Summa Teologica - I-II

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Articolo 3 - Se il piacere sia distinto dalla gioia

Infra, q. 35, a. 2; In 3 Sent., d. 26, q. 1, a. 3; d. 27, q. 1, a. 2, ad 3; In 4 Sent., d. 49, q. 3, a. 1, sol. 4; C. G., I, c. 90; De Verit., q. 26, a. 4, ad 5

Pare che la gioia sia del tutto identica al piacere.

Infatti:

1. Le passioni dell'anima si distinguono in base agli oggetti.

Ora, è identico l'oggetto della gioia e del piacere, cioè il bene raggiunto.

Quindi la gioia si identifica in tutto con il piacere.

2. Un unico moto non può raggiungere due termini.

Ma il moto che raggiunge la gioia e il piacere, cioè il desiderio, è uno solo.

Quindi il piacere e la gioia sono in tutto la stessa cosa.

3. Se la gioia si distingue dal piacere, per lo stesso motivo anche la letizia, l'esultanza e la giocondità dovranno significare qualcosa di distinto dal piacere: e tutte saranno passioni diverse.

Il che è falso.

Quindi la gioia non si distingue dal piacere.

In contrario:

Per gli animali non si usa parlare di gioia.

Eppure per essi parliamo di piacere.

Quindi la gioia e il piacere non si identificano.

Dimostrazione:

La gioia, come dice Avicenna [ De anima 4,5 ], è una certa specie di piacere.

Come infatti ci sono desideri o concupiscenze naturali e desideri non naturali dipendenti dalla ragione, secondo le spiegazioni date [ q. 30, a. 3 ], così tra i piaceri alcuni sono naturali e altri non naturali, legati alla ragione.

Oppure, come insegnano il Damasceno [ De fide orth. 2,13 ] e S. Gregorio Nisseno [ Nemesio, De nat. hom. 18 ], « alcuni sono corporei, altri dell'anima », il che in sostanza è la stessa cosa.

Infatti proviamo piacere nelle cose che desideriamo naturalmente, quando le abbiamo ottenute, come anche in quelle che desideriamo secondo la ragione.

Ma il termine gioia viene usato soltanto per il piacere che accompagna la ragione: e così per gli animali non parliamo di gioia, ma di piacere.

- Tutto ciò che desideriamo secondo natura è però sempre possibile desiderarlo anche con il piacere della ragione, mentre non è vero il contrario.

Quindi ciò che è oggetto di piacere può anche essere oggetto di gioia negli esseri razionali, sebbene non sempre lo sia: infatti qualche volta uno sente nel corpo un piacere di cui la ragione non gode.

E in questo senso è chiaro che il piacere è più esteso della gioia.

Analisi delle obiezioni:

1. L'oggetto della facoltà appetitiva è il bene conosciuto: perciò una diversità nella conoscenza implica in qualche modo una diversità nell'oggetto.

Quindi i piaceri dell'anima [ propri dell'uomo ], che si chiamano anche gioie, sono distinti dai piaceri del corpo che sono soltanto piaceri: come sopra [ q. 30, a. 3, ad 2 ] abbiamo detto per i desideri.

2. Anche tra i desideri, o concupiscenze, esiste una differenza analoga: per cui il piacere corrisponde alla concupiscenza e la gioia al desiderio, che è proprio dell'anima.

C'è quindi corrispondenza tra le differenze del moto e della quiete.

3. Gli altri termini che si riferiscono al piacere derivano dai suoi effetti: infatti letizia viene dalla dilatazione del cuore, come se si dicesse latizia; esultanza invece deriva dai segni esterni visibili del piacere interno, che appaiono esteriormente in quanto la gioia interiore prorompe all'esterno; giocondità infine viene da certi speciali segni o effetti della gioia.

E tuttavia queste voci si riferiscono tutte alla gioia: infatti non le usiamo che per gli esseri dotati di ragione.

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