Summa Teologica - I

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Articolo 2 - Se le specie intelligibili astratte dai fantasmi siano l'oggetto stesso della nostra intellezione

C. G., II, c. 75; c. 11; De Verit., q. 10, a. 9; De Spir. Creat., a. 9, ad 6; Comp. Theol., c. 85, In 3 De anima, lect. 8

Pare che le specie intelligibili astratte dai fantasmi siano l'oggetto stesso della nostra intellezione.

Infatti:

1. L'oggetto attualmente conosciuto si trova nel soggetto conoscente: infatti l'oggetto attualmente pensato si identifica con l'intelletto attualmente pensante.

Ma la cosa conosciuta si trova nell'intelletto pensante solo mediante la specie intenzionale avuta per astrazione.

Quindi tale specie è l'oggetto stesso del nostro atto intellettivo.

2. L'oggetto pensato deve trovarsi in un dato soggetto, altrimenti non esisterebbe affatto.

Ma esso non si trova nella realtà esistente fuori dall'anima, poiché questa realtà, essendo materiale, non può essere oggetto attuale di intellezione.

Quindi rimane che tale oggetto deve trovarsi nell'intelletto.

E così non si distingue dalla specie intelligibile.

3. Scrive il Filosofo [ Periherm. 1,1 ] che « le parole sono i segni delle affezioni dell'anima ».

Ma le parole significano le cose pensate, poiché noi esprimiamo con la parola ciò che abbiamo compreso.

Quindi sono le affezioni dell'anima, cioè le specie intelligibili, che formano l'oggetto dell'intellezione attuale.

In contrario:

La specie intenzionale intellettiva sta all'intelletto come la specie sensibile sta al senso.

Ora, la specie sensibile non è ciò che viene percepito, ma il mezzo con cui il senso percepisce.

Quindi la specie intelligibile non è l'oggetto dell'atto intellettivo, ma il mezzo di cui si serve l'intelletto per intendere.

Dimostrazione:

Alcuni ritennero che le nostre potenze conoscitive possano conoscere soltanto le loro impressioni: il senso, p. es., non percepirebbe che le alterazioni del suo organo.

E in tale ipotesi l'intelletto non intenderebbe altro che la propria impressione, cioè la specie intenzionale che ha ricevuto.

Stando così le cose, detta specie sarebbe l'oggetto stesso dell'atto intellettivo.

Ma tale opinione risulta chiaramente falsa per due motivi.

Primo, perché l'oggetto della nostra intellezione si identifica con l'oggetto delle scienze.

Se dunque noi conoscessimo soltanto le specie intenzionali presenti nella nostra anima ne seguirebbe che tutte le scienze non avrebbero per oggetto le cose reali esistenti fuori dell'anima, ma soltanto le specie che si trovano in essa.

Infatti i Platonici, i quali pensavano che le idee fossero intese in atto, ritenevano che le scienze avessero per oggetto le idee [ q. 84, a. 1 ].

Secondo, perché ne seguirebbe l'errore di quegli antichi filosofi i quali affermavano che « la verità è ciò che pare [ a ognuno ] » [ cf. Arist., Met. 4,5 ]: e così sarebbero vere anche asserzioni contraddittorie.

Se infatti una facoltà non conosce altro che le proprie impressioni, può dare un giudizio soltanto su queste.

Ma un oggetto si presenta [ in un modo o in un altro ] secondo le disposizioni della potenza conoscitiva.

Quindi la potenza conoscitiva sarà portata a giudicare sempre il proprio oggetto, cioè la propria impressione, secondo il suo modo di essere: e così tutti i suoi giudizi saranno veri.

Se, p. es., il gusto non percepisce altro che la propria impressione, quando uno di gusto sano giudica che il miele è dolce, darà un giudizio vero; ma darà un giudizio ugualmente vero anche un malato dal gusto corrotto, quando lo giudica amaro: perché sia l'uno che l'altro giudicano secondo le disposizioni del loro gusto.

E così ogni opinione, e in genere ogni punto di vista, sarebbe ugualmente vero.

È perciò necessario affermare che le specie intelligibili sono il mezzo di cui l'intelletto si serve per conoscere.

Eccone la prova.

Come insegna Aristotele [ Met. 9,8] , ci sono due specie di operazioni: ve ne sono di quelle che rimangono nell'agente stesso, come il vedere e l'intendere, e ve ne sono altre che passano su di un oggetto esterno, come riscaldare e segare.

Ma sia le une che le altre si esercitano secondo una data forma.

E come la forma secondo cui si produce l'azione transitiva è una somiglianza dell'oggetto dell'azione - il calore di ciò che scalda, p. es., è una somiglianza del calore prodotto -, così la forma secondo cui si produce l'azione immanente deve essere un'immagine rappresentativa dell'oggetto.

Quindi l'immagine rappresentativa dell'oggetto visibile è il mezzo di cui si serve la vista per vedere, e l'immagine rappresentativa dell'oggetto intelligibile, vale a dire l'idea, è la forma di cui si serve l'intelletto per intendere.

Ma poiché l'intelletto può riflettere su se stesso, allora, in forza di questa riflessione, può conoscere la propria intellezione e quindi l'idea di cui si serve.

Quindi la specie intellettiva in un secondo tempo è anche oggetto d'intellezione.

Ma l'oggetto primario dell'intellezione rimane la realtà di cui l'idea è un'immagine rappresentativa.

E tutto ciò ha una riprova nella convinzione degli antichi, i quali ritenevano che « il simile è conosciuto dal simile ».

E ciò fino al punto di credere che l'anima conosce la terra esistente al di fuori per mezzo della terra contenuta in essa; e così per gli altri oggetti.

Ma se al posto della terra mettiamo l'idea della terra, secondo la dottrina di Aristotele [ De anima 3,8 ], il quale dice che « nell'anima non vi è la pietra, ma l'idea della pietra », avremo come conseguenza che l'anima conosce le realtà esistenti fuori di essa mediante dati intelligibili.

Analisi delle obiezioni:

1. L'oggetto pensato si trova nell'intelletto pensante con la sua immagine.

E si dice che l'oggetto pensato si identifica con l'intelletto pensante appunto perché l'immagine rappresentativa della cosa pensata diventa allora la forma dell'intelletto, come l'immagine della cosa sensibile diviene la forma del senso nell'atto del sentire.

Non ne segue perciò che la specie intelligibile sia l'oggetto dell'intellezione attuale, non essendo essa altro che un'immagine dell'oggetto.

2. L'espressione l'oggetto pensato contiene due elementi: l'oggetto conosciuto e il fatto della sua conoscenza.

Così pure quando si parla dell'universale astratto si intendono due cose: la natura stessa della cosa e l'astrazione o universalità [ della medesima ].

Ora, la natura che diviene oggetto di conoscenza, di astrazione o di universalizzazione esiste solo nei singolari concreti, mentre l'atto conoscitivo e l'astrazione o universalizzazione si trovano nell'intelletto.

E qualcosa di simile lo riscontriamo nei sensi.

Infatti la vista percepisce il colore del pomo senza il suo odore.

Se allora ci si domanda dove si trovi il colore che si vede senza l'odore, è chiaro che esso non può trovarsi altro che nel pomo, e il fatto che il pomo venga percepito senza l'odore dipende solo dalla vista, in quanto vi è in essa l'immagine del colore senza quella dell'odore.

Analogamente il concetto di umanità non si trova in concreto che in questo o in quel dato uomo particolare, ma che l'umanità venga percepita senza le condizioni individuanti, cioè il fatto della sua astrazione da cui deriva l'universalità, proviene all'umanità stessa proprio dall'essere pensata dall'intelletto, nel quale può trovarsi una rappresentazione della natura della specie senza quella dei princìpi individuanti.

3. Due sono le operazioni che si producono nella parte sensitiva.

Una avviene per semplice alterazione: e questa si compie per il solo fatto che il senso riceve l'impressione dall'oggetto sensibile.

L'altra si compie mediante una produzione, per il fatto cioè che l'immaginativa si forma la rappresentazione di un oggetto assente, o addirittura mai visto.

Ora, nell'intelligenza queste due operazioni si trovano riunite.

C'è infatti da considerare prima di tutto la ricezione dell'intelletto possibile, dovuta al fatto che esso viene attuato dalla specie intelligibile.

Una volta poi così attuato, esso passa a formare la definizione, o la divisione, o la composizione: e tutto ciò viene espresso dalla parola.

I [ singoli ] termini, quindi, esprimono la definizione, mentre l'enunziato esprime il dato intellettivo della composizione e della divisione.

Quindi le parole non stanno a indicare le specie intelligibili, ma ciò che l'intelletto forma in se stesso per giudicare le realtà esteriori.

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