Summa Teologica - I

Indice

Le fonti

La creazione ( I qq. 44 - 49 )

Introduzione

I

1 - I problemi affrontati dal Dottore Angelico nelle sei questioni, che vengono considerate come il trattato De Creatione, sono tra i più vitali del pensiero umano.

Come si spiega l'origine delle cose?

C'è stato un cominciamento del mondo?

É possibile pensare all'ipotesi di un mondo eterno?

Come dobbiamo concepire la creazione?

Da che deriva la diversità delle cose, e soprattutto la diversità tra il bene e il male, ammessa l'universale causalità divina?

Questi problemi si riallacciano alla questione dell'esistenza di Dio ( I, q. 2 ).

Il mondo per la sua problematicità ci ha costretti a riconoscere l'esistenza di un primo motore, di una prima causa, di una realtà necessaria in modo assoluto, di una perfezione assoluta e di una suprema intelligenza ordinatrice ( I, q. 2, a. 3 ).

Ora si tratta di vedere in quale maniera l'essere contingente e non mai perfettamente in atto possa dipendere dall'essere per essenza, dall'atto puro.

Il primo influsso della causa suprema sarà la partecipazione stessa dell'essere che Dio solo possiede in forza di se medesimo, essendo egli solo l'essere per essenza.

Avremo quindi la creazione.

S. Tommaso vedeva questa dipendenza causale con tanta chiarezza da non sospettare neppure che una simile idea fosse divenuta patrimonio della cultura umana soltanto attraverso i libri della rivelazione divina.

Secondo lui « filosofi, come Platone, Aristotele e i loro seguaci, erano giunti alla considerazione dell'essere nella sua universalità; perciò essi erano giunti ad ammettere una causa universale delle cose, dalla quale tutti gli esseri sono venuti all'esistenza, come appare dalla testimonianza di S. Agostino [ De Civit. Dei, c. 4 ].

E questa sentenza trova il consenso della fede cattolica ( De Pot, q. 3, a. 5 ).

Detti filosofi avrebbero invece negato la creazione nel tempo; e in questo soltanto il loro pensiero sarebbe in contrasto con la rivelazione.

Per questo Aristotele e Platone figurano anch'essi tra le fonti del trattato tomistico della creazione, pur facendo delle riserve nei riguardi di Platone ( cfr. 2 Sent., d. 1, q. 1, a. 1 ).

É noto invece che il pensiero greco non si sollevò mai a tanta altezza.

Nonostante questo svantaggio iniziale S. Tommaso ha saputo affrontare, con una profondità di intuizione senza confronti nella storia del pensiero, i problemi proposti; e risolverli in perfetta coerenza con i principi fondamentali del suo sistema.

2 - Accanto ad Aristotele il Dottore Angelico trovava i filosofi arabi.

Anch'essi « si erano sollevati alla considerazione dell'ente in quanto ente »; non si erano però mai sbarazzati della materia coeterna al primo principio, e dell'emanazionismo ereditato dai greci.

Anche Avicenna, che qui espressamente viene citato dall'Aquinate, è rimasto impaniato in certi motivi del neoplatonismo ( cfr. A. M. GOLCHON, La distinction de l'essence et de l'existence d'après Ibn Sina ( Avicenne ), Paris, 1937, pp. 224-244 ).

Si era invece accostata maggiormente al pensiero cristiano la speculazione filosofica dei figli d'Israele.

S. Tommaso ricorda in particolare Mosè Maimonide ( 2 Sent, d. I, q. I, a. 5 )

Ma le vere fonti del nostro trattato sono la Scrittura e le opere dei santi Padri.

Tra questi ultimi sono particolarmente utilizzati i testi di S. Agostino e dello Pseudo-Dionigi.

L'Aquinate ha saputo apprezzare l'incalcolabile ricchezza della speculazione agostiniana relativa ai problemi affrontati nelle qq. 44-49 della I Parte.

Basta ricordare i motivi fondamentali di quella speculazione, per vederli riaffiorare tutti nelle soluzioni tomistiche.

Contro i Manichei Agostino aveva difeso la radicale bontà di tutto l'universo, emanazione della bontà di Dio aveva rettificato l'esemplarismo platonico; e, dopo aver distinto nettamente la creazione da ogni altra operazione, aveva riservato a Dio solo l'atto creativo.

Inoltre, riscontrando in ogni creatura un vestigio della Trinità, e risolvendo magistralmente il problema del male, aveva spianato la via alla sintesi tomistica su questi argomenti.

Con Dionigi e con Boezio egli forniva all'Aquinate una interpretazione cristiana sicura del concetto di partecipazione, così essenziale per il trattato che abbiamo preso a esaminare ( cfr. FABRO C, La nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d'Aquino Milano, 1939, pp. 73-103 ).

3 - La dipendenza da queste fonti non toglie alla speculazione tomistica la sua impronta di originalità anche in questo trattato.

Infatti l'Aquinate mirava a un approfondimento scientifico della dottrina cristiana elaborata dai santi Padri; perciò troviamo il suo spirito costantemente rivolto ai principi filosofici del suo sistema.

Egli cerca le basi razionali di tutti gli elementi non essenzialmente soprannaturali del pensiero cristiano.

Con una libertà di giudizio, che a qualcuno è sembrata una profanazione, egli stabilisce i confini tra ragione e fede, consigliando moderazione ai maestri cristiani, che qualche volta si lasciano prendere dalla tentazione di dimostrare l'indimostrabile.

L'indagine tomistica ha avuto il suo frutto più maturo nella determinazione esatta del concetto di creazione.

In definitiva la creazione non è che una relazione reale esistente nella creatura stessa, mentre l'atto creativo di Dio si identifica con la divina essenza.

Perciò è legittima quella paradossale conclusione: « la creatura precede la creazione stessa » ( I, q. 45, a. 3, ad 3 ).

Se i filosofi posteriori avessero meglio compreso questa dottrina, ci avrebbero risparmiato non poche divagazioni di valore discutibile intorno al concetto di creazione.

La filosofia di Vincenzo Gioberti, p. es., è impostata in gran parte su una di queste falsificazioni.

Il filosofo del risorgimento italiano è caduto nel trabocchetto di quello schema semplicista: Dio = creazione = creatura.

Soltanto in questo schema la creazione è un « nesso », un « legame », un « anello intermedio », come vuole Gioberti; mentre in realtà tra Dio e il mondo esiste solo una relazione, non già un'impresa creativa.

Purtroppo il filosofo piemontese non teneva conto di queste precisazioni, quando considerava quelle tre cose come termini reali ( C.V. GIOBERTI, Introduzione allo studio della Filosofia, Capolago 1845, vol. 2, p. 193 ).

Non parliamo poi del tentativo fatto dal Gioberti, di convertire la creazione nel deus ex machina per risolvere l'antinomia tra Ente ed esistente nel problema della conoscenza.

Contemporaneo del Rosmini, fu anch'egli costantemente preoccupato di dare alla facoltà intellettiva dell'uomo un oggetto, che la rendesse attuale senza dipendere dai sensi e da tutti i processi psicologici.

La creazione, concepita come una proiezione cinematografica continuata, parve la soluzione ideale ( op. cit., vol. 2, p. 405 ).

Per lo stesso motivo anche Rosmini si avvicinò a questo falso concetto di creazione, e considerò gli esseri contingenti come termini, sia pure impropri, dell'essere iniziale ( Teosofia, Ed. Roma, 1938, vol. I, pp. 210, 224 ).

I due filosofi ebbero il torto di confondere l'atto creativo con l'atto esistenziale delle Cose, e di pensare a quest'ultimo come a una proiezione fisica della realtà divina.

Così essi compromettevano la trascendenza di Dio, senza afferrare il concetto esatto di creazione come semplice relazione.

L'essere, che è dato, è qualche cosa soltanto di analogico all'essere divino.

Ma purtroppo il concetto di analogia non era valorizzato dai filosofi del secolo XIX, mentre esso soltanto può guidare chi vuoi risolvere il problema delle origini dell'universo, senza cadere nel panteismo e nell'emanatismo.

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