Summa Teologica - I

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Esperienza di Dio

Questa descrizione è già molto vigorosa ma per tentare di dire in modo ancora più preciso ciò che è qui in questione Tommaso non esita a ricorrere a un vocabolario ancora più suggestivo e nel testo in cui parla di « sciogliersi in affezione d'amore » al vertice terrestre della somiglianza dell'immagine - parla anche di una « conoscenza sperimentale » di Dio.

Questa espressione ha fatto esitare più di un commentatore e ci si è impegnati a sottolineare come il Maestro parli di una conoscenza « quasi sperimentale », attribuendo al « quasi » il valore di un'attenuazione.

Ciò che significherebbe: « per così dire » o « in qualche modo » sperimentale.

Dopo gli studi del padre Albert Patfoort,217 l'esitazione non è più ammissibile; questi ha infatti ricordato che esistono altri testi in cui Tommaso parla senza restrizioni di una conoscenza sperimentale di Dio,218 e che, anche dove impiega un « quasi », continua nello stesso testo con un « propriamente ».

Poiché Tommaso certamente non si contraddice a distanza di due righe, è necessario dedurne che il « quasi » non ha il senso di un'esperienza a ribasso ma sottolinea la distinzione di questa conoscenza da un altro tipo di conoscenza che non sarebbe che intellettuale.

Per questo, commentando sant'Agostino, egli può scrivere: « "Ciascuno di essi [ il Figlio o lo Spirito ] è inviato allorquando è conosciuto".

Questo bisogna intenderlo di una conoscenza che non è soltanto speculativa, ma di una conoscenza che ha anche un lato [ chiaramente ] sperimentale ( quodammodo experimentalis ).

Ciò è sottolineato da quanto segue: "( conosciuto ) e percepito", il che significa un'esperienza propriamente detta ( proprie experientiam ) nel dono ricevuto ».219

Questi testi hanno dato origine a esegesi diverse, per non dire opposte: alcuni hanno voluto ridurre l'esperienza di cui parla qui Tommaso al senso che la parola poteva avere presso i suoi predecessori e contemporanei con una connotazione fortemente affettiva; altri, contando questa tesi con vigore e a volte giustamente sostengono al contrario che san Tommaso si libera di questa accezione comune del termine e gli attribuisce una portata sicura intellettuale.

Senza voler entrare in questo dibattito che ci porterebbe molto lontano dal nostro proposito ci sembra difficile voler ridurre l'intenzione di Tommaso all'una o all'altra di queste alternative.

Non si può certamente eliminare la conoscenza intellettuale propriamente detta di questa esperienza, ma è impossibile che essa non abbia anche e simultaneamente una dimensione affettiva non meno sicura.

Sarebbe proprio strano che, giunta al vertice del suo incontro terrestre con Dio, l'anima non vi fosse implicata che per una delle sue potenze.

Qui forse si potranno ricordare alcuni testi utilizzati poco o affatto in questi studi, che, sebbene non appartengano al contesto diretto che ha dato origine a queste dispute tecniche, nondimeno ci sembrano tali da illuminarlo.

Infatti, ricavata innanzitutto dal vocabolario dei sensi,220 la parola esperienza continua a suggerire qualcosa del contatto diretto con la realtà quando è trasposta nel dominio delle cose divine: « L'esperienza di una cosa si fa mediante i sensi …

Ora Dio non è lontano da noi, né fuori di noi, egli è in noi …

Ed è per questo che l'esperienza della bontà divina è chiamata "gusto" ( gustatio ) …

L'effetto di questa esperienza è duplice: il primo consiste nella certezza dell'intelligenza, il secondo nella sicurezza dell'affettività ».221

L'immediatezza della realtà divina così sperimentata si irradia dunque sia sull'intelligenza sia sulla volontà che essa conforta nel loro ordine proprio.

É chiaro che Tommaso segue qui l'uso comune secondo cui il termine « esperienza » designa altra cosa che una conoscenza puramente intellettuale e che gli accorda anche una carica affettiva certa: « Vi sono due modi di conoscere la bontà o la volontà di Dio.

Uno è speculativo, e da questo punto di vista, non è permesso dubitare della bontà divina né metterla alla prova [ il contesto parla di « tentare » Dio ].

L'altro consiste in una conoscenza affettiva o sperimentale ( affectiva seu experimentalis ) della bontà o della volontà divine, e si ha quando uno sperimenta in se stesso ( dum quis experitur in seipso ) il gusto della dolcezza divina e la benevolenza della sua volontà.

Come Dionigi dice di Ieroteo, il quale « apprese le cose divine per averle provate ».

É in questo senso che siamo invitati a fare esperienza della volontà divina e a gustare la sua soavità ».222

Vi è dunque una conoscenza delle cose divine che non si acquista unicamente con lo studio.

Questa ammissione ha tanto più valore poiché Tommaso aveva già rinviato a questa stessa citazione dello Pseudo-Dionigi circa la saggezza teologica.

Senza rinunciare ai diritti della conoscenza chiara, egli attribuiva tuttavia il primo posto alla conoscenza per connaturalità derivante dal dono di saggezza infuso dallo Spirito Santo.223

Questo appello all'esperienza vuole dunque suggerire anche qualcosa del carattere ineffabile che comporta l'incontro delle Persone divine: « Venite e vedete, dice Cristo in san Giovanni.

In senso mistico ciò significa che l'inabitazione, sia di gloria, sia dia grazia, non può essere conosciuta che per esperienza, poiché non si può spiegarla con parole.

Venite, credendo e agendo, e vedete, sperimentando e comprendendo.

Bisogna ben osservare che si giunge a tale conoscenza in quattro modi: « con il compimento delle opere buone … con il riposo dell'anima … con il gusto della dolcezza divina … con l'operazione della devozione ».224

Un altro linguaggio perciò si impone ed è necessario completare il vocabolario dell'esperienza con quello della fruizione delle realtà divine.

Prediletto dai mistici, questo linguaggio risale a Sant'Agostino e alla sua distinzione tra le realtà di cui ci si può servire ( uti ) e quelle di cui non si può che goderne dilettarsi ( frui ).

Esso è stato trasmesso tra l'altro tramite la via classica di Pietro Lombardo e delle sue Sentenze, ed è per questo che lo si ritrova già nelle prime pagine del commento di san Tommaso.225

È ancora a lui che l'Aquinate si riferisce spontaneamente per parlare della beatitudine, non soltanto nel suo stato compiuto ma anche in quello iniziale, l'inabitazione delle Persone divine.

É il caso del seguente testo di cui abbiamo citato la prima parte e che si conclude così: « Al di fuori della grazia santificante non vi è niente che possa costituire la ragione di un nuovo modo di presenza della Persona divina nella creatura razionale.

Dunque è soltanto a causa della grazia santificante che si ha missione e processione temporale della Persona divina.

- Così pure, si dice che noi « possediamo » solamente ciò di cui possiamo liberamente fare uso o godere.

Ora, non si ha potere di godere di una Persona divina se non a causa della grazia santificante.

Tuttavia, nel dono stesso della grazia santificante è lo Spirito Santo che si possiede e che abita l'uomo.

Perciò lo stesso Spirito Santo è dato e inviato ».

S. Tommaso continua un po' più avanti, in una risposta: « Il dono della grazia santificante perfeziona la creatura razionale per metterla in grado non solo di usare liberamente il dono creato, ma anche di godere della stessa Persona divina.

Perciò la missione invisibile avviene tramite il dono della grazia santificate, e tuttavia è proprio la stessa Persona divina che ci è data ».226

La grazia non permette dunque al fedele di condurre soltanto la sua vita cristiana, ma lo prepara già all'esperienza mistica più alta: il godimento delle Persone divine.

« Lo stato di grazia », come si suol dire, è la « possibilità abituale di vivere una tale fruizione, possibilità abituale di vivere una conoscenza sperimentale delle Persone divine ».227

Questo non ha niente a che vedere con le risorse intellettuali, e Tommaso considera ciò come perfettamente realizzabile in persone sprovviste peraltro di ogni conoscenza sapiente, giacché « questa conoscenza da cui sgorga l'amore si trova in abbondanza presso coloro che sono ferventi nell'amore di Dio, in quanto essi conoscono la bontà divina come fine ultimo, che effonde con abbondanza su di loro i suoi benefici ».

Al contrario, « tale conoscenza non potrebbe essere perfetta presso le persone che non sono infiammate da questo amore ».228

Poco noti, questi testi di Tommaso non sono isolati; accostati a tutti quelli che abbiamo appena citato sull'esperienza delle Persone divine, che va oltre la conoscenza chiara che possiamo averne, essi trovano la loro formulazione, in qualche modo esemplare, in questi altri passaggi in cui Tommaso non esita a dare chiaramente la preferenza a una « piccola anziana » ( vetula ) ardente dell'amore di Dio rispetto a un saggio imbevuto della propria superiorità ».229

Evidente per un cristiano, il paragone assume un nuovo valore sotto la penna di questo intellettuale d'alta classe.

Solo Pascal può affermare con un minimo di credibilità che « tutta la filosofia non vale un'ora di pena ».

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217 A. PATFOORT, Cognitio ista est quasi experimentalis (Sent. I, d. 14, q. 2, a. 2 ad 3), «Angelicum» 63 (1986) 3-13; nello stesso senso, cf, H.R.G. PEREZ ROBLES, The Experimental Cognition of the Indwelling Trinity in the Just Soul: The Thought oJ Fr. Ambroise Gardeil in the Line of Saint Thomas, Diss. PUST, Roma 1987.
218 Così Sent. I, d. 15, q. 2 ad 5: «Sebbene la conoscenza sia appropriata al Figlio, il dono a partire dal quale si ricava questa conoscenza sperimentale (experimentalis cognitio), necessaria perché vi sia una missione, non è tuttavia necessariamente appropriato al Figlio, ma a volte può esserlo allo Spirito Santo nella sua qualità d'amore»; Sent. II, d. 16, a. 2: «Nella missione invisibile dello Spirito Santo, la grazia sgorga nell'anima in virtù della pienezza dell'amore divino e, per questo effetto di grazia, la conoscenza sperimentale di questa persona divina è ottenuta da colui al quale è fatta questa missione (cognitio illius personae divinae experimentalis ah ipso cui fit missio)».
219 Sent. I, d. 15, expositio secundae partis textus: «Hoc intelligendum est non tantum de cognitione speculativa, sed quae est etiam quodaminodo experimentalis; quod ostendit hoc quod sequitur: "atque percipitur" quod proprie experientiam in dono percepto demonstrat».
220 Cf. 1, q. 54, a. 5 ad 2: «ln noi vi è esperienza quando conosciamo i singoli esseri mediante i sensi»; il testo più sviluppato si trova in Super Iob 12, 11-14, Leon,, t. 26, p. 81, righe 163-226; l'origine sensibile dell'esperienza nell'udito e nel gusto (audituS e gustus) serve da paradigma per quanto accade nella conoscenza, contemPlativa o pratica. Per uno studio completo e molto accurato di ciò che implica la conoscenza sperimentale nei suoi vari livelli, ci si riferirà a F. ELISON ARAGON, Conocer por experieflcia Un estudio de sus modos y valoraciòn en la Summa theologica de Tomas de Aquino, RET 52 (1992) 5-50, 189-229.
221 In Ps. 33, n. 9: Vivès, t. 18, p. 419
222 II-II, q. 97, a. 2 ad 2; cf. I, q. 64, a. 1: «Vi è una duplice conoscenza della verità: una che si ottiene per grazia, l'altra che si ottiene mediante la natura.
Quel che si ottiene per grazia è essa stessa duplice: una che è soltanto speculativa, come quando qualcuno riceve la conoscenza dei segreti divini per rivelazione; l'altra ch è affettiva e produce l'amore di Dio, e questa è un dono dello Spirito Santo».
223 Cf. I, q. 1, a. 6 ad 3; la conoscenza per connaturalità ha dato origine a numerosi studi, cf. I. BIFFI, Teologia, Storia e Contemplazione in Tommaso d'Aquino, pp. 87-127, cap. 2: «Il giudizio "per quandam connaturalitatem" o "per modum inclinationis" secondo san Tommaso: Analisi e prospettive», con la bibliografia, p. 90, n. 22.
224 In loan. 1, 39, lect. 15, nn. 292-293 cf. ancora ibid., 17, 23, lect. 5, nn. Sent. I, d. 1; cf anche I-II, q. 11; anche se si discosta dal Lombardo, che 2250
225 In Ioan. 1, 39, lect 15; cf, ancora ibid., 17, 23, lect. 5.
226 I, q. 43, a. 3 ad 1
227 A. PATFOORT, Missions divines et expérience, p. 552
228 Sent. I,d. 15,q. 4,a.2 arg.4 et ad 4
229 Cf. J.-P. TORRELL, La pratique pastorale, p. 242