o come mi piacerebbe tradurre, senza il quale tutto ciò che è stato fatto è diventato nulla ».14

Si riconosce già l'intuizione dell'opera futura: una logica dell'azione, ispirata a San Paolo e che conduce, al di là di ogni filosofia chiusa su se stessa, fino al mistero di Cristo, in cui sussiste ogni unità.

Riflessione calamitata, dinamizzata da Cristo, ma quanto poco differenziata ancora!

È filosofia? teologia? apologetica? I piani si confondono ancora.

La stessa confusione dei piani nel « primo abbozzo » de L'Azione redatto alla stessa epoca ( dall'ottobre 1888 al gennaio 1890 ).

Blondel si applica a tradurre in linguaggio filosofico la dottrina cattolica, ma in realtà sviluppa ciò che noi chiamiamo in teologia l'argomento di convenienza.

« Si dovrebbe, dice, prendere una a una le verità del catechismo, e dimostrare ai filosofi che niente di più bello e di migliore potrebbe essere concepito; che questo supera l'immaginazione dell'uomo ».15

D'altra parte, avendo appena terminato queste prime note, Blondel si rende conto da solo, che il suo tentativo di tradurre « filosoficamente » il catechismo, non è sfociato in una filosofia, neppure in una apologià veramente filosofica.

L'impresa di una « trasposizione » o di una « traduzione » della verità cristiana poteva forse sfociare in qualcos'altro che in un « catechismo » spiegato con linguaggio più dotto?

Una cosa è certa, ne L'Azione del 1893 e nella Lettera del 1896, Blondel definirà il suo progetto in modo ben diverso.

È la prova che si è ancora evoluto.

Dopo una prima redazione della sua tesi nel 1890, poi una seconda nel 1890-1891 ( chiamata « Progetto di tesi » ), Blondel redige il testo che deposita alla Sorbona nel 1892, per ottenere il permesso di stamparlo.

È in questa occasione che Boutroux, incaricato di esaminare il testo, scrive a Blondel: « Se il risultato di questo lavoro è di condurci alla soglia della religione, il carattere rimane essenzialmente filosofico ».

Poi aggiunge: « Metteteci mano per l'ultima volta per ben far risaltare chiaramente il significato filosofico ».16

Blondel intraprende allora una drastica opera di correzione: trasforma capitoli interi, cambia i titoli; sopprime persino l'ultimo capitolo che non ha avuto tempo di rifare.

Così, dalla prima stesura fino all'opera stampata nel 1893, Blondel corregge sempre più nel senso di una filosofia autonoma, ma mantenendo all'orizzonte l'ipotesi della verità del cristianesimo.

Al termine di questa ricerca brancolante di Blondel per « trovare se stesso » ( progetto e metodo ), le posizioni si sono infine precisate e si percepisce meglio il punto a cui tendeva oscuramente questa maturazione interiore.

Blondel non pone il suo problema in funzione di una filosofia particolare, ma in funzione della verità del cristianesimo.

Lo formula nei termini seguenti: costituire a partire dal cristianesimo o, meglio, dall'ipotesi della verità del cristianesimo, una filosofia autonoma, che si accorda con esso, in virtù di esigenze razionali.

« Supponiamo un momento, dice, il problema risolto nel senso in cui il cattolicesimo indica l'Unico necessario del destino umano: qual è l'atteggiamento normale del filosofo, e come mantenere l'autonomia di questa ricerca, come esplorare tutto il campo aperto davanti a lui, nelle profondità della natura o nelle vette dell'anima? ».17

Questo progetto che parte dal cristianesimo « supposto vero », mira a condurre il non-credente fino alla soglia della fede.

Perciò quando vuole caratterizzare la sua impresa, Blondel parla « di un'apologià filosofica del cristianesimo », o « di un tentativo insieme filosofico e apologetico ».

Nel 1924, traccia l'insieme della sua opera, pubblicata o inedita, con queste parole: « lo sforzo apologetico e filosofico che perseguo da quasi quarant'anni ».18

Così, da una parte la sua opera filosofica ha uno scopo apologetico in questo senso che vuole scuotere le menti e preparare alla fede.

D'altra parte, Blondel vuole edificare un'apologetica filosofica distinta quindi da ogni apologetica tradizionale basata sulle prove storiche del cristianesimo.

Perciò rifiuta sempre il titolo di « apologista » senza determinazione, ogni volta che si misconosce il carattere filosofico della sua impresa.

Blondel rifiuta anche ogni accostamento della sua opera con quelle di Fonsegrive o di Ollé-Laprune ( che stima ambedue profondamente ) perché il loro metodo non gli sembra essenzialmente filosofico.

Il suo proposito è di « dire qualche cosa che conta per un intelletto filosofico e incredulo ».19

È perciò che la sua impresa si propone di mantenere dall'inizio alla fine la sua autonomia razionale.

Secondo l'espressione di A. Cartier, Blondel « vuol fare una filosofia che, per essere fedele fino in fondo ai propri princìpi, costituirà in più un'apologetica ».20

Le dichiarazioni di Blondel sono chiare, ma il problema sussiste: come può, un pensiero che si elabora nell'ipotesi della verità del cristianesimo e in vista di condurre le menti alla soglia della fede, avere il carattere di una filosofia autonoma?

Blondel dice di « aver tentato, come credente, uno sforzo da filosofo ».21

Come un tale sforzo può restare quello di una filosofia autonoma?

Si trattava per Blondel, di verificare, non certo i dogmi cristiani considerati in se stessi, ma l'esistenza globale del cristianesimo rispetto all'uomo, vale a dire la sua pretesa di essere accolto come rivelazione divina.

Verificare un'affermazione, agli occhi della scienza, è innanzi tutto « sospenderla », fin che non si sia riusciti a stabilirne le prove.

Blondel sospende quindi la sua affermazione di credente e adotta come punto di partenza la negazione più radicale che ci sia, cioè quella che rifiuta persino di ammettere che vi sia un problema del destino e che le nostre azioni, di conseguenza, comportino una responsabilità.22

Ma considerando il fatto dell'azione nella sua totalità e analizzando ciò che questa implica inevitabilmente, Blondel dimostra, di tappa in tappa, che ogni negazione include ciò stesso che pretende scartare.

Il processo rimane razionale e vale di conseguenza per ogni spirito, compreso quello del non-credente.

È la dialettica de L'Azione.

Lungi dall'appoggiarsi sul cristianesimo, Blondel si fa piuttosto il complice di tutti gli atteggiamenti e i pensieri che lo negano.

Così come non ne era il punto di partenza, l'affermazione della verità cristiana non costituisce neppure una « conclusione » de L'Azione.

Infatti, il riconoscimento della verità cristiana, Blondel lo sa, non è il termine necessario di una dialettica intellettuale, ma un atto di fede, un dono di Dio.

Blondel si ferma sulla soglia della fede.

In nessun modo introduce il minimo contenuto di religione cattolica.

Così la filosofia di Blondel si elabora nell'ipotesi della verità del cristianesimo: ma non parte da questa verità come presupposto o come fondamento.

Ha per scopo di preparare le menti alla fede, ma non valica mai la soglia della fede.

È interamente un processo razionale.

Blondel aveva una profonda preoccupazione di evitare un amalgama di dogma e di filosofia.

La sua filosofia, osserva De Lubac, « è la filosofia che si rende conto da sé, in un ultimo passo che è ancora un'opera di pura riflessione razionale, di non concludere.

È dunque una filosofia che rimane aperta al cristianesimo, ma che, di diritto, non procede affatto da esso, poiché, se volesse procederne, non potrebbe farlo che togliendogli il suo carattere soprannaturale, nel momento stesso in cui lo proclama mediante la sua ultima confessione ».23

D'altra parte, Blondel- ha talmente affermato l'indipendenza della sua filosofia nei riguardi di ogni presupposto cristiano che alcuni, come Maritain ", l'hanno accusato di avere una concezione cartesiana della filosofia, di concepire questa come « sorda », vale a dire come non ricevente nulla dal di fuori.

Se Blondel, in quanto filosofo, si rifiuta il diritto di fare citazioni dirette della rivelazione e del dogma, non resta sordo agli insegnamenti del cristianesimo.

Al contrario. Infatti in una sua Lettera del 1896, non cessa di ripetere che il filosofo cristiano « non ha più il diritto di mettere le sue convinzioni religiose fuori dal proprio pensiero »,24 che « l'idea propriamente cattolica » deve suscitare « una filosofia che le sia appropriata, tanto meglio quanto sarà autonoma ».25

Di fatto, Blondel deve molto al Nuovo Testamento, specialmente a S. Paolo, a S. Bernardo, a S. Ignazio e agli Esercizi, ai maestri spirituali che vanno dal XVI al XIX secolo, anche se questo cristianesimo deve più, a dir vero, alla vita liturgica e alla pratica cristiana che allo studio sistematico della teologia dogmatica.

Una cosa è certa, la filosofia di Blondel, lungi dall'essere sorda all'insegnamento cristiano, lo ascolta invece con attenzione.

Ma l'importante è di capire come lo ascolta.

Non l'accoglie direttamente, come primizia o come conclusione del suo itinerario.

Infatti, ne all'inizio, ne al termine della sua dialettica, Blondel si arroga il diritto di affermare la verità del cristianesimo.

Da 'un capo all'altro, sospende l'affermazione di questa verità che possiede in quanto credente.

Ma da un capo all'altro mantiene sotto gli occhi l'idea cristiana a titolo di ipotesi.

Ipotesi che scruta non alla maniera di un semplice « curioso » di fronte a qualsiasi religione ma come qualcuno che vuole verificare l'idea cristiana che muove, che provoca la ricerca, e anche perché la ricerca stessa è guidata dall'idea cristiana considerata come ipotesi.

Ma la filosofia, messa così in movimento, rimane autonoma nel sua itinerario, cioè non accetta alcuna affermazione che le verrebbe dal cristianesimo.

Lo sforzo di Blondel è quindi quello di un credente, nel senso che parte dall'ipotesi della verità del cristianesimo, al fine di verificarla per se stesso e di condurvi anche altri intelletti.

Il suo itinerario è suscitato e guidato dall'idea cristiana e ha anche uno scopo apologetico.

Ma ciò che tenta come credente, Blondel, non l'effettua con argomenti da credente, perché sospende, dall'inizio alla fine del suo discorso, la sua affermazione di fede.

Infine, si può dire che la filosofia di Blondel è una filosofia nel senso classico del termine?

Si può affermare che essa corrisponde al concetto d'« apologetica filosofica » piuttosto che a quello di filosofia.

Oggi, l'apologetica filosofica, che si serve della filosofia come di una scienza ausiliare, deve soddisfare alle stesse esigenze alle quali soddisfa la filosofia concepita da Blondel.

La filosofia di Blondel non è una semplice apologià del cristianesimo, ne una semplice filosofia della religione: essa è realmente una « apologetica filosofica ».

Ma appunto perché è filosofica, questa apologetica può essere capita da tutti gli uomini di buona volontà.

Preserva i credenti dal fideismo.

D'altra parte mostra agli uomini sinceri che il salto nel soprannaturale non è meno ragionevole ne meno necessario che le verità della vita abituale.

Indice

14 Lettera a Victor Delbos, 6 maggio 1889, citata da H. BOUILLARD, Blondel et le christianisme, pp. 200-201.
15 « Notes-semailles, n. 1134 », testo citato da H. BOUILLAKD, Blondel et le christianisme, p. 202, nota 3.
16 Lettera di E. Boutroux a Blondel, del 28 luglio 1892, ibld., p. 204.
17 M. BLONDEL, L'Itinéyire philosophique, Paris, 1966, p. 19.
18 Nota del 29 novembre 1924 inviata a un francescano del Canada, il P. Bruno: copia conservata negli Archivi Blondel. Testo citato da H. BOUILLARD, ibid., p. 206.
19 M. BLONDEL, Premiers Scrìts, Paris, 1956, pp. 21-22.
20 A. CARTIER, Existence et vérité, Paris, 1955, p. 213.
21 M. BLONDEL, Le problème de la philosophie catholique, Paris, 1932, p. 44.
22 H. de LUBAC, « Sur la philosophie chrétienne », Nouvelle Revue théol logique (marzo, 1936), p. 245.
23 J. MARITAIN, Science et Sagesse, Paris, 1953, pp. 146-147 (trad. it. Scienza e suggella. Boria, Roma).
24 M. BLONDEL, 'Premier s écrits, p. 53.
25 Ibid., p. 94.