Summa Teologica - I

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Articolo 1 - Se l'anima conosca i corpi mediante l'intelletto

De Verit., q. 10, a. 4

Pare che l'anima non conosca i corpi mediante l'intelletto.

Infatti:

1. Dice S. Agostino [ Solil. 2,4 ]: « I corpi non possono essere percepiti dall'intelletto; e una realtà corporea non può essere vista che dai sensi ».

E altrove [ De Gen. ad litt. 12,24.50 ] afferma che la visione intellettuale riguarda quegli oggetti che per loro natura si trovano nell'anima.

Ma ciò non avviene per i corpi.

Quindi l'anima non può conoscere i corpi con l'intelligenza.

2. Come sta il senso agli oggetti intelligibili, così sta l'intelletto a quelli sensibili.

Ma l'anima non può in alcun modo conoscere con i sensi le realtà spirituali, che sono intelligibili.

Quindi non potrà assolutamente conoscere con l'intelletto i corpi, che sono realtà sensibili.

3. L'intelletto ha per oggetto entità necessarie e invariabili.

Ma i corpi sono tutti mobili e variabili.

Quindi l'anima non può conoscere i corpi mediante l'intelletto.

In contrario:

La scienza risiede nell'intelletto.

Ora, se questa facoltà non conoscesse i corpi, verrebbe negata ogni scienza dei corpi, e perirebbero così le scienze naturali, che si occupano dei corpi soggetti a mutamento.

Dimostrazione:

A chiarimento del problema bisogna ricordare che i primi filosofi che indagarono sulla natura delle cose ritenevano che nel mondo esistessero soltanto i corpi.

E poiché vedevano che tutti i corpi sono mutevoli, e ritenevano che tutte le cose fossero in continuo mutamento, pensarono che a noi non fosse possibile avere una qualsiasi certezza sulla verità delle cose.

Infatti non si può conoscere con certezza ciò che è in continuo divenire, dato che si dissolve prima di essere giudicato dalla mente.

E in tal senso Eraclito diceva, come riferisce Aristotele [ Met. 4,5 ], che « non è possibile toccare due volte la stessa acqua di un fiume che scorre ».

Seguì poi Platone [ Phaed. 49; Timaeus 5 ] il quale, per salvare la certezza della nostra conoscenza intellettiva, pose al di fuori di queste realtà corporee un altro genere di enti, svincolati dalla materia e dal moto, che egli chiamò specie o idee, partecipando le quali ogni essere concreto, singolare e sensibile, acquisterebbe la denominazione di uomo, di cavallo, o di altra cosa del genere.

Così dunque diceva che le scienze, le definizioni e tutto quanto appartiene alle operazioni intellettive non si riferirebbe ai corpi sensibili, ma a quelle entità immateriali e separate.

L'anima quindi non conoscerebbe intellettualmente queste realtà corporee, ma le loro specie separate.

Ma tutta questa teoria si rivela chiaramente falsa per due motivi.

Primo, perché si verrebbe a escludere dalle scienze sia la conoscenza del moto e della materia ( cose che formano l'oggetto delle scienze naturali ), sia le dimostrazioni che partono dalla causa motrice e da quella materiale, poiché dette specie sono immobili e immateriali.

- Secondo, perché è ridicolo che per conoscere cose che sono a noi manifeste mettiamo in campo altre entità che non possono costituire la loro sostanza, avendo un altro modo di essere.

Cosicché, anche conoscendo tali sostanze separate dalla materia, non potremmo con ciò emettere logicamente dei giudizi sulla realtà sensibile.

Ora, pare che Platone su questo punto abbia deviato dalla verità poiché, ritenendo che ogni conoscenza avvenga mediante una certa somiglianza [ fra oggetto e soggetto ], pensò che necessariamente la forma del conosciuto dovesse trovarsi nel conoscente allo stesso modo in cui è nel conosciuto.

Considerando poi che la forma della cosa conosciuta si trova nell'intelletto in maniera universale, immateriale e immobile - il che appare dalla stessa attività dell'intelletto, il quale intende in modo universale e secondo una certa necessità: infatti il modo dell'azione è secondo il modo della forma dell'agente -, pensò che le cose dovessero esistere in se stesse in questo medesimo modo, cioè in maniera immateriale e immobile.

Ma queste induzioni non sono concludenti.

Vediamo infatti che anche nella realtà sensibile la stessa forma si trova diversamente nei vari soggetti.

La bianchezza, p. es., in uno è più intensa, in un altro è più debole; in un soggetto è congiunta con la dolcezza, in un altro ne è separata.

E così, in modo analogo, la forma sensibile ha un diverso modo di essere nelle realtà che sono fuori dell'anima e nei sensi, i quali ricevono senza materia le forme delle realtà sensibili: il colore dell'oro, p. es., senza l'oro.

E allo stesso modo anche l'intelletto riceve immaterialmente e immobilmente, in conformità appunto al suo modo di essere, le specie intenzionali dei corpi, che sono materiali e soggetti al moto: infatti la cosa ricevuta si trova nel soggetto ricevente in modo conforme alla natura del ricevente.

- Dobbiamo dunque concludere che l'anima, mediante l'intelletto, conosce i corpi con una conoscenza immateriale, universale e necessaria.

Analisi delle obiezioni:

1. Le parole di S. Agostino vanno riferite ai mezzi di cui si serve l'intelletto per conoscere, non agli oggetti che conosce.

Infatti l'anima conosce intellettualmente i corpi non mediante dei corpi, o immagini materiali e corporee, ma mediante immagini immateriali e intellettuali, che per la loro natura possono trovarsi nell'anima.

2. Al dire di S. Agostino [ De civ. Dei 22,29 ] non è giusto affermare che come i sensi conoscono soltanto le realtà corporee, così l'intelletto conosce solo quelle spirituali: ne verrebbe infatti che Dio e gli angeli non conoscerebbero le realtà materiali.

E la ragione della diversità sta nel fatto che una potenza inferiore non si estende al campo proprio di una facoltà superiore, ma una facoltà superiore può svolgere in modo più eminente le funzioni delle potenze inferiori.

3. Ogni moto presuppone qualcosa di immobile: quando infatti avviene una mutazione di qualità rimane immutata la sostanza, e quando cambia la forma sostanziale rimane immutata la materia.

Ma anche nelle realtà soggette a mutazione troviamo dei rapporti immutabili: p. es., sebbene Socrate non stia sempre seduto, pure è immutabilmente vero che quando egli siede rimane in un dato luogo.

Nulla quindi impedisce che si abbia una scienza immutabile intorno a cose soggette alla mutazione.

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