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VII - Divertimento

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Divertimento.

Se l'uomo fosse felice, tanto più lo sarebbe quanto meno fosse distratto da questa sua condizione, come i santi e Dio.

- Sì, ma la felicità non consiste forse proprio nei piaceri del divertimento?

- No, perché questi vengono da altri e da fuori; e così sono labili e soggetti ad essere turbati da infiniti accidenti, che rendono inevitabile l'afflizione.

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Divertimento.

Poiché gli uomini non sono riusciti a guarire dalla morte, dalla miseria e dall'ignoranza, hanno deciso di essere felici non pensandoci.

Nonostante queste miserie l'uomo vuole essere felice e non vuole altro e non può non volerlo.

Ma cosa potrà fare?

Bisognerebbe che diventasse immortale, ma non riuscendoci si è proibito di pensarvi.

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Sento che potrei non essere esistito, l'io infatti coincide con il mio pensiero, dunque io che penso non sarei esistio se mia madre fosse stata uccisa prima di mettermi al mondo; dunque non sono un essere necessario.

Non sono neppure eterno, né infinito, ma vedo bene che c'è nella natura un essere necessario, eterno e infinito.

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Divertimento.

Quelle volte in cui mi sono messo a considerare le diverse forme d'inquietudine degli uomini, i pericoli e i dolori a cui si espongono, a Corte, in guerra, e da cui sorgono tante liti, passioni, imprese audaci e spesso malvagie, mi sono detto che tutta l'infelicità degli uomini viene da una sola cosa, non sapersene stare in pace in una camera.

Un uomo che abbia abbastanza da vivere, se provasse piacere a restare in casa, non ne uscirebbe certo per andare in mare o all'assedio di una cittadella; e se non trovasse insopportabile rimanere in città, mai più si comprerebbe a caro prezzo una carica nell'esercito; e si cercano le conversazioni e gli svaghi del gioco perché non si sa rimanere piacevolmente a casa.

Ma quando, avendoci riflettuto maggiormente, ho trovato la causa di tutte le nostre disgrazie, ho pensato che ce n'è una davvero autentica, che consiste nell'infelicità naturale della nostra condizione debole, mortale e così miserabile che niente ci può consolare quando ci pensiamo seriamente.

Qualunque condizione possiamo immaginare, che contenga tutti i beni possibili, la regalità rimane il più bel posto del mondo, e tuttavia immaginiamo un re circondato da tutti i piaceri che può ottenere.

Appena cessa ogni distrazione, lasciato a meditare e riflettere su ciò che è, tutta la sua fragile felicità non servirà a sostenerlo; cadrà necessariamente nei minacciosi pensieri delle rivolte che possono sopraggiungere, e infine della morte e delle inevitabili malattie, così che se rimane senza quello che chiamiamo divertimento, eccolo infelice, anzi più infelice dell'ultimo dei suoi sudditi che giochi e si diverta.

Da ciò deriva che il gioco e la conversazione con le donne, la guerra, gli incarichi importanti, sono così ricercati.

Non certo perché racchiudano la felicità, né perché si pensi che la vera beatitudine consista nell'avere il denaro che si può vincere al gioco, o nella lepre che s'insegue; le stesse cose, se ce le offrissero, non le vorremmo.

Non cerchiamo certo questa pratica esangue e monotona, che ci lascia pensare alla nostra infelice condizione, né i pericoli della guerra, né le seccature degli incarichi, ma la confusione che ci allontana dal pensarvi e ci distrae.

Ecco perché gli uomini amano tanto il rumore e il trambusto.

Ecco perché la prigione è un supplizio così orribile, e il piacere della solitudine una cosa incomprensibile.

E infine, il motivo più grande per cui la condizione dei re è una condizione felice, sta nel fatto che si tenta incessantemente di divertirli e di procurare loro ogni tipo di piacere.

Questo è tutto quello che gli uomini hanno saputo inventare per essere felici; e quelli che filosofeggiano su tutto ciò, dicendo che la gente è proprio priva di ragione se passa tutto il giorno a correre dietro a una lepre che non vorrebbe comprare, non conoscono affatto la natura umana.

Non è la lepre a difenderci dai pensieri della morte e delle miserie che ci circondano, ma la caccia.

E così, quando li si rimprovera di cercare con tanta foga ciò che non potrà appagarli, se rispondessero, come dovrebbero qualora ci riflettessero, che in tutto ciò cercano un'occupazione violenta e impetuosa che li allontani dal pensare a sé, e che è per questo che si prefiggono uno scopo attraente che li affascini e li seduca ardentemente, lascerebbero i loro avversari senza replica.

Ma non è questo che rispondono, perché non conoscono se stessi.

Non sanno di cercare la caccia e non la preda.

Essi pensano che se ottenessero quella carica, in seguito si riposerebbero piacevolmente, senza accorgersi dell'insaziabile natura della loro cupidigia; credono in perfetta buona fede di cercare il riposo, mentre non inseguono che l'affanno.

Obbediscono a un segreto istinto che li spinge a cercare fuori di sé il divertimento e l'occupazione, che viene dalla coscienza delle loro continue miserie.

Ma c'è anche un altro istinto segreto, un ricordo della grandezza della nostra prima natura, che li rende consapevoli di come la felicità risieda nella quiete, non nel tumulto, e questi due istinti contrari formano in loro una prospettiva confusa, nascosta a loro stessi in fondo all'anima, che li spinge a perseguire il riposo tramite l'agitazione, e a illudersi ogni volta che l'appagamento che non conoscono arriverà quando, dopo aver superato le difficoltà di cui sono consapevoli, si apriranno loro le porte del riposo.

Così scorre tutta la vita; si cerca la quiete affrontando gli ostacoli ma, quando li abbiamo superati, il riposo diventa insopportabile per la noia che procura; dobbiamo uscirne mendicando un po' di agitazione.

Perché pensiamo sempre alle miserie presenti o a quelle che ci minacciano.

E anche quando ci sapessimo abbastanza al sicuro da ogni parte, la noia, con la sua consueta autorità, non smetterebbe di uscire dal fondo del cuore dove ha radici naturali, colmando lo spirito di veleno.

L'uomo è così infelice che per annoiarsi non ha bisogno di motivi, gli basta la condizione della sua natura.

Ed è così fragile che pur essendo pieno di mille motivi validi per annoiarsi, è sufficiente una piccolissima cosa, come un biliardo e una palla, per distrarlo.

Perché quell'uomo che da pochi mesi ha perso il suo unico figlio e che ancora questa mattina, preso da processi e litigi, era così turbato, ora non ci pensa più?

Non vi stupite, è troppo intento a vedere da che parte passerà il cinghiale che i cani inseguono con tanta energia da sei ore: basta questo.

Per quanto un uomo sia colmo di tristezza, se si riesce a distrarlo in qualche modo, eccolo felice in quel lasso di tempo; ma per quanto un uomo sia felice, se non si diverte o non è preso da qualche passione o passatempo che impedisca a la noia di prendere il sopravvento, diventerà in breve triste e infelice.

Senza distrazioni non c'è gioia; con le distrazioni non c'è tristezza; ed è proprio questo che costituisce la felicità delle persone di elevata condizione, avere un gran numero di individui che le distraggono, e poter mantenere questa situazione.

Se ci pensate, cos'altro significa essere sovrintendente, cancelliere, primo presidente, se non trovarsi nella condizione in cui, fin dal mattino, c'è una quantità di gente che viene da ogni parte per non lasciare loro neppure un'ora in tutta la giornata per poter pensare a se stessi.

E quando cadono in disgrazia e vengono rimandati alle loro case di campagna, dove certo non mancano di beni né di servitù per assisterli nelle loro necessità, non smettono un istante di sentirsi miserabili e abbandonati perché nessuno impedisce loro di pensare a se stessi.

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Divertimento.

La dignità reale non è abbastanza grande per colui che la possiede da renderlo felice al solo pensiero di ciò che è?

Sarà forse necessario distrarlo da questo pensiero come la gente comune?

So bene che per rendere felice un uomo basta distrarlo dalle sue miserie famigliari e non farlo pensare ad altro che a danzare bene, ma sarà lo stesso con un re, e si sentirà più felice rincorrendo questi futili passatempi piuttosto che contemplando la propria grandezza?

Quale scopo più gratificante gli si potrà indicare?

Non sarà fare torto alla sua felicità spingere la sua anima a preoccuparsi di regolare i passi alla cadenza di una melodia, o di mettere al posto giusto una sbarra, invece di lasciargli godere tranquillamente lo spettacolo della gloriosa maestà che lo circonda?

Proviamo, lasciamo un re completamente solo, senza alcuna soddisfazione per i sensi, senza alcuna preoccupazione nello spirito, senza compagnie, del tutto libero di pensare a se stesso, e si vedrà che un re privo di distrazioni non è che un uomo pieno di miserie.

Perciò si evita questo accuratamente, e accanto alle persone della famiglia reale non manca mai chi si preoccupa di alternare i divertimenti agli affari di stato, e chi tiene conto del loro tempo libero per occuparlo con cose piacevoli e giochi, affinché non ci siano vuoti.

Voglio dire che sono attorniati da persone che hanno l'eccezionale dovere di impedire che il re rimanga solo e in condizione di pensare a sé, ben sapendo che, per quanto sia re, pensandoci si sentirebbe miserabile.

Con tutto ciò non intendo parlare dei re cristiani come cristiani, ma solo come re.

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Divertimento.

È più facile sopportare la morte senza pensarvi che il pensiero della morte senza pericolo.

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Divertimento.

Fin dall'infanzia opprimiamo gli uomini con le preoccupazioni per il loro onore, i loro beni, i loro amici, e ancor più per i beni e l'onore dei loro amici, li opprimiamo con le preoccupazioni, con l'apprendimento delle lingue e gli esercizi, e facciamo loro credere che non potranno essere felici se la loro salute, l'onore, la fortuna, e quelle dei loro amici non saranno in buone condizioni, e che sarà sufficiente la mancanza di una sola cosa per renderli infelici.

Così si danno loro incarichi e affari che li mettono in agitazione fin dall'alba.

- Ecco, direte, un modo ben strano per renderli felici; si potrebbe escogitare qualcosa di meglio per renderli infelici?

- Come, cosa si potrebbe escogitare?

Basterebbe togliere loro tutte le preoccupazioni, perché allora si vedrebbero e penserebbero a ciò che sono, da dove vengono, dove vanno, e per questo non li si occupa e non li si distrae mai abbastanza.

Per questo, dopo avergli preparato tante occupazioni, se resta loro qualche momento di tregua, li si consiglia di impiegarlo a divertirsi, a giocare, a impegnarsi sempre totalmente in qualcosa.

Com'è profondo il cuore dell'uomo e pieno di abiezione!

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