Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo undicesimo - I

Profetismo e speranza dei sofferenti

I. Il problema

Diversi autori, quando parlano del problema del male, mettono indistintamente, sotto la stessa etichetta, il peccato, la malattia e la morte.

È vero che queste tre realtà, alla loro origine, si riallacciano a uno stesso mistero d'iniquità.

Ma, peccato, malattia e morte pongono problemi tanto numerosi, tanto gravi, tanto specifici, che meritano di essere trattati separatamente: è quindi deliberatamente che abbiamo dedicato a ciascuno un capitolo speciale.

Parliamo innanzi tutto della sofferenza fisica, di quel morso che si attacca alla carne, all'organismo tutt'intero, che lo corrode, lo dissolve, col suo evidente corteo di sofferenze morali che lo accompagnano, perché la malattia-sofferenza, lo vedremo, non è un'astrazione, ma uno stato che soggioga tutta la persona.

Non parliamo della sofferenza che consegue ai nostri peccati personali, ai nostri eccessi di ogni tipo.

Ci basti evocare tante sofferenze e tante malattie apparentemente immeritate: vittime del cancro, della lebbra o della paralisi, che riempiono di orrore chi le avvicina; bambini innocenti deformi o crocifissi prima ancora di poter esprimere la loro sofferenza; sofferenze atroci di tanti prigionieri il cui solo crimine è di appartenere a un'altra nazione, di avere nelle loro vene un sangue diverso.

Perché le carestie che decimano popolazioni già affamate?

Perché terremoti che trasformano regioni, già povere, in cimiteri o ospedali?

Perché tante vite ridotte, atrofizzate dalla malattia?

Dove è Dio nei campi di sterminio e nei forni crematori?

Perché quei lunghi lamenti di malati cronici, per i quali ogni istante di vita è un'eternità che si ripete?

Spettacolo allucinante e scandaloso della sofferenza umana.

Il progresso contemporaneo, lungi dall'attenuare, rende più intollerabile ancora il fatto di soffrire.

Ci si ribella contro l'impossibilità di curare il cancro, le malattie cardiache.

Questa sofferenza incontrollata esaspera più che nel passato.

In una civiltà che vuole soddisfare l'uomo nei suoi bisogni e preservarlo dai mali, la sofferenza sembra un attentato ai successi della scienza.

Attraverso i mass-media, che rendono ogni uomo testimone della sofferenza degli altri, conosciamo meglio i flagelli che ci minacciano.

Conosciamo in anticipo il « virus dell'anno », quello che metterà a letto milioni di persone sane.

Abbiamo sviluppato di fronte alla malattia una psicosi di difesa.

È diffìcile parlare della sofferenza tanto quanto della croce e della morte.

La collera, spesso, scoppia in noi: se ne ha abbastanza di soffrire e di veder soffrire.

Da millenni e millenni gli uomini soffrono, gridando o in silenzio.

Davanti a questo scandalo gli uomini bestemmiano o pregano, si ostinano o cercano, disperano o chiamano.

Ciò che ci spaventa, non è tanto il silenzio eterno degli spazi infiniti di cui parla Pascala quanto quella lunga lamentela, quel gemito continuo che riempie lo spazio attraverso i secoli.

Se il problema della sofferenza è così pungente, è perché raggiunge quello dell'esistenza.

Il cristiano, come il non credente, è spaesato davanti a questo mistero ed esposto alla tentazione.

Per gli uni il peccato originale spiega tutto; per altri, la sofferenza è il castigo dei nostri peccati.

Ma rimane sempre lo scandalo della sofferenza innocente.

Cristo da parte sua, si è rifiutato d'identificare sofferenza e peccato personale.

Non ha spiegato la sofferenza.

L'ha assunta, condivisa, trasfigurata; ne ha fatto un luogo di salvezza e di santificazione.

La sofferenza è onnipotente, quando è accettata altrettanto liberamente che il peccato, in unione con l'Innocente crocifisso.

Il cristiano, come il marxista, lotta contro la carestia, contro la malattia, contro la sofferenza, sapendo bene tuttavia che la vittoria definitiva non è quaggiù, ma nella nuova terra, nei cieli nuovi, là dove non c'è ne pianto, ne gemito, ne sofferenza ( Ap 21 ).

Il sofferente che vive questo mistero di fede, è già, fra gli uomini, un profeta della vera vita, di quella che non passa.

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