Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo undicesimo - VII

VII. Potenza dell'intercessione

Emmanuel Mounier desidera associarsi alle sofferenze del suo piccolo « per non lasciarlo lavorare solo con Cristo ».

Eco della lettera di san Paolo ai Colossesi, risposta della fede cristiana ai « perché » della sofferenza di Giobbe.

Infatti, è nel momento in cui è incatenato ( Fm 1,9 ), impoterte, impedito nei suoi desideri di apostolato, che san Paolo stende il suo inno di ringraziamento di fronte al piano di Dio: « In questo momento sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa » ( Col 1,24 ).

Il segreto della sua gioia, è che Cristo risorto non cessa di intercedere per noi.

Questa intercessione prolunga l'atto unico della nostra redenzione sulla croce.

Essa applica a ciascuno di noi, nel presente, ciò che è stato fatto per tutti al Calvario.

Inoltre Cristo vivente agisce in noi e attraverso noi, per mezzo della sua Chiesa, che è il suo Corpo, misteriosamente associato alla sua opera fino alla fine dei tempi.

La Chiesa infatti non lavora indipendentemente da Cristo.

Cristo è il Capo di un corpo, terreno, che è la Chiesa, di cui noi siamo le membra.

Quando san Paolo dice che completa le sofferenze di Cristo per il suo Corpo, che è la Chiesa, considera Cristo e la Chiesa come un tutt'uno.

Vuol dire che Gesù Cristo è sempre vivo e all'opera nella sua Chiesa, che è il suo Corpo, e in ciascuno delle sue membra.

È sempre lo stesso Cristo che oggi completa, mediante san Paolo, ciò che manca alla misura di sofferenza che il Cristo totale, cioè il Corpo in unione col Capo glorificato, deve patire.

Senza dubbio noi non possiamo aggiungere nulla alla sofferenza redentrice del Cristo personale; ma occorre che la Chiesa, il Corpo attuale di Cristo, io stesso, in cui vive Cristo mediante la fede, il battesimo, l'eucaristia e l'unzione dei malati, sia reso « conforme » a Cristo nella sua sofferenza per me.

Come redentore Cristo ha compiuto tutto, ma occorre che io porti in me la sua morte, nello stesso spirito, con le stesse disposizioni.

Durante tutta la mia vita devo perfezionare nel mio cuore, nella mia carne l'immagine di Gesù crocifisso.

Ciò che manca alla passione del Cristo totale, cioe della Chiesa intera, Capo e Corpo, io lo completo, aggiungo « la mia piccola parte » soffrendo in me stesso in unione col Capo.

Manca a Cristo di soffrire in Paolo e in ognuna delle sue membra.

Perché questa sofferenza, dal momento che solo la sofferenza di Cristo ci salva?

È perché la salvezza deve essere proclamata ieri, oggi e domani; è perché la salvezza deve essere proclamata, non soltanto a parole, ma con gli atti ( verbis gestisque )

Se, come san Paolo, non conosciamo, non predichiamo che Gesù crocifisso, dobbiamo dare alla nostra vita la forma di Gesù crocifisso: dobbiamo presentare al mondo le stimmate di Cristo.

Dobbiamo « visibilizzare » Cristo nel suo atto decisivo: nel-dono-di-sé-a-gli-altri.

Ora, attraverso la nostra sofferenza, associata a quella di Cristo, noi assomigliamo talmente a Cristo nel suo atto redentivo, che diventiamo i suoi testimoni viventi e attuali: rappresentiamo Cristo consegnato, offerto per tutti.

Inoltre, per tutti coloro che sono lontani da noi, la sofferenza ha un potere d'intercessione.

San Paolo soffre per i Colossesi, che non ha evangelizzato: ne è lontano fisicamente perché è prigioniero.

Eppure soffre per loro, perché crede al rapporto mistico che unisce tra loro tutte le membra del Corpo di Cristo.

I « sofferenti » sono talmente vicini a Cristo, talmente « simili » a lui, che sono le membra più attive, più potenti del suo Corpo.

Non è senza ragione che la Chiesa primitiva considerava i martiri speciali e potenti intercessori.

Infatti, chi più dei martiri, più dei sofferenti, ha meglio conosciuto la condizione di Cristo abbandonato, torturato, consegnato per noi?

Chi ha vissuto più in comunione di vita e di pensiero con lui?

Chi è stato maggiormente il suo confidente?

Dottrina stupendamente espressa da Pascal, nella sua Preghiera per il buon uso delle malattie: « Signore, non vi chiedo ne la salute, ne la malattia, ne la vita, ne la morte; ma che voi
disponiate della mia salute e della mia malattia, della mia ( vita e della mia morte, per la vostra gloria, per la mia salvezza e per l'utilità della Chiesa e dei santi …

E poiché nulla è gradito a Dio se non è offerto mediante voi, o Cristo, unite la mia volontà alla vostra, i miei dolori a quelli che voi avete offerto.

Fate che i miei diventino i vostri.

Unitemi a voi; riempitemi di voi e del vostro Spirito Santo.

Entrate nel mio cuore e nella mia anima, per portare le mie sofferenze, e per continuare a patire in me ciò che resta da soffrire della vostra passione, che voi completate nelle vostre membra fino al perfetto compimento del vostro Corpo; affinchè essendo pieno di voi, non sia più io che vivo e che soffro, ma siate voi a vivere e soffrire in me, o mio Salvatore ».5

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5 B. PASCAL, Oeiivres complètcs (a cura di J. Chevalier), Plèiade, Paris, 1954, pp, 613-614.