Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo undicesimo - II

II. La malattia come stato di vita

La nostra mente superficiale, sempre pronta a svagarsi, a dimenticare, riduce facilmente la malattia a un fenomeno episodico, di corta durata: un mal di denti, una nevralgia forte, l'ablazione di un organo recalcitrante ( tonsille, cistifellea, appendice ).

Insomma, un brutto momento che finirà per « passare ».

Il fatto che le amministrazioni ospedaliere si applicano ad abbreviare sempre più i soggiorni in cllnica, anche dopo un grave intervento, favorisce ancor più questa impressione.

Si passa all'ospedale, se ne esce, o … se ne muore.

Si arriva così a dimenticare gli innumerevoli casi di tutti coloro per i quali la malattia è diventata uno stato di vita che modifica profondamente il loro essere e il loro comportamento.

Ora, quando noi parliamo di sofferenza e di malattia, è a loro, i cronici ( malati di cancro, di tubercolosi, di cuore, ecc. ) che pensiamo in primo luogo.

È fin troppo facile parlare di malattia e dimenticare il malato.

In ogni caso, la malattia rappresenta un cambiamento qualitativo.

Il malato cronico entra in un nuovo stato di vita ( paragonabile a quello che possono essere l'infanzia, la pubertà ) in cui si trovano modificati contemporaneamente alla sua personalità, anche i rapporti col mondo, con se stesso, col suo ambiente.

L'universo del malato si restringe.

L'attenzione, soprattutto all'inizio si concentra sul corpo, sui dolori, sulla sua perdita di autonomia; sugli alti e bassi della temperatura, sulle medicine da inghiottire, sull'appetito che va e viene, sui tests e analisi di laboratorio.1

Il malato si osserva, paragona il suo stato attuale con la sua vitalità precedente; si sente diminuito, danneggiato.

Egli non è più se stesso.

Abituato fino allora a decidere, a tenere in mano la sua vita, deve ora cedere i comandi.

Si credeva invulnerabile, senza limiti: d'ora in avanti ha la prova brutale del contrario.

Col tempo, si rassegna e consente a vivere questo nuovo stato di vita come « suo ».

Il malato è sempre se stesso, ma decaduto, dimezzato.

Le coordinate spazio-tempo cambiano dimensione.

L'universo spaziale si riduce alla camera, al letto, al corridoio, alla stanza di soggiorno.

Il tempo è un presente assurdo che non smette di allungarsi e di divorare.

Se amora il passato, è come nostalgia della salute persa, o come fenomeno di regressione verso lo stato d'infanzia o di adolescenza.

Ma è al livello della comunicazione soprattutto che la vita del malato si trova modificata.

Si sente trattato come un minore, come un debilitato mentale.

Se si incontrasse nella vita normale, non si oserebbe mai trattarlo così.

Si sente come « scomunicato » dalla società.

Ci si avvicina a lui, lo si « visita », ma appartiene a un altro universo.

Solitario, può diventare isolato.

Anche il medico lo visita, lo interroga, poi passa a un altro, come un guardiano che fa la ronda.

Solo l'infermiera ( o l'infermiere ) abita in permanenza con lui, conosce il dettaglio del suo bollettino medico, a volte accede ai suoi pensieri intimi.

Ma anch'essa rimane una « specialista » dei malati, estranea anche se più vicina.

Un solo essere può entrare più avanti in questa solitudine e popolarla: è il cappellano, se sa compatire e ascoltare.

I veri rapporti del malato si creano con questo confidente, coi compagni di camera, che vivono lo stesso stato di malattia: tra loro conversano, si sostengono.

La malattia non è dunque un semplice fatto biologico, ne un semplice fatto sociale.

Essere ammalato è da concepire come un modo di essere particolare che colpisce tutta la persona, nel suo modo di pensare, di giudicare, di reagire, di comportarsi.

La malattia possiede il malato.

Con maggiore verità del barbone che dice: « Io sono povero », il malato può dire: « Io sono malato », perché qui non è solo l'avere che è colpito, ma l'essere stesso del paziente.

Essere malato, è diventare un altro nel proprio io: prova da cui si può uscire distrutti o cresciuti, purificati, trasfigurati.

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1 Sulla fenomenologia dello stato di malattia, vedere HARRY VAN DER BRUGGEN, Ce malade qui existe, Paris, 1977.