Summa Teologica - I-II

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Articolo 4 - Se l'atto esterno aggiunga qualcosa alla bontà o alla malizia dell'atto interno

In 2 Sent., d. 40, q. 1, a. 3; De Malo, q. 2, a. 2, ad 8

Pare che l'atto esterno non aggiunga nulla in bontà o in malizia all'atto interno.

Infatti:

1. Scrive il Crisostomo [ In Mt hom. 19 ]: « È la volontà che viene o premiata per il bene, o condannata per il male ».

Ma le opere sono una testimonianza della volontà.

Quindi Dio non cerca le opere per se medesimo, per sapere come giudicare, ma per gli altri, affinché tutti conoscano che Dio è giusto.

Ora, si deve giudicare del bene o del male più secondo il giudizio di Dio che secondo il giudizio degli uomini.

Quindi l'atto esterno non aggiunge nulla alla bontà o alla malizia dell'atto interno.

2. Come si è visto [ a. 3 ], unica è la bontà dell'atto interno e di quello esterno.

Ma l'aggiunta avviene mediante la sovrapposizione di una cosa a un'altra.

Quindi l'atto esterno non può aggiungere nulla in bontà o in malizia all'atto interno.

3. Tutta la bontà della creatura non aggiunge nulla alla bontà divina, poiché deriva interamente da essa.

Ma talora la bontà dell'atto esterno deriva interamente dalla bontà di quello interno, e qualche altra volta si verifica il contrario, come si è spiegato [ aa. 1,2 ].

Quindi l'uno non aggiunge nulla alla bontà o alla malizia dell'altro.

In contrario:

Ogni agente tende a conseguire il bene e a evitare il male.

Se quindi l'atto esterno non aggiungesse nulla di bene o di male, chi ha concepito un volere buono o cattivo inutilmente compirebbe un'opera buona, o desisterebbe da un'azione cattiva.

Il che è inammissibile.

Dimostrazione:

Se parliamo della bontà che deriva all'atto esterno dalla volizione del fine, allora l'atto esterno non aggiunge nulla in fatto di bontà, a meno che la volizione stessa non diventi intrinsecamente migliore nel bene, o peggiore nel male.

E ciò potrebbe avvenire in tre modi.

Primo, per un aumento numerico di atti.

Quando uno, p. es., vuole fare una cosa con un fine buono o cattivo, e non la compie subito, ma in seguito la vuole di nuovo e la compie: allora l'atto della volontà viene raddoppiato, e quindi si fanno o due atti buoni, o due peccati.

- Secondo, per una maggiore durata.

Uno, p. es., vuole fare una cosa con un fine buono o cattivo, ma desiste per un ostacolo; un altro invece continua il suo moto volitivo finché non compie l'impresa: è evidente che quest'ultimo volere è più perseverante o nel bene o nel male, e quindi è migliore o peggiore.

Terzo, per una maggiore intensità.

Ci sono infatti delle azioni esterne che, in quanto piacevoli o penose, per loro natura potenziano o indeboliscono la volontà.

Ora, è chiaro che una volizione tanto è migliore o peggiore quanto più intensamente tende al bene o al male.

Se invece parliamo della bontà che l'atto esterno riceve dall'oggetto e dalle debite circostanze, allora tale atto sta alla volizione come il suo termine o fine.

E sotto questo aspetto l'atto esterno aggiunge bontà o malizia alla volizione: poiché ogni inclinazione o moto ottiene la sua perfezione con il raggiungimento del fine, o del termine.

Per cui la volizione non è perfetta se non è tale da passare all'azione non appena l'occasione si presenta.

Se però manca questa possibilità, e il volere rimane pronto ad agire, allora la mancanza di perfezione dalla parte dell'atto esterno, di per sé, è cosa involontaria.

Ora, come ciò che è involontario non merita il premio o il castigo nell'operare il bene o il male, così non attenua il premio o la pena, se l'uomo viene meno nel compiere il bene o il male per cause del tutto involontarie.

Analisi delle obiezioni:

1. Il Crisostomo parla della volontà umana nella sua ultima perfezione, per cui essa non desiste dall'atto se non nell'impossibilità di compierlo.

2. L'argomento vale se si parla della bontà dell'atto esterno dipendente dalla volizione del fine.

Ora, la bontà che l'atto esterno deve alla materia e alle circostanze è distinta dalla bontà del volere dipendente dal fine; non è però distinta dalla bontà che la volizione ottiene dall'atto voluto, della quale essa è in certo qual modo ragione e causa, come si è detto [ aa. 1,2 ].

3. E così abbiamo risolto anche la terza obiezioni.

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