Gesù Cristo rivelazione dell'uomo

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Capitolo dodicesimo - V

V. Posizioni e proposizioni sulla morte

Molteplici sono i tentativi dell'uomo per decifrare l'enigma della morte.

Considereremo tre posizioni che hanno ciascuna la loro nobiltà, anche se non toccano la sublime grandezza della risposta cristiana.

1. Nel concetto socratico della morte, così come lo descrive Platone nel Fedone, la morte è considerata come una separazione dal corpo che muore, mentre l'anima immortale continua a vivere.

Essendo il corpo la prigione dell'anima, questa desidera disfarsene per arrivare alla vera vita che è conoscenza e contemplazione di idee immortali.

Per il cristiano, al contrario, l'uomo, dal più profondo del suo essere desidera il compimento totale della sua esistenza, corpo e anima, non essendo il corpo un elemento negativo, ma parte sostanziale dell'uomo.

Lo scopo della vita perfetta è l'incontro del Dio personale, nell'amore e nella verità.

Nel Fedone, la separazione dell'anima dal corpo è rappresentata come l'apice del processo di purificazione dell'anima che si distacca dalla materia.

L'elemento di mortalità, che è nell'uomo, scompare con la morte, mentre l'immortale e l'indistruttibile dimora intatto, al riparo dalla morte.

Per il cristiano al contrario, la morte è il vertice della disarmonia introdotta dal peccato.

Non muore soltanto il corpo, ma tutto l'uomo, nella sua realtà globale: spirituale e corporale.

La morte che teme il cristiano è dunque la morte amata da Socrate.

Per Platone, l'uomo giunge a un'idea chiara del senso della morte; per il cristiano, al contrario, la morte resta un mistero che solo la fede riesce a illuminare.

La morte di Socrate, sobria, volontaria, è una morte ideale, idealizzata, senza spasimi; ma non regge di fronte a tante morti violente, atroci, brutali, avvilenti, diabolicamente raffinate, che fanno parte dello scenario della morte umana, e così ben descritte dalla letteratura del nostro tempo.

La morte di Socrate è un vertice del paganesimo antico.

Ma la morte del Crocifisso, assumendo le morti più ignobili, nell'abbraccio del più grande amore, è un vertice oltremodo più elevato.

Il cristianesimo mantiene insieme la seduzione e la paura della morte.7

2. Per Jean-Paul Sartre, non c'è ragione di interiorizzare e di personalizzare la morte per farne un'ultima possibilità di compimento, perché, al contrario della vita che è slancio, progetto, libertà, la morte è rottura, frattura, limite tutto esterno.

Lungi dal dare un senso alla vita, le toglie ogni significato.

La morte, come la nascita, è inattesa e assurda.

Si nasce senza motivo, si muore per caso e inoltre la morte toglie all'uomo la sua libertà e annienta tutte le sue possibilità di realizzazione.

Essa ci getta in preda ai vivi, alla mercé dei loro giudizi.8

Partendo dallo stesso orizzonte, Albert Camus conclude diversamente.

Al centro della vita, vi è l'uomo, con la sua vita assurda, priva di senso: piena di dolori e limitata dalla morte.

Ciò che appare è la vita che tende alla pienezza, mentre la morte è fonte di assurdità.

La vita ha la prima parola, ma la morte ha sempre l'ultima.

Che fare allora? Accettare la vita nella sua assurdità, poi esercitare la propria libertà per dare un senso a questa assurdità.

Davanti a un destino comune a tutti gli uomini, Camus dichiara che, lungi dall'isolarsi, occorre rendersi solidali con la sofferenza e con la morte degli altri.

Questa solidarietà deve manifestarsi specialmente nei riguardi dei più umili, dei più sofferenti.

Così, di fronte al destino amaro della morte che infrange la libertà e le aspirazioni di ciascuno, Camus si rinchiude in una specie di autosufficienza mediante la quale da a se stesso il suo valore: la solidarietà col mondo della sofferenza.

Camus mantiene davanti alla morte la libertà e la solidarietà con gli altri, ma non riesce a far sfociare questa libertà e questo amore in un rapporto di fiducia filiale in Dio.

Questa concezione di Sartre e di Camus illustra bene il contrasto irriducibile che esiste tra il dinamismo della libertà che aspira alla pienezza della vita e l'abisso enigmatico della morte.9

3. Il marxismo non prende in considerazione la morte come « mia », cioè come crisi e come angoscia personale.

Il superamento della morte si trova nella dedizione incondizionata alla causa, al partito, al mondo nuovo che si edifica.

Per il marxista la morte è superata dalla soddisfazione di essere stato strumento efficace della promozione dell'uomo in seno alla collettività, con la certezza che l'opera continuerà e finalmente trionferà.

Se vi è un paradiso, esso è nel cuore dei compagni di lavoro che si ricorderanno e troveranno nell'esempio dello scomparso uno stimolo per la lotta.10

4. A dire il vero, al mistero della morte non può rispondere che un altro mistero: quello della morte di Cristo, solo esegeta della morte.

Dio non ha fatto l'uomo per la morte, ma per l'immortalità.

Per la fede cristiana, l'uomo non è un essere per la morte, ma per la vita: ciò significa affermare e insieme superare la morte.

La vita ha un senso, perché la morte ha un senso: è un passaggio che sfocia sulla vita.

La rivelazione intera, a questo proposito, è una rispósta all'enigma e allo scandalo della morte; la teologia intera è una teologia della morte per la vita.

Il prefazio dei defunti giustamente dice: vita mutatur, non tollitur.

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7 Lo spiritualismo cattolico di Michele Federico Sciacca presenta una visione della morte che ha delle affinità con quella di Socrate. Sciacca, infatti, vede soprattutto nella morte il momento della prevalenza dell'immortalità dello spirito umano.
La morte è violenta in questo senso che lo spirito vuole la fine del corpo per liberarsi della limitatezza che paralizza il suo compimento.
Lo spirito tende verso l'infinito della verità. Sciacca, sopravalutando l'immortalità dello spirito, mette in sordina, nella morte, il problema della morte come morte dell'uomo, come problema della persona umana (M. F. SCIACCA, Morte e immortalità, Milano, 1962).
8 M. BORDONI, Dimensioni antropologiche della morte, Roma, 1969, pp. 29-35.
9 F. ORMEA, Superamento della morte, Torino, 1970, pp. 153-161.
10 G. MARTELET, Victoire sur la mort, Paris, 1962, pp. 43-84.