Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo dodicesimo - I

I. Atteggiamento e linguaggio attuale nel mondo occidentale

Nel medio evo, e fino a un'epoca abbastanza recente, si moriva giovani.

La guerra, le epidemie, l'inesistenza degli antibiotici, abbreviavano la vita e avvicinavano la morte.

Molto presto l'uomo si rendeva conto della sua fragilità e caducità.

Il salmo 90 dice dell'uomo: « Settantenni sono gli anni della nostra vita; ottanta per i più robusti ».

A cinquant'anni si può dire che l'impresa della vita si era compiuta.

Il malato era informato della sua prossima morte, del resto spesso presentita, perché le malattie un po' gravi erano sempre mortali.

Questo ruolo d'informatore era assunto dai parenti o dall'amico più vicino.

Il morente non doveva essere privato della sua morte.

Ogni membro della famiglia, compresi i bambini, sfilavano nella camera del malato, che benediceva ciascuno, parlava a ciascuno, esprimeva le sue ultime volontà, riceveva il viatico.2

Oggi, il malato, è trattato come un « minore ».

Non deve sapere che sta per morire: tutti devono recitare la commedia e far finta di non saperlo.

La morte è diventata un soggetto « tabù », come un tempo il sesso.

Si cerca di nascondere l'evento morte, di mascherarlo.

L'urbanizzazione e lo sviluppo della medicina, hanno fatto sì che più della metà della popolazione muoia all'ospedale o all'ospizio, di fronte a un personale medico anonimo.

I compagni di camera sono spesso coloro che sanno di più e che aiutano di più.

Mediante una specie di « patto sociale » si evitano le scene di pianto e di angoscia.

Si danno al morente delle medicine che rendono il servizio medico più facile e che tengono il malato nell'euforia fino all'ultimo momento.

La morte non deve turbare i vivi.

Occuparsi della morte significa oggi scoprire le tecniche e le tattiche più adatte a ridurre i traumi che la morte introduce in seno alla vita quotidiana, all'ospedale o in casa.

Si deve sparire in punta di piedi!

È ciò che si chiama an accep fobie style of facing death - un modo conveniente di vivere durante la propria agonia - che evita una morte scomoda e sgradevole.

Reciprocamente i vivi non devono sembrare turbati dalla morte.

Un tempo il lutto era la manifestazione per eccellenza del dolore; si prolungava per mesi e per anni.

All'abitudine millenaria del lutto è succeduta la sua proibizione.

Non è conveniente mostrare la propria pena, ne avere l'aria di sentirla.

Questa proibizione o assenza del lutto conduce spesso il sopravvissuto alla solitudine, alla depressione.

Si imbalsama il cadavere perché sembri bello, quasi vivo.

In salotto si chiacchiera, si ride, si beve, si getta sulla bara uno sguardo furtivo, si prega raramente.

Un tempo si informavano i bambini della nascita dei piccoli dicendo che … nascevano come i cavoli; oggi si informano della morte dei morenti dicendo che se ne vanno come fiori.

Nei nostri paesi industrializzati, le cerimonie funebri diventano un avvenimento « sociale ».

Si onora la morte, senza però darle il suo statuto di morte.

L'industria delle pompe funebri prospera.

I cimiteri sono giardini fioriti e luoghi di passeggiata.

Inoltre, i cimiteri essendo saturi, si procede alla cremazione che da spazio e riduce lo « stress ».

Nelle conversazioni si riduce la morte a un fenomeno fisico, medico, così come la nascita, la malattia, l'invecchiamento; a un fenomeno sociale come la natalità, la nuzialità ( la popolazione aumenta mediante le nascite, diminuisce mediante la morte ); a un fenomeno legale che arricchisce gli archivi del municipio.

Nessun mistero, ma un fenomeno empirico al quale l'impersonalità delle statistiche toglie ogni carattere di tragedia.

I morti provocano mutamenti, promozioni e nomine.

Paradosso dell'uomo contemporaneo: si accanisce a lottare medicalmente contro la morte, ma con lo stesso ritmo con cui si accanisce a produrre armi per distruggere l'umanità.

Sappiamo tutti che moriremo, ma tutti lavoriamo come se non dovessimo mai morire.

I nostri funerali sono sempre più discreti e l'antico carro funebre, color nero e argento, è diventato una banale vettura che si perde nel traffico della città, appena rallentato dai semafori.

Si tende a fare del dramma della morte un fatto di cronaca pubblicato dai giornali, per essere poi altrettanto rapidamente dimenticato.

Eppure la morte rimane un avvenimento incommensurabile, un naufragio senza scampati.

Ciò che stupisce nel mondo attuale, non è la paura della morte, è la sua dimenticanza.

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2 P. ARIÈS, «La mort inversée », La Maison-Dieu 101 (1970), pp. 58-59; In., L'homme devant la mort, Paris, 1977, pp. 553-595; L.-V. THOMAS, Anthropologie de la mort, Paris, 1975 (trad. it. cit.).