Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo nono - VII

VII. Dal peccato all'amore

Il cristianesimo non elimina il male, il peccato, la morte.

Non è una religione di consolazione, ne di diversione, ma una religione di conversione.

L'amore apre una breccia nell'impero del male e della morte, che si apre sulla vita eterna.

La risposta del cristianesimo al peccato è l'Amore che disarma, invitando a disarmare per amore.

Il messaggio del cristianesimo è un messaggio sul senso della libertà e dell'amore e sul dinamismo onnipotente dell'amore.

Se vi è una vittoria sul male, essa si ottiene mediante un amore più grande dell'odio.

Cristo è questo amore allo stato puro: perciò può trionfare delle nostre ribellioni che sono limitate.

È la storia di tutti quei capovolgimenti di situazione che noi chiamiamo « conversioni » e che, di un peccatore, di un criminale, in un lampo fanno un santo.

Paradossalmente, secondo il Vangelo ( Lc 15,17-20 ), è il peccatore, nella sua discesa agli inferi, che è più vicino al Regno.

Troppo spesso, noi ci compiacciamo di un certa mediocrità, equidistante tra la santità e la cattiveria.

Questa compiacenza ci impedisce di vedere gli abissi che sono in noi e che il peccatore già in fondo al baratro spesso percepisce meglio del « giusto ».

La sua stessa miseria può così diventare una « scorciatoia » verso l'amore e lo « precipita » in Dio.

Certo Dio ci capisce, ma non facendosi complice dei nostri inganni.

Ciò che ci è chiesto è di non rifiutare di riconoscere ciò che siamo veramente, classificandoci in una « onorevole » media.

Il peccatore, il criminale che non si considera che tale, possiede un'apertura nel cuore in cui può entrare la misericordia.

Si riconosce « peccatore amato ».31

Le nostre resistenze, i nostri fariseismi sono stupidi e falsi.

Siamo tutti colpevoli.

Abbiamo tutti bisogno di disarmare di fronte all'amore e di riconoscerei prigionieri del peccato, ma amati da Dio: e mai saremo amati da un amore più grande.

La risposta del cristianesimo al problema del peccato relativizza o elimina un buon numero di pseudo-soluzioni, superando:

a) I moralismi, secondo i quali la questione del male si risolve mediante l'obbedienza alla legge, la soddisfazione di una buona coscienza, la rassegnazione nella prova, la distanza presa a riguardo dei peccatori.

Ma si dimentica che il male è in casa, nel cuore dell'uomo, come una possibilità permanente e perpetua.

b) I manicheismi, che concepiscono il mondo come un campo di battaglia dove si affrontano i buoni e i cattivi, in concreto i nostri contro gli altri.

Visione semplicistica, perché la zizzania e il buon grano sono sempre mischiati nelle cose di questo mondo.

Pretendere di eliminare il male di colpo con l'ultima guerra che ucciderà la guerra, con la buona e definitiva rivoluzione che stabilirà per sempre la giustizia, è la suprema illusione, perché la libertà e la grazia possono ad ogni momento spostare o far saltare le frontiere meglio stabilite,

c) I ptometeismi, secondo i quali il male è interamente in un'alienazione che, a difetto di sapere e di potere, rende l'uomo dipendente dalle potenze naturali e dalle forze sociali di cui sarà padrone un giorno mediante i suoi apparecchi tecnici.

L'alienazione cesserà grazie alla pianificazione razionale dell'esistenza attuale e della felicità avvenire.

Ma niente è più equivoco di questa nozione di padronanza del mondo.

I tecnici possono asservire l'uomo all'uomo con mezzi di sfruttamento e di manipolazione sempre più raffinati, sempre più dispotici.

Anche se una società tecnicamente impeccabile procurasse a ognuno la sua razione di pane e la sua razione di cultura, questa stessa pianificazione provocherebbe delle temibili frustrazioni, dei riflussi aggressivi, l'inquisizione delle coscienze, la proscrizione delle libertà: la storia contemporanea illustra troppo abbondantemente che queste minacce non sono utopie.

Il cristianesimo è prometeico, ma a modo suo, cioè proponendosi una dominazione della natura e la sistemazione di un ordine più degno di Dio e dell'uomo contro le false fatalità della miseria e dell'ingiustizia.

Questa padronanza del mondo associa l'uomo all'opera ancora incompiuta della creazione e della redenzione.

Il cristianesimo, tuttavia, annunciando la salvezza già compiuta e sempre da fare, è più ottimista di tutti gli ottimismi, e più pessimista di tutti i pessimismi.32

I due atteggiamenti hanno il loro posto in un mondo che non è ancora il Regno definitivo.

Tutti noi attendiamo questo mondo nuovo dove non vi sarà più ne pianto, ne male, ne morte ( Ap 21,4 ).

Ma, in attesa, la sproporzione ci appare tanto grande tra ciò che verrà e ciò che vediamo, che la fede stessa è come presa da vertigini.

Davanti allo spessore del male, alla sua forza sempre rinnovata, alla sua ampiezza, alla sua proliferazione, alla sua violenza esasperata, l'urto è troppo forte.

Finché il male ha il buon senso di stare entro certi limiti, allora noi possiamo reggere.

Ma a volte si scatena con una tale virulenza che abbiamo paura di essere sommersi.

Gridiamo verso il Signore: « Salvami, perisco ».

Avremmo resistito alle condizioni dei nostri fratelli di Dachau, di Buchenwaid, d'Auschwitz, della Cambogia, del Cile? Si è farisei o ingenui se si pretende che noi non saremo mai provati dall'urto del male, dall'orrore dell'ingiustizia!

Sì, la nostra fede rimane esposta allo scandalo dell'iniquità: esposta alla prova e senza sicurezza di uscirne.

Ma, precisamente, se la nostra fede è vulnerabile, è perché esiste.

Tutti, un giorno, -saremo passati al setaccio dallo scatenarsi del male.

Tuttavia la fede stessa proclama che se tutte le consolazioni della terra non possono controbilanciare il male, vi è ancor meno proporzione tra il peso di gloria che viene, che ci attende, che è già presente, e il peso del male che noi subiamo.

È vero che il male, in certi momenti, ci sembra più violento, più duro, più orribile di tutto ciò che noi possiamo immaginare: è l'ora dello scandalo, della prova, del buio.

Prova che ci fa scoprire che, soli, non siamo all'altezza di fronte al male.

Ma, in un secondo tempo, scopriamo che siamo ancor meno « adattati » all'immensità del bene che verrà.

Al mistero terrificante del male risponde il mistero più impenetrabile ancora della felicità che ci è preparata.

Due luoghi, due parole simbolizzano questo mistero; il Golgota e il Tabor.

Vi è il peso del male, della passione, ma vi è il peso più grande ancora della gloria che sale, animata, invadente, come quelle aurore boreali che trasfigurano la notte, già popolata di stelle.

Ho visto quest'aurora boreale di Dio illuminare e trasformare volti di peccatori, di morenti i cui occhi si rivolgevano verso Dio, già affascinati dalla sua gloria.

Accettiamo di non vincere il male con trionfalismo, ma piuttosto di essere disarmati dall'amore, perché Cristo, per primo, ha disarmato di fronte al nostro rifiuto, fattosi debole per amore.

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31 B, ERO, Le pouvoir du mal, pp. 145-152.
32 E. BORNE, « Mal », in Dictionnaire de Spiritualité, fase. 74-75, coli.122-136.