Gli stati di vita del cristiano

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Il riconoscimento della chiamata

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Prima che colui che è chiamato possa rispondere alla chiamata deve averla percepita e compresa come tale.

Questa affermazione non significa che nella vocazione il momento intellettuale possa puramente venir separato dal momento della volontà.

Ci possono essere cioè casi nei quali ad una del tutto chiara consapevolezza di essere chiamati viene contrapposto sin da principio da parte dell'uomo un altrettanto chiaro "no".

Tuttavia sarà più frequente il caso in cui conoscenza e volontà cooperano nella chiarificazione della chiamata e il consapevole voler udire apre la strada sempre di nuovo ad una visione sempre più profonda.

Tuttavia il decisivo sì dell'uomo, che in ogni caso è esigito in ogni vocazione speciale, deve essere preceduto dal chiaro riconoscimento che questo "sì" viene richiesto.

Tanto il chiamato stesso quanto anche colui a cui è affidata la conduzione spirituale dei chiamati abbisognano perciò di una sufficiente cognizione dei contrassegni dell'elezione.

Qualcosa di quello che rientra in questo tema è già stato da noi fatto oggetto di dibattito, soprattutto ad esempio la diversità della chiamata nelle vocazioni al sacerdozio e in quelle allo stato dei consigli.

Nelle prime può bastare - come limite minimo - una generale devozione unita all'inclinazione e all'attitudine per le funzioni sacerdotali, criteri che vengono completati e definitivamente ancorati dal "sì" di accettazione da parte della Chiesa.

Salendo da questo limite minimo troviamo passaggi fluidi fino alla più chiara vocazione personale alla sequela.

I loro contrassegni distintivi possono essere più o meno chiaramente marcati, ma in nessuna vocazione allo stato sacerdotale o allo stato dei consigli possono essere del tutto assenti.

Se si interrogano i candidati sui motivi per i quali essi vogliono decidersi a questo passo, si ottengono le risposte più diverse.

Alcuni adducono motivazioni molto chiare: inclinazione alla cura d'anime, spesso a determinate forme di apostolato, ad esempio le missioni, l'educazione dei giovani ecc.; altri pongono l'accento sul sacrificio che vogliono offrire a Dio e che Dio, come essi ritengono, esige da loro; altri ancora cadono in imbarazzo e non riescono ad esprimersi altrimenti che con le parole: "Sento che devo farlo".

Naturalmente la più o meno chiara e distinta formulazione del motivo non offre alcun parametro per la sicurezza della vocazione.

Un sentore non formulabile può essere molto più decisivo che l'impulso verso una qualche attività religiosa delimitata, si dovrà anzi dire che un tale impulso reca i segni dell'autenticità solo se si eleva dallo sfondo di una generale e illimitata esperienza di sentirsi chiamati.

Infatti il sì che Dio qui richiede è senza eccezioni in primo luogo un sì di "indifferenza", di dedizione fiduciosa, che per il momento non desidera e non sceglie nient'altro che la volontà di Dio "in ogni stato o vita".

Questo sì, che è già quello di un eletto e si manifesta come tale con la sua illimitatezza, includerebbe in sé anche una ritrasposizione nello stato laicale nel caso che la chiara volontà di Dio esigesse successivamente questo.

In modo speciale un sì allo stato dei consigli acconsentirà dapprima implicitamente ad ogni forma di questo stato, anche se assai presto può manifestarsi l'inclinazione a questa o quella forma di vita comunitaria.

Ignazio richiederà però l'indifferenza dal candidato anche dopo che è avvenuta la specificazione della vocazione nel suo ordine religioso; l'indifferenza cioè ad essere inquadrato nello stato dei fratelli laici o in quello dei preti regolari.

Poiché quindi nella vocazione qualitativa alla sequela personale si dà solo un sì senza condizioni, alla base di questo sì deve starci anche una incondizionatezza previa nella conoscenza, che si mantiene attraverso tutte le inclinazioni e i motivi specifici e conserva un'indipendenza ultima da essi.

Dall'altra parte il medesimo "sì" deve essere consapevole che non può restare in un'astratta incondizionatezza, ma che l'indifferenza verrà specificata nel senso di una differente missione e compito: non dall'eletto stesso, ma da un rappresentante della Chiesa, nella quale egli vuole servire Dio.

Questo da luogo ad un centro, al quale ci si può avvicinare da due diverse estremità.

La prima via parte dall'esperienza di concrete situazioni o rapporti nel mondo che dovrebbero esser cambiati ad ogni prezzo.

Nessuno sembra darsi pena di ciò, nessuno interviene ad un livello abbastanza profondo; così ci si decide ad entrare in azione.

E soggettivamente si ha il sentore di porre tutto a servizio di questa cosa, che sembra essere un affare che riguarda il Regno di Dio e forse anche lo è davvero.

Ma fintanto che non si intraprende alcun passo ulteriore, tutto questo potrebbe essere fondamentalmente ancora un impegno nello stato laicale.

Determinate strutture sociali devono essere cambiate: ciò richiede scaltri sociologi; certi metodi di educazione dovrebbero venir migliorati: ciò richiede esperti pedagoghi.

Ma non si diventa preti alla condizione di diventare parroci in un determinato paese.

A Pietro non viene promesso che egli diventerà pescatore di uomini a Betesda.

Fra l'impulso ad impegnarsi e il sì della Chiesa si pone un momento universalizzante.

Per prima cosa lasciare le reti e seguire, "senza sapere verso dove" ( Eb 11,8 ).

E: "Ti si condurrà dove tu non vuoi" ( Gv 21,18 ).

Il motivo speciale che spinge uno al "sì", il candidato lo può comunicare al suo superiore o al vescovo; esso può essere preso in considerazione nella determinazione del suo futuro lavoro, ma non è detto che lo debba.

Se il sì non volesse sciogliersi dallo scopo particolare per il quale si è acceso, non sarebbe universale, non sarebbe cattolico, e non sarebbe indirizzato realmente a Gesù Cristo, bensì ad un affare del quale nessuno può dire con certezza che esso sia il lavoro a me assegnato da Dio per il suo Regno.

Il carisma destinato al singolo non ce se lo prende da soli, ma viene distribuito dal Signore.

E se la Chiesa agisce a Suo nome, il vescovo o il superiore ha certamente da fare attenzione alle disposizioni del Signore - e in questo egli esaminerà le motivazioni di colui a cui dev'essere assegnato un incarico -, ma entrambi, il vescovo o superiore e colui che dovrà essere inviato, devono esercitare la virtù dell'indifferenza tendendo alla volontà del Signore.

E poi hanno ancora la precedenza sui desideri del dipendente i bisogni della diocesi o dell'ordine religioso.

Se non viene raggiunta questa indifferenza, allora non viene imitato l'atteggiamento di Gesù Cristo di fronte alla volontà del Padre, il quale non decide da sé i rimedi che il Padre vuole impiegare per le malattie del mondo, ma lascia che si disponga di lui anche laddove la cosa si fa del tutto seria con questi mezzi di salvezza, anche fino alla croce.

Nell'assenso alla sequela di Cristo ci sta sempre una morte, che attua l'essere "sepolti insieme con Cristo" nel Battesimo, e dalla quale il morente non resuscita da sé; lo farà la Chiesa nel nome di Dio.

La seconda via proviene da un'esplicita presa di distanza nei confronti del mondo, da una distanziazione della quale non è ancora certo se essa è caratteristicamente cristiana e cattolica.

Si comprende il predicatore: "Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole? ( … )

Ogni discorrere è fatica sprecata, nessuno è in grado di dare la spiegazione.

L'occhio non è mai sazio di vedere, ne l'orecchio è sazio di ascoltare".

E forse si sono fatte esperienze: "Allora ho detto in cuor mio: Bene, prova allora con il piacere! Goditela! Ma ecco, anche questo è vanità ( … )

Ho considerato tutte le opere fatte dalle mie mani e tutta la fatica che avevo durato a farle: ecco, tutto mi è apparso vanità e un inseguire il vento" ( Qo 1-2 ).

Questa distanza da tutto appare come indifferenza che abbraccia tutto: "C'è un tempo per nascere e un tempo per morire.

Un tempo per uccidere e un tempo per guarire.

Un tempo per demolire e un tempo per costruire …" ( Qo 3,2-3 ).

Ma con questo non è ancora certo se la direzione del cammino indica con Buddha la via per uscire dalla "ruota delle reincarnazioni", o se si vuole camminare nella direzione che Dio stesso traccia venendo incontro al mondo: "Vedere e considerare le tre Persone divine, nella loro sede regale, nel trono della loro Maestà divina, mentre osservano tutta la superficie della terra, e tutte le genti in tanta cecità, ( … ) in tutta la loro varietà sia di abiti che di gesti, alcuni bianchi e altri neri, chi in pace e chi in guerra, alcuni che piangono e altri che ridono; questi sani, quelli ammalati; alcuni che nascono e altri che muoiono" ( Eserc. Nr 106 ).

Vedere il mondo così può quindi voler dire già vederlo con gli occhi di Dio.

Il momento negativo della distanza e dell'indifferenza già predelineata in essa può - e deve, se la vocazione è autentica - avere per presupposto il momento positivo dello stato celeste.

Il chiamato è in maniera speciale, in una maniera che compenetra la sua coscienza, "non di questo mondo" ( Gv 17,14 ).

Egli è "morto"; la sua "vita è nascosta con Cristo in Dio" ( Col 3,3 ); per questo egli "cerca le cose di lassù, dove Cristo siede alla destra di Dio" ( Col 3,1 ), egli è "conosciuto da Dio", ancor prima che egli stesso si conosca con consapevolezza ( Gal 4,9 ) e può ripetere a chiari toni le parole di Paolo, che per lui grazie a Cristo "il mondo è stato crocifìsso", come pure egli "per il mondo" ( Gal 6,14 ).

Infatti l'elezione è un atto eterno, fondato nella Trinità "prima della fondazione del mondo" ( Ef 1,4 ), un atto che perciò inserisce anche l'eletto nell'eternità, ma solo affinchè egli là si adegui al piano di Dio e si lasci inviare insieme a Cristo nel mondo.

Se egli sta in vita, anzi urge verso la vita, questo è in forza della sua vocazione e nel fuoco della sua missione, che ha la sua origine nella città del Dio vivente.

È possibile che egli si senta sempre come uno straniero nel mondo, poiché la sua "cittadinanza è nei cieli" ( Fil 3,20 ).

Questo non impedisce che il suo incarico terreno - grazie ad un fuoco che origina dal cielo - lo faccia bruciare più intensamente degli altri uomini che sono di questo mondo.

Questa tensione verso l'aldilà non ha niente a che fare con quelle motivazioni che per lo più la psicologia non credente ascrive ai chiamati: indifferenza ( Gleichgilltigkeit ) nei confronti del mondo e della società, complessi non superati nella sfera della sessualità, soprattutto angoscia davanti alla vita.

Tali motivazioni, soprattutto i sensi di inferiorità che in effetti giocano il loro ruolo quasi in tutti i giovani prima di aver ottenuto la prova del proprio valore, possono entrare in ballo anche proprio per i chiamati, possono persino entrare in legami apparentemente inestricabili con la dimensione ultraterrena della loro vocazione.

Allora sarà questione di un umile autoesame nella preghiera e di un'intelligente conduzione separare i complessi di motivazioni e vedere quale dei due ha il predominio.

Se la vocazione è autentica, allora per lo più non è affatto consigliabile aspettare di dare il proprio assenso fino a che siano superate tutte le inibizioni naturali che ogni adolescente in qualche maniera sente e che per lo più suppone esistenti solo in sé e non negli altri.

È sufficiente se nella scelta non sono esse la cosa decisiva, anche se provvisoriamente non fosse possibile eliminare questi rumori di disturbo collaterali.

Vale qui la frase di S. Bernardo al demonio citata da Ignazio: "Non ho intrapreso questa strada per causa tua, perciò nemmeno per causa tua l'abbandonerò" ( Eserc. Nr 351 ).

Una volta assicurato il riconoscimento del chiaro prevalere della chiamata, non c'è mezzo migliore per liberarsi dei disturbi che lo stesso coraggioso assenso a Dio, in suo fedele ascolto.

Entrambe le due vie descritte convergono quindi verso un comune centro.

Nella prima il chiamato vedeva per prima cosa una concreta missione possibile, ma doveva prima lasciarsi purificare nella piena indifferenza ( Indifferenz ).

Nella seconda egli sperimentava dapprima un'indifferenza, di fronte alla quale però deve venir applicato il discernimento degli spiriti, e che poi si rivela come cristiana se è pronta a lasciarsi inviare.

Là la missione si accendeva dal bisogno, dall'ingiustizia e dalla peccaminosità del mondo, ma doveva imparare che per questo c'è soltanto un rimedio ultimo: la croce.

Non si da liberazione cristiana che non abbia una dimensione di redenzione.

Qui invece l'inviato stava certo già nel luogo celeste delle missioni, solo che doveva però prima imparare a comprendere questo: che quanto più uno vuole essere vicino a Dio, tanto più profondamente egli deve lasciarsi usare e consumare nei piani di Dio sul mondo.

Il riconoscimento della reale esistenza di una chiamata alla sequela speciale può venir minacciato e - almeno per il momento - reso impossibile dalla mancanza di un momento soggettivo o di uno oggettivo.

Ostacolo soggettivo è il non voler udire o il non poter udire.

Dovrebbe essere difficile constatare quanto sia possibile rendere completamente muta, col proprio peccato ( Sundigkeit ) nell'età giovanile, una vocazione speciale non ancora avvenuta, rimandata a più tardi.

Qui entra in questione soprattutto il non voler udire, che ha luogo nei confronti di un autentico udire già cominciato.

L'uomo si ritrae, e il seme della Parola cade a terra senza portare frutto.

Quando poi la voce diventa muta e colui che la ha rifiutata è "in pace", solo apparentemente egli può scusarsi dicendo di non averla riconosciuta; ad un certo punto di svolta della sua strada egli ha troncato a Dio la possibilità di continuare ad esprimersi; il suo non udire è colpevole.

Tuttavia non è impossibile che ci sia anche un vero e proprio incolpevole non poter udire, presso certuni che percepiscono qualcosa come una chiamata, ma non sono in grado di interpretare ciò che hanno udito: "Se uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il maligno e strappa via ciò che è stato seminato nel suo cuore" ( Mt 13,19 ).

Questa possibilità presuppone, se dev'essere davvero senza colpa, che la chiamata oggettiva è arrivata in maniera non ancora chiara.

La chiamata può infatti oggettivamente, vista a partire da Dio, essere ancora inarticolata.

Le chiamate di Dio non sono fatte rigidamente con lo stampino, ma sono vive e differenziate all'infinito, soprattutto perché Egli conta sulla cooperazione degli uomini, e anche su di una viva attenzione della Chiesa.

Tanto colui che ascolta la chiamata, quanto colui che lo guida, devono contribuire personalmente a completarla, ad arrotondarla.

Altre persone ancora devono contribuire con le proprie energie, pregando e sacrificandosi, affinchè la chiamata sia anche un prodotto della comunione dei santi.

Così c'è per lo più uno stadio in cui la chiamata oggettivamente è ancora debole: un leggero bussare alla porta, un primo tentativo dell'amore di Dio nei confronti di un uomo.

Dio può volere che questi si alleni a poco a poco a dare la risposta.

Egli può lasciar apparire la sua chiamata come un raggio di sole attraverso la nebbia, visibile forse solo durante una schiarita nella nuvolaglia che non si apre del tutto.

Egli può lasciare che la nebbia si addensi di nuovo, affinchè l'uomo si ricordi di quell'ora di chiarezza e a partire da essa continui a pregare e a cercare.

In questo stadio è particolarmente importante il ruolo di colui che guida.

È lui che adesso deve chiarire e far luce.

Egli deve avere così tanto tatto da non turbare l'anima forse timida con richieste improvvise, e da descriverle provvisoriamente i pregi dello stato d'elezione solo in maniera oggettiva e come di straforo.

Il dialogo può perseverare per anni in questo stadio.

Per lo più sarà meglio se il chiamato stesso acquisisce il riconoscimento decisivo, piuttosto che qualcuno dal di fuori glielo ficchi in testa.

Uno zelo privo di tatto produce più cocci che cose utili, e colui che una volta è stato ferito ritrova solo ben difficilmente la via verso una nuova considerazione della sua vocazione.

Inoltre niente provvede maggiormente ad eccitare i giovani alla protesta del sospetto che li si voglia "reclutare" per qualcosa con astuzia e costrizione.

Se Dio mira ad una speciale elezione, allora è certo impossibile che il primo vago intuire, il leggero bussare di Dio, non si chiarisca, per quanto riguarda Dio, in una chiamata chiaramente udibile.

Se non si frappone nessuna disobbedienza da parte del chiamato o delle guide responsabili - genitori, maestri, preti -, Dio rischiarerà talmente la conoscenza, che una scelta esatta diventa inevitabile.

Se invece la chiamata è la notificazione di un qualche volere o desiderio di Dio ad un laico, potrebbe bene essere che essa conservi sempre quel carattere discreto, recondito.

Dio infatti richiede certe cose nella forma dei suoi comandamenti, ma altre le lascia aperte: che cosa si dovrebbe fare, che cosa farebbe avanzare l'uomo con un salto di un bei pezzo di strada, nel caso che egli oda l'invito di Dio, ma che la percettibilità di Dio mai lo forzerà categoricamente a fare.

In simili chiamate non si tratta in effetti dell'essere o non essere di una missione, come è invece il caso nella scelta dello stato sacerdotale o dello stato dei consigli ( dove tutto deve divenire sottomesso alla missione da ricevere ), vale a dire di un sì che presuppone in ogni caso la piena chiarezza della richiesta di Dio.

Lo stato sacerdotale e lo stato dei consigli contano, per così dire, grazie ad ogni singolo che si consacra ad essi.

Chi al contrario sceglie lo stato matrimoniale non presuppone che questo stato venga arricchito grazie al suo ingresso in esso.

Così tutto nella sua vita e nel suo rapporto con Dio può conservare un carattere molto più personale che nel caso della missione speciale, la quale subordina completamente la persona al ministero o al voto.

Dove si tratta di una missione qualitativa, ma ostacoli insormontabili da parte del carattere del chiamato o anche da parte di circostanze esterne sono prevedibili, può essere più pietoso non spingere verso il pieno riconoscimento della vocazione.

Ci possono pur sempre essere anche casi in cui, malgrado l'impossibilità di darvi seguito esteriormente, il chiaro riconoscimento di essere chiamati può essere da Dio voluto e perciò di utilità.

Un uomo deve forse sapere che cosa era previsto per lui da Dio, e a partire da questo livello non raggiungibile picchettarsi un ideale come parametro per la sua vita.

Oppure egli deve, per volere di Dio, camminare attraverso la vita con un "pungolo nella carne", che nella cerchia borghese in cui è condannato a vivere gli procura una benefica inquietudine.

Quando la chiamata, che all'inizio era ancora sfumata, comincia a chiarirsi nel senso di una qualche forma di elezione, si pone spesso per un giovane la domanda angosciata: sacerdozio o stato dei consigli?

È dalla stessa forma in cui avviene la chiamata che egli deve cercare di guadagnar chiarezza.

In base a quanto detto prima la chiamata al sacerdozio è primariamente una chiamata al ministero, quella allo stato dei consigli primariamente una chiamata a sequela personale.

Se i due momenti sono mischiati, sarà da esaminare quale dei due predomina.

La vocazione al sacerdozio secolare si mostra normalmente nell'espressa inclinazione alle funzioni sacerdotali, alla predicazione e all'insegnamento, alla amministrazione dei sacramenti, all'aiuto pastorale nei confronti di chi ha bisogno.

La chiamata allo stato dei consigli è presagita dal desiderio di offerta della vita a Dio; nelle espresse vocazioni al convento dal desiderio della persona di entrare con tutta se stessa nell'anonimità della vita sotto la Regola, dove l'uno o l'altro dei voti può stare maggiormente in primo piano.

Ma questo desiderio di dedizione deve avere un carattere ecclesiale, apostolico, che forse dovrà prima venir spiegato al chiamato, ma che egli, nel caso che sia realmente chiamato, comprenderà molto presto e senza obiezioni.

Egli deve capire che può scegliere questa forma di vita non per il suo personale vantaggio o progresso spirituale, ma piuttosto, se vuole attenersi al termine "perfezione di sé" ( Selbstvervoll-kommnung ), lo può intendere solo come un mezzo per il fine che è la gloria di Dio e il servizio al suo Regno.

Spesso si tratta, tra stato sacerdotale e stato dei consigli, di forme di passaggio, che possono essere interpretate in un modo o in un altro a seconda della chiarificazione ad opera del direttore.

Dio stesso può chiamare per il momento allo stato sacerdotale e più tardi, chiarendo, chiamare ad una sequela più stretta nei voti; egli può chiamare semplicemente allo stato dei consigli e solo più tardi far vedere il completamento nel sacerdozio; egli può anche, come vedemmo, richiamar l'attenzione su di un sacerdozio diocesano che realizza l'essenziale della vita secondo i consigli.

Alla fine si impone per colui che è chiamato ai consigli la scelta più ristretta della comunità religiosa.

Ancora una volta può qui la voce divina essere univoca sin da principio.

Allora è come se in essa risuonasse in maniera udibile contemporaneamente anche la voce dello spirito dell'ordine, anzi del fondatore dell'ordine religioso stesso.

Non ci si deve stupire di ciò, giacché in effetti ai fondatori spetta, nell'ambito della loro fondazione, un certo ruolo di mediazione per le grazie che devono venir donate ai loro figli spirituali.

Come la Madre del Signore è mediatrice di ogni grazia, così i grandi santi che formano il fondamento di un ordine religioso e possono imprimere alla sua fondazione il loro spirito personale sono anche sempre all'opera nei più vivi punti di crescita di questa fondazione, per fare arrivare ad essa nuove energie e rappresentare l'idea originaria dal lato più profondo e attraente.

Il candidato che sta di fronte alla scelta coltiverà quasi sempre nella preghiera una viva relazione col santo nella cui comunità religiosa egli vorrebbe entrare; nell'inclinazione che egli sente potrà leggere, come da un'impronta nella sua anima, quale santo ha impresso in lui il suo sigillo.

Se egli non lo riconosce immediatamente, si adopererà per conoscere le singole comunità religiose, finché non trova la corrispondenza oggettiva alla sua vocazione.

Il pericolo di cadere vittima di un'inclinazione disordinata è in ciò minimo; raramente a chi è già pronto ad offrire la sua vita verrà a mancare proprio al momento della scelta la generosità.

Nella specificazione della vocazione verso una determinata comunità religiosa gioca certamente un ruolo considerevole anche l'influsso esterno.

Studenti di una determinata scuola gestita da un ordine religioso entreranno nella maggioranza dei casi proprio in quest'ordine.

Uno zelante rastrellamento di una contrada da parte di una società missionaria non rimarrà senza effetto.

C'è infatti sempre un grande numero di vocazioni in qualche modo senza colore, che ottengono la loro conformazione solo attraverso un influsso ecclesiale esterno.

In questo bisogna distinguere accuratamente il primo esempio dal secondo: l'essere stati forgiati per lunghi anni dallo spirito di un ordine religioso in una scuola monastica è in grado di imprimere alla giovane anima, senza la minima "pressione" dal di fuori, una durevole autentica comprensione della forma dell'ordine, mentre il puro e semplice raccattare candidati per un seminario in missione raramente può conferire a coloro che sono stati così reclutati un reale volto spirituale.

Una personalità convincente, che si consuma interamente nel servizio della sua missione e nella quale non si percepisce vanità alcuna, che rappresenta armoniosamente in tutti i suoi aspetti lo spirito della sua comunità religiosa: questo è ciò che nel modo migliore desta nuove vocazioni.

Incontrare una simile persona può rappresentare, per colui che è alla ricerca, di più di molti libri sullo stato di vita o l'ordine religioso in questione.

Qui egli sperimenta in modo vivo quello che propriamente sta cercando, e allo stesso tempo si sa compreso nel suo cercare.

Egli trova la rappresentazione vivente della Regola, uno specchio allo stesso tempo oggettivo e personale.

Se questa personalità è un'autentica guida a Dio, essa non farà giocare - o al massimo in maniera del tutto provvisoria - il suo potere personale di forza d'attrazione, ma diventerà non appena possibile pura trasparenza del Signore che chiama, che è l'unico vero maestro.

"Giovanni stava là con due dei suoi discepoli.

Quando vide venire Gesù, disse: Ecco l'agnello di Dio! Non appena i due discepoli ebbero udito ciò, seguirono Gesù" ( Gv 1,35-37 ).

"Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: non sono io il messia.

Chi possiede la sposa, è lo sposo. Egli deve crescere, e io invece diminuire" ( Gv 3,28-30 ).

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