Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo decimo - III

III. Legge e libertà nell'antico testamento

Che la perfezione della libertà, che la sua reale autonomia si trovi, non nel potere anarchico di fare tutto, ma nell'accordo della volontà umana con la volontà divina, che è il Bene supremo, è ciò che attesta la Scrittura, dall'Esodo alla croce.

La vera libertà, che sfugge a tutte le costrizioni esteriori, a tutte le servitù delle passioni, risiede in una volontà che tende con tutta la sua forza verso Dio.

L'obbligo, se ancora esiste, è quello dell'amore sovrano.

L'alleanza è la categoria biblica più adatta a illuminarci sulle relazioni di Dio con l'uomo.

Fin dalle origini della rivelazione il rapporto tra Dio e la sua creatura si esprime in termini di reciprocità, di alleanza tra la nostra piccolezza e la sua grandezza infinita.

Anche la legge, i comandamenti, che sembrano mettere alla prova la libertà, sono da capire a partire dall'alleanza.

Ma per capire questa luce stessa della rivelazione su ciò che noi chiamiamo gli « imperativi » della legge naturale messa nella coscienza dell'uomo, occorre situarla nel suo contesto storico che è quello dell'Alleanza del Sinai e della liberazione d'Israele.9

L'Alleanza ha un duplice effetto.

Prima di tutto essa ha conferito l'esistenza a Israele come popolo eletto, come popolo di Dio: appartenenza che si esprime nelle formule seguenti: « Jahvè, Dio d'Israele», o: « Israele, popolo di Jahvè » ( Es 19,5-6 ).

In secondo luogo, l'Alleanza ha dato a Israele una norma di vita liberamente accettata e destinata a conformare la sua condotta alle esigenze di Jahvè.

Questo legame tra l'Alleanza e la Legge è dovunque attestata nelle tradizioni di Israele.

La Legge, o il Decalogo, è la « magna charta » dell'Alleanza.

La Legge del Sinai ha una tale importanza che, più tardi, i compilatori delle tradizioni d'Israele hanno creduto di dover inserire in questa legislazione delle prescrizioni anteriori e posteriori alla Legge.

Inoltre non vi è altro legislatore che Mosè e nessun'altra legge può esistere al di fuori della Legge mosaica, perché l'esistenza della nazione si basa sull'Alleanza di cui Mosè fu il legislatore.

Separata dall'Alleanza, la Legge, non soltanto perderebbe il suo significato, ma non esisterebbe neppure.

La Legge non è una parola umana, ma divina.

Perciò, nel libro dell'Esodo è chiamata: « le dieci Parole di Jahvè » o « le Parole dell'Alleanza » ( Es 34,27-28 ).

Ma la rivelazione è sempre avvenimento e parola, storia e commento ( Dei Verbum, 2 ).

Perciò la Legge non può essere capita che alla luce di quegli avvenimenti che le conferiscono un significato, cioè la liberazione dall'Egitto e l'Alleanza.

La Legge è in relazione con la liberazione dall'Egitto.

La frase che introduce il Decalogo - « Io sono Jahvè, TUO Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla dimora della schiavitù » ( Es 20,2 ) - usa il linguaggio della reciprocità.

Sottolineiamo il fatto che Dio interpella uomini liberati in circostanze disperate; interpella come Dio salvatore della vita e della libertà.

In altre parole, Israele riceve il dono della Legge dopo aver ricevuto il dono della libertà.

La Legge è promulgata nell'ora storica in cui Dio ha letteralmente dato la vita al suo popolo.

A motivo di questo atto salvatore, può chiedere a Israele un servizio esclusivo, cioè l'osservanza delle sue dieci Parole, che sono la stipulazione dell'Alleanza proposta da Dio.

La storia è dunque il fondamento della Legge, mentre la Legge è conseguente all'avvenimento della salvezza: tutto ciò in piena conformità con una economia in cui Israele è chiamato a collaborare con Dio.

La Legge è in rapporto con un altro fatto storico, cioè l'Alleanza del Sinai.

Nel fatto dell'Alleanza, si deve notare che è Dio che prende l'iniziativa ( Es 19,3-5 ); inoltre, prima di essere proposta, vi è un richiamo della liberazione gratuita e dell'elezione gratuita da parte di Jahvè.

Tramite il suo mediatore Mosè, Dio notifica il suo progetto di fare di Israele il suo partner, il suo collaboratóre.

Il popolo risponde allora liberamente: « Metteremo in pratica tutto quanto Dio ci ha ordinato » ( Es 24,8 ).

Dopo il rito dell'aspersione del sangue, Mosè dice: « Ecco il sangue del patto che Jahvè ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole » ( Es 24,8 ).

La libera accettazione della Legge del Decalogo conclude l'Alleanza: è quindi evidente il legame tra l'Alleanza e la Legge, il Decalogo essendo « il Libro dell'Alleanza » ( Es 24,7 ).

Questo legame è così stretto che i due termini sono intercambiabili ( Dt 4,13; 2 Re 17,37-38 ).

In questo contesto storico, il senso religioso della Legge è fin troppo visibile.

Da una parte, infatti, la grazia precede la Legge.

Dio non dice innanzi tutto: « Tu devi fare questo », ma « Io ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto ».

La Lieta Novella della salvezza viene all'inizio, non alla fine.

È soltanto dopo aver salvato il suo popolo, dopo aver offerto la sua Alleanza e ricevuto la risposta d'Israele, che Jahvè proclama: « Tu non avrai altri dèi in mia presenza » ( Es 20,3 ).

L'indicativo precede l'imperativo.

La Legge non potrebbe essere capita che in questo contesto di salvezza: Dio si rivolge a un popolo liberato e libero.

D'altra parte, non vi è Alleanza senza Legge, perché la Legge è parte integrante dell'Alleanza.

Come, infatti, potrebbe sussistere una reale alleanza, una vera comunione tra Dio e l'uomo, se l'uomo non adottasse uno stile conforme alla sua Alleanza con Dio?

La Legge, insomma esprime la natura e la qualità di questa intimità di vita che deve esistere ormai tra Jahvè e il suo popolo.

Il Dio santo vuole un popolo santo, cioè intimamente unito alla sua volontà.

Ora il Decalogo, appunto, è il segno concreto che manifesta Israele come popolo di Dio, come sua proprietà: « Voi sarete per me dei privilegiati fra tutte le nazioni » ( Es 19,5 ).

Questa formula riassume tutta l'Alleanza nella sua dimensione morale e religiosa.

Più chiaramente ancora, si legge in Geremia: « Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo », poi: « Camminate nelle vie che io vi indicherò » ( Ger 7,23 ).

Ugualmente nel Nuovo Testamento, l'osservanza dei comandamenti del Signore - amore di Dio e amore del prossimo - è il segno che i cristiani sono veramente discepoli di Cristo e appartenenti al Popolo di Dio ( Gv 13,35 ).

La Legge, nell'Antico Testamento, è concepita essenzialmente come un dono di Dio: segno di un'Alleanza conclusa nella riconoscenza per il beneficio della vita e della libertà.

Perciò il Deuteronomio ha cura di sottolineare che l'osservanza del Decalogo deve essere una risposta d'amore e di gratitudine: « Ama Dio e osserva i suoi comandamenti e le sue leggi » ( Dt 10,12-13 ).

Se Dio comanda così l'amore è affinchè l'amore sia il motivo ispiratore dell'obbedienza agli altri precetti.

La Legge si trova così interiorizzata.

La sorgente dell'obbedienza è nel cuore dell'uomo; è l'amore che fa aderire ai comandamenti: « La Parola è molto vicina a tè, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica » ( Dt 30,14 ).

Accolta e vissuta nell'amore, la Legge è destinata ad avvicinare a Dio, a sviluppare una intimità sempre crescente col Dio tre volte Santo.

Il Decalogo si presenta dunque come un'esigenza interna della vocazione d'Israele: esprime come deve vivere un popolo chiamato da Dio e consacrato a lui.

Ugualmente, nel Nuovo Testamento, se i cristiani sono « chiamati » da Cristo, per diventare figli di Dio, devono vivere conformemente a questa vocazione.

La vocazione a Cristo ha come corollario necessario una vita secondo Cristo: i precetti accompagnano la vocazione.

In questo contesto, il Decalogo non è un semplice codice naturale, ma Parola di Dio.

Certo, esprime, nella sua materialità, le esigenze fondamentali della natura umana creata da Dio e, di conseguenza, protegge l'uomo contro se stesso.

Ma, in questo contesto storico, è innanzitutto l'espressione della volontà del Dio di grazia e di salvezza; non è un semplice codice astratto, ma una risposta personale di gratitudine al Dio che ha liberato Israele in un momento critico della sua storia.

D'altra parte, tutto il Popolo essendo stato liberato e salvato, e l'Alleanza essendo stata conclusa con tutto il popolo, è tutto il popolo che è chiamato a manifestare la sua riconoscenza attraverso la sua obbedienza alla Legge.

Tanto più che la fedeltà a Jahvè è destinata ad assicurare l'unità e la coesione di tutto il popolo.

Ahimè, là lunga storia delle infedeltà d'Israele ha dimostrato l'impotenza della Legge a mantenere il popolo nella fedeltà all'Alleanza.

Ma Jahvè fedele alle sue promesse, rivela a Geremia il suo progetto di riunire Israele con un patto indistruttibile.

Geremia annuncia che ci sarà una nuova Alleanza e che la Legge, ormai, sarà scritta nei cuori: « Io metterò la mia legge in fondo al loro essere e la scriverò nei loro cuori » ( Ger 31,33 ).

L'Alleanza annunciata da Geremia manifesta quindi un superamento del giudaismo e del legalismo: la legge passa dal di fuori al di dentro e sarà efficace.

Mai, prima d'ora, la Legge del Sinai era stata presentata a questo punto come via d'interiorizzazione spirituale per la santificazione dell'individuo.

Il termine di legge, tuttavia, poteva essere ambiguo.

Nella descrizione della nuova Alleanza, presentata da Ezechiele ( Ez 36,26-27 ), Dio promette di dare un cuore nuovo, uno Spirito nuovo: metterà in noi il suo Spirito.

La legge diventa un principio d'azione e non soltanto una norma per dirigere l'azione: essa è nient'altro che lo Spirito di Jhavè.

Lo Spirito compirà una trasformazione radicale del centro vitale dell'uomo: come una nuova creazione che produce un nuovo istinto.

Il concetto di legge interiore di Geremia si trova legato, in Ezechiele, a una teologia dello Spirito.

In Geremia, Dio dà una legge scritta nel cuore; in Ezechiele, il dono ricevuto ha un nome determinato; è lo Spirito.

Diventa evidente che il rinnovamento annunciato proviene, non dal di fuori, ne dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio stesso.

In Ezechiele, la novità non è l'Alleanza, come in Geremia, ma il cuore e lo Spirito: significa la trasformazione interiore dell'uomo.

Lo Spirito di Dio servirà da legge: si passa dalla legge scritta nel cuore, allo Spirito, legge vivente che agisce nel cuore.

Infine, nel Deutero-Isaia ( Is 42,6 ), il mediatore della nuova Alleanza sarà il Servo sofferente, cioè il Figlio di Dio.

La Legge è stata data da Mosè; la grazia è stata data da Cristo ( Gv 1,17 ).10

Così, lungo tutto l'Antico Testamento, assistiamo a una interiorizzazione progressiva della legge.

In un primo tempo, la legge è la parola di Dio fedele e misericordioso data al suo amato popolo; in seguito, essa è iscritta da Dio stesso nell'intimità del cuore.

Israele aveva poco a poco distaccato la legge di Dio dal suo autore.

Adesso, l'adesione alla legge è adesione a Dio stesso.

Mediante la legge, poco a poco, Dio si prepara un nuovo popolo, la sua Chiesa.

Mediante il sangue di Cristo una nuova alleanza è instaurata tra Dio e gli uomini.

Questa alleanza si basa non soltanto sul dono esteriore di una legge positiva, ma su una grazia che trasforma il cuore dell'uomo in cuore filiale e gli conferisce la possibilità di dire, come Cristo: Abba, Padre.

Il Decalogo resta ma, ormai, è il dono dello Spirito che unisce la volontà dell'uomo alla volontà di Dio.

La legge positiva non è soppressa, ma essa guadagna in efficacia, grazie allo Spirito che abita nei nostri cuori.

L'osservanza dei comandamenti di Cristo si presenta più che mai come una risposta d'amore filiale al Dio che ci ha salvati mediante Cristo.

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9 E. HAMEL, Lex dix Paroles, Paris-Monttéal, 1969; G. HELEWA, « Legge divina positiva e teologia morale.
Valori cristiani della Legge mosaica alla luce dell'Alleanza del Sinai », Ephemerides Carmeliticae 18 (1967), n. 2, pp. 226-261; J. L'HOUR, La morale de l'Alliance, Paris, 1966; D.J. McCARTHY, Trealy and Covenant, Rome, 1963.
10 E. HAMEL, « Alleanza e Legge. Storia di un'interiorizzazione progressiva », Rassegna di Teologia 16 (nov.-dic. 1975), pp. 513-532.