Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo undicesimo - VI

VI. Il profetismo dei sofferenti

La sofferenza di Cristo trasfigura la sofferenza del malato.

Questi a sua volta, sta in mezzo ai sani, come un testimone di Dio.

Alla maniera dei profeti, proclama che è nello sradicamento da se stesso e dalla terra che l'uomo nasce all'eternità.

La maggior parte degli uomini, infatti, hanno un attaccamento viscerale alla terra: camminano col volto rivolto a terra.

Non si rendono conto che ogni radicamento alla terra è morte.

Per loro Dio esiste, nei casi urgenti, ma sperano bene di non averne bisogno, come la maschera a ossigeno e le cinture di salvataggio, di cui ci viene spiegato il funzionamento all'inizio del volo.

Teoricamente sappiamo bene che la nostra felicità è in Dio, ma finché abbiamo la fortuna di trovarla altrove, ce ne dimentichiamo.

Il malato è là per ricordarci che le nostre piccole felicità di quaggiù sono effimere, che siamo tutti segnati da una « insufficienza » che finiremo bene per scoprire.

Il giorno in cui dovremo ammainare le bandiere di fronte a Dio, gli offriremo il miserabile avanzo … che ci resta.

Ma Dio non è superbo!

L'essenziale è di andare a lui, quando non vi è altro da sperare, in ultima istanza, o all'ultima ora.

Dio non ha che poco tempo per mostrarsi, perché appena la malattia si allontana, noi vogliamo riconquistare la nostra libertà per ritornare ai nostri balocchi.

Il sofferente è là per aiutarci a trovare o a ritrovare lo stato d'animo che dovrebbe essere nostro in ogni tempo, cioè che la terra e il denaro non sono il nostro Dio, che il nostro vero tesoro è Cristo.

È a questo proposito che conviene parlare del formidabile e potente profetismo che esercitano i malati.

La loro presenza fra noi è la più eloquente e la più terribile Parola di Dio rivolta agli uomini per far loro capire che la terra è una pensione, una casa provvisoria; per ricordare loro che sono in cammino verso la terra promessa, che il vero riposo non è che in Dio.

Sono loro, i sofferenti, che sono nella verità, quando si rimettono totalmente a Dio, quando riconoscono in lui solo la vera vita.

Impotenti, possiedono nella speranza la potenza di Dio.

Beati coloro che soffrono!

A modo loro, i sofferenti, nella loro impotenza, come Cristo in croce, fanno sentire un clamore immenso che risuona attraverso i secoli; essi proclamano che tutti i nostri attaccamenti ai beni della terra, ai piaceri della terra, sono falsi, perché sono legami che ci impediscono di gettarci in Dio.

È l'homo patiens che ha ragione contro l'homo sapiens, perché lui solo conferisce alla vita il suo senso ultimo, la sua densità massimale.

Sono i malati che hanno ragione: il loro abbandono li solleva e li eleva verso Dio.

Sradicati dalla terra, sono radicati in Dio, ai confini della terra promessa.

Respirano già l'aria pura dell'eternità.

La sofferenza vissuta e interpretata dal malato per istruire i sani, costituisce per l'uomo la possibilità di « ominizzarsi », cioè di aprirsi all'Assoluto come alla sola possibilità di realizzarsi.

Il profetismo dei sofferenti, quando è capito, apre all'amore umano dimensioni insospettate.

La sofferenza trasforma, purifica, eleva fino alle vette della più alta santità, sia colui che soffre sia colui che ha capito il messaggio dei sofferenti.

Vi sono uomini che sono stati afferrati, agguantati da questo profetismo dei sofferenti, in particolare degli innocenti, e che sono diventati a loro volta testimoni dello Spirito.

Niente di più commovente a questo proposito della testimoniarla di Emmanuel Mounier, nel momento in cui apprendeva che il suo primo bambino, in seguito a una encefalite, sarebbe rimasto per sempre immerso in un misteriosa notte dello spirito: « No, non è possibile che sia per caso, per incidente …

Qualcuno è arrivato, era grande e non è una disgrazia …

Non c'era che da fare silenzio davanti a questo giovane mistero che a poco a poco ci ha invaso di gioia …

Mi sentivo avvicinare a questo lettino senza voce, come a un altare di qualche luogo sacro dove Dio parlava attraverso segni …

Non ho mai sperimentato così intensamente lo spirito di preghiera come quando la mia mano diceva alcune cose a quella fronte che non rispondeva nulla, come quando i miei occhi rischiavano uno sguardo verso quello sguardo distratto che portava lontano, lontano dietro le mie spalle, non so quale atto imparentato, allo sguardo che guarda meglio di uno sguardo.

Mistero che non può essere che bontà, si oserebbe dire: una grazia, una grazia troppo carica?

Un'ostia vivente in mezzo a noi, muta come un'ostia, risplendente come un'ostia …

Con tanti innocenti lacerati, tanti innocenti calpestati, questo piccino, immolato giorno dopo giorno, era forse la nostra presenza all'orrore del tempo …

Dal mattino alla sera, non pensiamo a quel male come a qualche cosa che ci viene tolto, ma come a qualche cosa che noi doniamo, al fine di non avere demeriti nei confronti di questo piccolo Cristo che è in mezzo a noi, di non lasciarlo solo, lui che ci deve tirare in avanti, non lasciarlo lavorare da solo con Cristo …

Niente assomiglia di più a Cristo che l'innocente che soffre ».4

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4 A. BEGUIN (Extraits de), Mounier et sa génération, Paris, 1940.