Gli stati di vita del cristiano

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Lo sviluppo dei due stati d'elezione

Non si tratta qui di ripercorrere lo sviluppo storico dello stato presbiterale e dello stato religioso e le loro complesse relazioni nel corso dei secoli, ma semplicemente di presentare ciò che nei loro reciproci rapporti è fondamentale, teologicamente rilevante.

Ci si deve in questo attenere, come sempre allorché si tratta di verità del « depositum fidei », non solo all'immagine esteriore, quale può offrirla l'osservazione storica mondana, ma alle leggi dello sviluppo del dogma, quali sono state formulate per l'epoca antica da Vincenzo di Lerino, per l'epoca moderna da Newman.

Se ad un primo sguardo certi dogmi e verità possono apparire quasi assenti nei primi secoli, essi erano tuttavia anche allora realmente ( sebbene implicitamente, più « vissuti » che riflessi ) presenti sin dall'inizio, in maniera riconoscibile per la contemplazione teologica della Chiesa.

Ciò vale in misura eminente per lo sviluppo dello stato d'elezione nelle sue due forme di stato presbiterale e stato religioso, e precisamente tanto per la sua unità quanto per la sua differenziazione.

Si comprende lo sviluppo esattamente solo se per la consapevolezza dei primi secoli si cerca di avere in mente contemporaneamente ambedue le affermazioni ( solo apparentemente non unificabili ): che c'è un unico stato d'elezione, e perciò solo una forma fondamentale di « perfezione » cristiana, che quindi deve apparire realizzata in ognuno degli appartenenti a questo stato, e che d'altra parte le singole espressioni ( Auspragungen ) di questa perfezione cristiana, ad esempio il prete, il martire, la vergine, l'anacoreta e il cenobita, posseggono rispettivamente il loro proprio carattere inconfondibile.

Proprio perché nel Nuovo Testamento l'unità personale e obiettiva di sacerdozio ministeriale e soggettivo viene presentata con tale peso, non sorge per il momento, pur tenendo conto di ogni singola distinzione di maniera di vivere, il pensiero di fissare diversi canoni di perfezione evangelica.

L'elemento comune sta in primo luogo nel « carattere di stato » ( Stand-haftigkeit ) della vita evangelica in generale, cioè nella solidità e definitività della decisione per una vita conforme ai consigli e alle istruzioni del Signore.

È la « quaedam immobilitas », che Tommaso esigerà più tardi come fondante lo stato ( S Th II II, q 183 a 1 ), e che vista cristianamente deve essere non solo un aspetto esteriore temporale, ma un aspetto interiore dell'intensità della decisione.

Così il cristianesimo delle origini, orientato escatologicamente, può trovare questa intensità come concentrata puntualmente nella forma di santità escatologica del martire, che al di là della durata temporale realizza pienamente nella morte l' « una volta per tutte » della decisione, quale corrisponde allo « stato della perfezione ».

E non è strano che i secoli successivi sviluppino le forme di vita secondo i consigli, che a poco a poco sbocciarono, a partire da questa forma superiore al tempo: verginità e monachesimo sono martirio perpetuo; incruento, ma continuato nel tempo.

Il cristiano di quel tempo vedeva nei primi tentativi di una configurazione della vita nel senso dei consigli evangelici soprattutto la disposizione interiore: la volontà di un'offerta totale, di quel voto interiore che offre tutto e che poi diventò presto anche un voto esteriore, ecclesiastico, quale ad esempio il voto pronunciato dalle vergini nelle mani del vescovo, dai monaci in quelle dell'abate.

Di fronte a questo aspetto essenziale le domande del diritto canonico se un tale voto è semplice o solenne, se esso rende invalido un successivo matrimonio oppure no, rimangono secondarie, anzi esse appaiono in gran parte anacronistiche, poiché retro-proiettano una posteriore coscienza differenziata in un tempo che pensava semplicemente e unitariamente, e ancora faceva appena attenzione alle distinzioni ( cfr. la polemica di H. Koch, Virgines Christi, T.U. 31 [1907], 62-112, con Schiwietz, Das morgen-làndische Mónchtum, i [1904] e Wilpert, Die gottgeveihten Jung-frauen in den ersten Jahrhunderten der Kirche [1892]; specialmente Koch, 109-112 ).

Importante per quel tempo è la decisione dello stato, che in quanto interiore ed esteriore allo stesso tempo trasferisce nello stato di perfezione, di appartenenza a Dio ( « così pròthesis, omologhici [ … ], proàiresis apparvero in Clemente come concetti sinonimi [ … ] se egli con ciò avesse in mente un voto vero e proprio rimane incerto » Koch, 96. Ma cosa significa qui « voto vero e proprio »? ).

Dall'abbondante letteratura sullo stato verginale risulta chiaramente che i cristiani consideravano questo stato come la maniera di vivere la perfezione evangelica; che nel caso delle vergini, anche laddove esse non rinunciavano espressamente ai beni esteriori, a motivo della verginità veniva presupposto almeno l'atteggiamento assoluto della povertà, e anche quello di una dedizione al Signore come sposo, che, anche se ancora implicitamente, includeva in un senso ecclesiale più ristretto l'atteggiamento dell'obbedienza.

La vergine si è consacrata a Dio « tam carne quam mente » ( Cipriano, De hab. virg., Hartel i, 189 ).

Lo stesso vale in grado ancora più alto per le prime configurazioni della vita monastica, nelle quali, viste complessivamente, è soprattutto sorprendente quanto rapidamente l'implicita presenza dei tre « voti » si sia trasformata in una presenza riflessa ed esplicita, quanto rapidamente soprattutto nelle vite dei monaci l'obbedienza sinora rimasta ancora in ombra sia stata riconosciuta come essenziale, praticata e fondata teologicamente.

Di fronte a ciò lo sviluppo dello stato clericale percorre la sua propria strada.

La concessione del matrimonio dei preti ( necessaria all'inizio, come abbiamo detto ) ottiene provvisoriamente nelle lettere pastorali un rafforzamento.

Con ciò viene presa anche una certa distanza, necessaria per il clero, dall'esigenza di totale povertà evangelica, e così è già posta una base per l'esplicita separazione, sorta molto più tardi, di stato secolare e stato regolare.

Ma per il momento i chierici formano nient'altro che un ramo speciale dello « stato d'elezione », nel quale si entra con un « voto » ( esplicito o implicito ), con un « propositum » o « votum » o « professio», attraverso cui si diventa un « consacrato a Dio », un religioso.

L. Hertiing ( Die professio der Kleriker una die Entste-hung der drei Gelùbde, ZKTh 56 (1932) ha dimostrato sulla scorta di un gran numero di testi che le espressioni e i concetti citati furono impiegati senza distinzione tanto per le vergini, quanto per i monaci, come per i chierici; che anche il chierico fu indicato come religioso, il quale fa la « religiosa professio », la « sacra professio », la « deifica professio », « in religionis professione vivit, se Deo devovit ac tradit » ( ibid. 151 ).

Hertiing perviene al risultato « che i tre stati ecclesiali: chierici, monaci e vergini in senso generale vennero valutati alla pari, che tutti e tre rappresentano una consacrazione della propria persona a Dio e un'irrevocabile assunzione di sacri obblighi, che tutti e tre contengono qualcosa di ciò che noi oggi indichiamo teologicamente come « voto ».

Espresso altrimenti: « Se noi guardiamo alla « professio » dei monaci ( anche senza promesse parziali singolarmente espresse e formalmente elaborate ) come a qualcosa che contiene in sé la dimensione del voto, vale lo stesso anche per la « professio » dei chierici; e se sin dall'inizio consideriamo il « propositum » delle vergini come un voto, dobbiamo allora collocare sul medesimo piano il « propositum » dei chierici e quello dei monaci » ( ibid. 153-154 ).

Il « propositum» dei monaci fu sin dall'inizio « la piena dedizione a Dio; il monaco promette nella sua « professio » di offrire se stesso e tutto ciò che ha » ( ibid. 155 ), quello delle vergini si sviluppa sempre più da un esplicito voto di castità alla stessa offerta totale, e si conforma così sempre più a quello dei monaci ( ibid. 157-160 ).

Il «propositum » dei chierici percorre perciò una via sua propria, perché quello complementare delle vergini e dei monaci fu dapprima espressamente un affare di laici nella Chiesa.

Questa circostanza si farà sentire fortemente anche nella riflessione teologica ( tanto più presso Crisostomo, Dionigi Areopagita e anche presso Gerolamo ) e per un certo periodo di tempo oscurerà l'originaria unità evangelica dello stato d'elezione.

Se per le vergini era la castità la base e il punto di partenza della vita perfetta, e per i monaci soprattutto la povertà, così per i chierici lo è l'obbedienza nei confronti del vescovo, la vita nella dipendenza esteriore dalla Chiesa.

A poco a poco si impone il celibato, e cioè il candidato all'ordinazione deve fornire una formale promissio, sponsio o professio, quindi senza dubbio un voto.

Più tardi verrà indicato espressamente come « religionis votum, castitatis votum » ( Hertiing 161 ).

Sin dall'inizio questa professio comprende in sé anche « sanctae vitae disciplinam », la quale include per lo meno lo spirito di semplicità, generosità e di conseguenza povertà.

Sempre nuovamente spuntano tentativi di esigere per lo stato clericale la perfetta povertà, che nel Vangelo viene presentata come condizione e porta d'ingresso alla perfezione.

Agostino non ammette nel suo clero nessuno che possegga una proprietà privata.

Egli intraprende con ciò niente di meno che il tentativo di erigere l'intera vita evangelica secondo i consigli tipica dei primi discepoli come forma di vita del clero, e così di rendere ancora una volta uguali le diverse caratterizzazioni dell'unico propositum, dell'unica professio.

Eusebio da Vercelli e Ambrogio l'avevano preceduto con l'esempio, tentando di introdurre nelle loro famiglie clericali soprattutto la vita comune e la proprietà comune.

Tensioni nella medesima direzione s'incontrano lungo tutto l'alto Medioevo.

Cfr. Urbano II, Sinodo del 1159, can. 4: « Quelli dei suddetti gradi dell'Ordine Sacro ( prete, diacono, suddiacono ), che obbedendo al nostro predecessore ( Leone IX ) si attengono alla castità, devono nelle Chiese in cui sono consacrati, come si addice a chierici devoti ( sicut oportet religiosos clericos ), mangiare insieme, dormire insieme e avere insieme i proventi ecclesiastici.

E noi preghiamo ed esortiamo che essi tendano seriamente a giungere al modo di vivere apostolico, cioè in comune » ( ibid. 350 ).

Il modo di vivere apostolico è qui quello della totale mancanza di possesso, nello stesso senso e grado in cui è « modo di vivere evangelico » la totale continenza.

Quando Agostino formula l'affermazione: « Clericus duas res professus est: et sanctitatem et clericatum » ( De vita et mor. cler. 4, PL 39, 1573 ), esige l'originaria unità evangelica di funzione e vita, di sacerdozio soggettivo e oggettivo.

La forma di tale santità è fondata per i chierici nei canoni, come per i monaci nella regola.

Sotto questo concetto sta tutto quello che nella Scrittura, nella Tradizione e nelle decisioni conciliari costituisce l'ideale del prete ideale secondo l'intenzione di Cristo e della Chiesa.

« I « cànones » vengono essi stessi contrassegnati come « regula ».

Dal settimo secolo questi due ( la « regula », e cioè la « regula S. Benedicci », per i monaci, e i « canones » per i chierici ) appaiono sempre l'uno a fianco dell'altro.

In un sinodo gallico del nono secolo si dice che entrambi [ … ] sono dati dal medesimo Spirito Santo » ( 163 ).

Questo getta una luce sulla preistoria del cosiddetto clero regolare.

I primi undici secoli conoscono fondamentalmente, nonostante ogni distinzione fra chierici ( che si chiamano anche indifferentemente canonici, o regolari, poiché vivono secondo i canoni, cioè secondo le regole ideali e giuridiche del Vangelo e dei Padri, dove « regula » non è nient'altro che la traduzione di « canon » ), monaci e vergini, solo un unico « stato di perfezione », che nella sua totalità si pone di fronte allo stato dei laici nel mondo.

A partire dal tempo di S. Benedetto la regola diventa in misura crescente il canone dei monaci, di fronte al quale gli altri gruppi di monaci e i chierici unitariamente si distaccano come « regolari », poiché sottostanno non ad una regola particolare, ma agli universali canoni ecclesiali come loro forma di vita.

« I canoni sono per il chierico esattamente quello che per il monaco è la regola » ( 163 ).

« Il sorgere dei canonici regolari nella seconda metà dell'undicesimo secolo non è da immaginare come se in questo tempo i preti secolari avessero vissuto insieme, per emettere i voti alla maniera dei monaci.

Chierici « secolari » non ce n'erano ancora allora, per lo meno « de iure ».

Ogni chierico era « Deo devotus, religiosus, sub sacra professione vivens ».

L'intenzione della riforma del clero dell'undicesimo secolo non era di creare qualcosa di nuovo, ma solo di riportare in vigore in tutte le sue dimensioni l'antica concezione di stato clericale come stato di vita santo, e questo specialmente ridando vita agli antichi « canones » » ( 164-165 ).

« Non la professio della regola di S. Agostino ha fatto sorgere o ha formato l'Orde Canonicorum; esso era già formato allorché si assunse questa regola per avere in mano, al posto dei « canones » semplicemente ideali e diversamente interpretabili, un documento che potesse sostenere la concorrenza della « regula monasteriorum » di S. Benedetto" ( 166 ).

Lasciamo ancora la parola a Hertiing per la sua descrizione della Riforma Gregoriana, nella quale per la prima volta cominciò a porsi di fronte al clero « regolare » o « religioso » qualcosa come un clero « secolare ».

« La riforma del clero dell'undicesimo secolo è un imponente tentativo di fare dell'insieme del clero dei monaci.

Lo scritto di S. Pier Damiani « Contra clericos regulares proprietarios » si indirizza non a « chierici regolari » nel senso odierno, ma a tutto l'orde canonicus, a tutti i chierici, a tutti coloro che credono che essendo chierici regolari o canonici possono tuttavia possedere delle proprietà.

Pier Damiani, richiamandosi ad Agostino, controbatte: « Un chierico che possegga denaro non può essere proprietà o eredità di Cristo, o possedere in eredità Dio ».

E in un altro scritto dice: « È certo che l'intera Chiesa è stata fondata da monaci, non da canonici ( … )

Se voi leggete il Nuovo Testamento con occhi non prevenuti, troverete che gli Apostoli e i loro successori hanno vissuto alla maniera dei monaci, non dei canonici ».

È caratteristico dei sostenitori delle cosiddette idee gregoriane che essi si preoccupavano poco se i loro piani di riforma erano attuabili oppure no.

Ciò derivava non tanto da un fanatismo estraneo al mondo, quanto piuttosto dalla profonda convinzione di fede e dal forte idealismo di quegli uomini.

Diritti e doveri si imporranno, anche se ciò sembra ancora così improbabile, e fra bene e male non si scende ad alcun compromesso, andasse anche per questo in rovina mezzo mondo.

Questa era la politica di questi riformatori.

Sul terreno del celibato essa ha avuto col tempo un successo pieno, sebbene qui le prospettive non fossero proprio le più favorevoli ( … )

L'aspirazione a riempire l'intero clero di spirito monastico non ebbe certo un successo completo, ma pur sempre un successo molto grande.

Se si volesse indicare Gregorio VII e Pier Damiani come i creatori della pastorale dei membri dell'ordine presbiterale, si avrebbe in un certo senso ragione, certo non come se Gregorio e Pier Damiani avessero l'intenzione di fondare un nuovo ordine; ciò che essi volevano era condurre tutto il clero all'ideale monastico, ciò che essi ottennero fu che una parte di essi divennero monaci veri" ( Kanoniker, Augustinerregel una Augustiner orden, in ZKTh 54 [ 1930 ], 351-2 ).

« Riassumendo, lo sviluppo dei voti di stato di vita religioso si presenta all'incirca così.

All'inizio ci sono tre stati ecclesiali ( accanto al generale stato cristiano che riposa sui voti battesimali generali ): chierici, monaci e vergini, tutti e tre col voto proprio del loro stato, che viene indicato per tutti e tre come « propositum » o « professio », più raramente come « votum».

Il voto delle vergini si amplia a poco a poco in direzione del voto dei monaci, cosicché lo stato delle vergini va a confluire nello stato dei monaci, un processo che all'incirca nell'undicesimo secolo è compiuto.

Lo stato dei chierici si divide nell'undicesimo secolo in due metà.

Una prima metà adegua i suoi voti a quelli dei monaci, senza che però i canonici divengano veri monaci.

Con ciò ha luogo una ripartizione completamente nuova degli stati ecclesiali.

Il concetto di monaco si estende sino a comprendere quello di religioso.

Monaci, chierici regolari e vergini formano un comune stato, lo stato dei religiosi o « stato religioso », nei confronti del quale sta in concettuale opposizione l'altra metà dei chierici, separatasi come stato presbiterale secolare.

Nello stato religioso appare più chiaramente il concetto di voto ( o voti ), specialmente per l'introduzione della triade ascetica povertà, castità e obbedienza, ulteriormente elaborata speculativamente dalla Scolastica, e in modo speciale da Tommaso.

Per i preti secolari impallidisce il concetto di voto, però si mantiene la struttura dell'obbligo del celibato come « votum implicitum », e questo certamente non più come promessa d'obbedienza concepita alla maniera di un voto.

La divisione degli stati ecclesiali in religiosi e preti secolari è ora però solo una divisione in base al diritto canonico; nel senso ascetico, invece, appartengono anche i preti secolari ( adesso come prima ) allo stato della perfezione.

Essi sono consacrati a Dio, non solo per l'ordinazione sacramentale, ma in senso soggettivo-morale, e hanno in base al loro stato di vita l'obbligo di tendere alla perfezione evangelica nel senso dei consigli evangelici, quindi con castità, obbedienza ecclesiale e povertà nello spirito, vale a dire spogliandosi di ciò che è terreno" ( Zkth 56 [ 1932 ] 173-4 ).

Abbiamo lasciato così a lungo la parola a Hertiing perché egli traccia lo sviluppo storico e teologico in modo assai chiaro e fedele.

Si riconosce in ciò anche la pericolosità ( in quanto univocità di tendenza ) di porre il prete, invece che sotto i canoni generali dello stato dei consigli, sotto quelli dello speciale stato dei monaci, restringendo così l'analogia ( da lasciare aperta quando si è agli inizi ) nel modo di vivere lo stato dei consigli a favore dell'univocità di una singola forma di vita.

Ci sarà bisogno della rinnovata analogizzazione dello stato monastico lungo la travagliata storia degli ordini, congregazioni e comunità secolari, per fare nuovamente venire in luce l'analogia originaria fra clero regolare e cosiddetto clero secolare, insieme alla loro appartenenza reciproca.

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