Summa Teologica - I

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Articolo 6 - Se i corpi celesti rendano necessarie le cose sottoposte al loro influsso

In 2 Sent., d. 15, q. 1, a. 2, ad 3; a. 3, ad 4; C. G., III, c. 86; De Verit., q. 5, a. 9, ad 1, 2; De Malo, q. 6, ad 21; q. 16, a. 7, ad 14, 16; In 1 Periherm., lect. 14; In 6 Metaph., lect. 3

Pare che i corpi celesti rendano necessarie le cose sottoposte al loro influsso.

Infatti:

1. Posta la causa adeguata, è posto necessariamente anche l'effetto.

Ma i corpi celesti sono causa adeguata dei loro effetti.

Essendo quindi i corpi celesti, con i loro movimenti e con la loro disposizione, enti necessari, gli effetti devono derivarne necessariamente.

2. Gli effetti di un agente sorgono per necessità nella materia quando la virtù dell'agente è tanto grande da sottomettere completamente la materia stessa.

Ma tutta la materia dei corpi inferiori è sottoposta alla virtù dei corpi celesti come a una causa che li supera.

Quindi l'effetto dei corpi celesti si attua per necessità nella materia corporea.

3. Se l'effetto di un corpo celeste non si verifica necessariamente, ciò dipenderà da una causa che lo impedisce.

Ora, qualunque causa corporea che possa impedire l'effetto di un corpo celeste va riportata necessariamente a una causa celeste, dato che i corpi celesti influiscono su tutto ciò che si produce quaggiù.

Ma essendo necessaria anche questa causa celeste, ne segue che l'effetto dell'altro corpo celeste sarà impedito necessariamente.

Quindi tutto quanto accade quaggiù accade necessariamente.

In contrario:

Il Filosofo [ De somno et vig. 2 ] scrive: « Non c'è alcun inconveniente nel fatto che non si verifichino nella natura molti fenomeni dipendenti dai segni celesti, quali le piogge e i venti ».

Quindi non tutti gli effetti dei corpi celesti sono necessari.

Dimostrazione:

Il problema è in parte risolto in base a quanto si è spiegato in precedenza; in parte invece presenta ancora delle obiezioni.

Si è mostrato infatti [ a. 4 ] che, sebbene sotto l'influsso dei corpi celesti si producano nella materia corporea alcune inclinazioni, la volontà tuttavia non segue necessariamente tali inclinazioni.

Quindi nulla proibisce di pensare che un atto della volontà possa impedire l'effetto dei corpi celesti, sia nei riguardi dell'uomo stesso, sia nei riguardi degli altri esseri che entrano nel raggio dell'attività umana.

Ma tra gli esseri corporei non esiste un principio che abbia la libertà di assecondare o di non assecondare le mozioni celesti.

Quindi, almeno nella cerchia di tali esseri, pare che tutto debba accadere necessariamente: conformemente all'antica argomentazione di alcuni i quali, partendo dal presupposto che quanto esiste ha una causa, e che posta una causa è posto necessariamente anche l'effetto, concludevano che tutti i fenomeni sono necessari.

Aristotele però confuta questa opinione, scalzandone i due presupposti.

Anzitutto, infatti, non è vero che posta una causa qualsiasi sia posto necessariamente l'effetto.

Vi sono infatti delle cause che sono ordinate a produrre i loro effetti non sempre e per necessità, ma nella maggior parte dei casi, per cui talvolta, sebbene raramente, non raggiungono l'effetto.

- È anche vero però che tali cause non raggiungono talora il loro effetto soltanto perché interviene un'altra causa a impedirlo: quindi il predetto inconveniente non pare ancora evitato, poiché si potrebbe pensare che anche l'ostacolo frapposto dall'altra causa si verifichi necessariamente.

Diremo perciò, in secondo luogo, che ciò che è per se ha una causa, mentre ciò che è per accidens non ha causa, poiché non è veramente un ente, non possedendo una vera unità.

Infatti l'essere bianco ha la sua causa, come ha una causa l'essere musico: ma che un medesimo soggetto sia insieme bianco e musico non ha causa, poiché tale aggregazione non costituisce per natura né un ente né un'unità.

Ora, è chiaro talvolta che la causa che ostacola l'azione di un'altra causa ordinata a produrre il proprio effetto nella maggior parte dei casi interferisce su di essa solo per accidens: quindi tale interferenza, in quanto è per accidens, non ha causa.

E per questo motivo ciò che segue da tale coincidenza di cause non si riporta a una causa superiore da cui provenga per necessità.

Che p. es. un corpo terrestre sia reso infuocato nella parte alta dell'atmosfera e precipiti in basso può avere per causa una virtù celeste; parimenti, che sul terreno si trovi della materia atta a bruciare, anche ciò può ricondursi a un principio celeste.

Ma che quel fuoco, cadendo, vada a incontrare proprio quella materia e la bruci non ha per causa alcun corpo celeste, ma è un fatto puramente casuale [ o per accidens ].

È quindi evidente che non tutti gli effetti dei corpi celesti sono necessari.

Analisi delle obiezioni:

1. I corpi celesti sono causa dei fenomeni terrestri mediante cause terrestri particolari, e queste non sono tali da raggiungere sempre l'effetto.

2. La virtù del corpo celeste non è infinita.

Quindi, per produrre il suo effetto, richiede nella materia determinate disposizioni, sia quanto alla distanza locale, sia quanto alle altre condizioni.

Come quindi l'effetto del corpo celeste è impedito dalla distanza locale ( il sole infatti non produce, col suo calore, i medesimi effetti in Dacia e in Etiopia ), così esso può venire impedito dalla pesantezza della materia, dal suo stato di raffreddamento o di riscaldamento, o da altre simili disposizioni.

3. Benché la causa che impedisce l'effetto di un'altra causa dipenda anch'essa in definitiva da un corpo celeste, tuttavia la coincidenza delle due cause, essendo puramente casuale, non dipende da una causa celeste, come si è spiegato [ nel corpo ].

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