Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo decimo - II

II. Autonomia, eteronomia, teonomia

Prima di riflettere sulla libertà in regime cristiano, conviene segnare la strada con un certo numero di considerazioni sulla libertà in regime umano.7

Una pura eteronomia non ha senso, perché un tale modo di essere non sarebbe che passività, pura sottomissione alla legge: una specie di robot.

L'uomo libero si prescrive dei fini, attualizza per sé dei valori, si da una figura.

In questo senso, ogni uomo è per se stesso una legge: è autonomo e responsabile.

D'altra parte, un'autonomia totale non ha senso, perché l'uomo non è la fonte prima della sua legge.

In Dio solo, necessità e spontaneità coincidono.

Al nostro livello di creatura non può essere così.

Essendo il nostro essere contingente, partecipato, limitato, noi non siamo per noi stessi la nostra regola assoluta: perciò la nostra autonomia è in un certo senso eteronomia.

Questa dipendenza nativa, tuttavia, non distrugge la nostra autonomia interna.

Dio infatti, non comanda dall'esterno, come gli uomini, ma in fondo al nostro essere, per il fatto che ne è il creatore.

A dire il vero. Dio non comanda: fonda ciò che si chiama comandamento, cioè l'esigenza del-senso e della coerenza in seno alla condotta umana.

Questa esigenza è formulata dagli uomini ed è l'uomo che capisce che essa si fonda in Dio.

Noi siamo liberi nel mondo, ma non abbiamo creato questo mondo che contribuisce al nostro essere: noi non abbiamo creato la libertà che noi siamo.

Tutto questo ci è stato dato e ci è dato ad ogni istante, per un tempo provvisorio, poiché non possiamo sottrarci alla morte.

Tutto quello che noi siamo, tutto quello che facciamo, tutto il sistema delle nostre relazioni umane, l'emergenza del nostro io libero in seno a queste relazioni, la possibilità di trovarvi la nostra realizzazione, tutto ha la sua sorgente e il suo fondamento in un Altro da noi.

Ora quest'Altro è immanente al nostro essere, come la sua sorgente interna e il suo fondamento.

La nostra libertà si sperimenta quindi come libertà che non è la Libertà.

Vi è un ordine di valori che non dipende da noi.

La nostra autonomia, di conseguenza, è una teonomia.

Ma ben lontano dal contraddire l'autonomia, la teonomia ne è la condizione, perché è in Dio che la legge morale trova il suo potere normativo.

Noi non siamo mai tanto liberi quanto nella nostra adesione volontaria a questa Libertà liberante.

Come la persona stessa, la libertà è un potere di autonomia e un potere di dono; un potere di scelta, inalienabile e un potere di realizzazione, che è una conquista.

Il problema della personalizzazione è un problema di liberazione.

L'atto della libertà, che impegna la persona intera, è essenzialmente una scelta.

Infatti, poiché lo spirito è aperto sull'infinito e non incontra mai che esseri finiti, vi è sempre un abisso tra il suo desiderio e i suoi oggetti, la sua capacità e le sue realizzazioni, ciò che vuole e ciò che si offre, tra la « volontà volente » e la « volontà voluta » ( Blondel ).

Questo abisso, in seno a se stesso, lo spirito non lo può colmare.

Esso traduce il suo desiderio di un fine assoluto nel desiderio, senza tregua rinnovato, di fini particolarizzati.

Finché non vede Dio e non è soddisfatto, l'uomo deve scegliere, deve fare delle opzioni.

Questo potere di scegliere è il potere che abbiamo di orientarci e di realizzarci rispondendo alla nostra vocazione con un atto che sia insieme obbedienza e dono.

Ma questo slancio, per orientato che sia, resta fallibile.

La persona infatti, è capace dell'Infinito, ma non è l'Infinito.

Poiché la volontà quaggiù non è necessariamente legata al Bene assoluto, se ne può staccare, può sbagliarsi, mancare a se stessa e peccare.

La volontà è orientata verso il bene, ma è capace di bene e di male e le forze che pesano su di essa la trascinano spesso verso il male.

Il primo vero problema è quello del senso della libertà.

Essa non ci è data per se stessa, ne per qualsiasi cosa, ma perché ci si possa realizzare.

Tuttavia si può volersi realizzare, partorire se stessi, sia rispondendo alla propria vocazione sia facendo la propria volontà.

Per coloro che rifiutano di dipendere da qualche cosa o da Qualcuno che li superi, la libertà si esprime mantenendosi indipendente da ogni appello trascendente; per gli altri, la libertà si esprime donandosi al Bene supremo, aprendosi a Dio.

La libertà che si rifiuta, è essenzialmente anarchica e distruggitrice.

La libertà che si dona, è impegnata e costruttrice.

Nel primo caso, la libertà fissa il suo slancio su un oggetto finito ( arte, potenza, ricchezza, onori ), di cui si proclama il solo padrone.

In realtà, l'oggetto della sua libertà, è la sua volontà propria.

Nel secondo caso, sapendosi orientato verso Dio, chiamato da Dio, l'uomo si realizza donandosi a qualche cosa che lo supera, che lo libera, che « completa » la sua libertà.

In questo dono, vi è riconoscimento e accettazione di una dipendenza radicale.

Questa libertà di dono è un impegno mediante il quale l'uomo si possiede e si realizza donandosi a Dio.

Ma una tale libertà suppone una conquista lenta e difficile: una conoscenza lucida e una padronanza degli istinti che asserviscono: essa implica una liberazione di sé e un'apertura all'Infinito.

Ma l'uomo che, deliberatamente, si orienta così verso Dio, che lo chiama, interiorizza le leggi e i comandamenti.

Ama ciò che gli è domandato, e così è « libero ».8

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7 J. DE FINANCE, « Autonomie et théonomie », in Atti del Congresso internazionale, n. 5, L'agire morale. Napoli, pp. 259-260; H. BOUIL-LARD, Comprendre ce que l'on croit, Paris, 1971, pp. 69-95; F. Bou KASSA, «La liberto sous la gràce », Sciences Ecclésiastiques 9 (1957), pp. 49-66; J. Mounoux, La liberto chrétienne, Paris, 1966.
8 J. MOUROUX, La liberti chritienne, p. 55-59.