Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo sesto - VIII

VIII. La solitudine creatrice nello Spirito

La solitudine radicale, nativa, quella che deriva dal nostro essere unico, ma finito, non ci lascia mai.

Essa non si colma, non si colmerà che attraverso l'apertura all'Infinito.

Ma la solitudine che ci minaccia ogni giorno, per distruggerci, è la solitudine dell'abbandono, dell'incomprensione, del fallimento immeritato, del rigetto.

Nessuna esistenza umana potrebbe sfuggire a questa solitudine, che può diventare atroce, vero martirio del cuore e dell'anima.

È il buio, la parete fredda, dura, a picco, della montagna.

Non si vede più nulla: nulla fuorché la notte!

È allora che la solitudine può diventare cattiva e ritorcersi contro di noi, contro gli altri e anche contro Dio.

Ma è anche il momento in cui la solitudine può diventare possibilità di superamento nella fede e nell'amore.

Gesù infatti, assumendo le nostre solitudini, ancor più, portandole con amore, unito al Padre, fin nell'abisso dell'abbandono e del silenzio di Dio, ci ha introdotti nella comunione col Padre.

Fedele al Padre fino alla morte di croce, Cristo è stato glorificato dal Padre e ci ha dato il suo Spirito, che è uno Spirito di figli e che ci da la forza di dire dopo di lui, con lui, nell'orrore della notte: « Sì Padre, non vedo, non capisco! Ma ti scelgo e scelgo la tua volonta!

L'accetto, l'abbraccio, dovunque mi conduca.

Io sono tuo figlio, tuo figlio per sempre! ».

Adesione crocifiggente, ma resa possibile dalla grazia della Solitudine agonizzante e crocifissa.

Questa solitudine, amorosamente e dolorosamente accettata, è la solitudine feconda, che ci fa uscire dall'isolamento o dalla cattiva solitudine.

Chiunque ha conosciuto, riconosciuto e accettato una tale solitudine, non è mai più solo.

Sfugge al vuoto e al disgusto della vita, a tutte le forme di scetticismo e di amarezza, di stizza e di odio.

Ha superato la cattiva solitudine, l'incarcerazione del peccato.

Può dire con san Paolo: « Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me » ( Gal 2,20 ).

Quando lo spirito di Cristo si è introdotto nel cuore dell'uomo, egli fa un tutt'uno con il Figlio e il suo Spirito: la vita trinitaria è in lui.

Questa solitudine feconda e colmante è quella di Francesco d'Assisi, spogliato di tutto; del curato d'Ars, perseguitato da Satana; del padre de Foucauid nel deserto coi suoi Touareg; del Padre Kolbe, nel suo campo di concentramento; d'Isaac Jogues, prigioniero degli irochesi.

Quando qualcuno ha fatto così il tirocinio della solitudine nello Spirito e della comunione con la Pienezza, scopre la gioia e la serenità.

Chi tra noi, lungo la sua vita, non ha incontrato quella dolce serenità delle persone anziane, che hanno attraversato la vita, col loro bagaglio di prove a volte più pesante di quanto occorresse, e che conservano tuttavia la loro freschezza d'animo; capaci di commuoversi, di compatire, di ascoltare, di dimenticare se stessi, o semplicemente di confortare coloro che li avvicinano, mediante il loro indimenticabile sorriso di dolcezza e di bontà, luminoso, illuminato dal di dentro dall'unica Presenza che colma ogni solitudine?

La solitudine vissuta così in unione e in comunione con colui che è ogni Pienezza, riveste nella Chiesa un carattere che la assimila alla vocazione dei « contemplativi »: non meno necessaria e non meno efficace.

La solitudine degli « oranti » è senza dubbio, con quella dei « sofferenti », la più potente energia spirituale del mondo.

La solitudine così compresa si ricollega alla vocazione di Maria: supplica perpetua verso il Figlio e verso il Padre, nello Spirito.

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