Summa Teologica - I-II

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Articolo 2 - Se il peccato abbia una causa interna

Pare che il peccato non abbia una causa interna.

Infatti:

1. Ciò che è interno a una cosa, vi si trova sempre.

Se dunque il peccato avesse una causa interna, l'uomo peccherebbe sempre: poiché posta una causa, si pone anche l'effetto.

2. Nessuna cosa può essere causa di se stessa.

Ma i moti interni dell'uomo sono peccato.

Quindi non ne sono causa.

3. Tutto ciò che è interno all'uomo o è naturale o è volontario.

Ma ciò che è naturale non può essere causa del peccato: poiché, al dire del Damasceno [ De fide orth. 2, cc. 4,30; 4, c. 20 ], il peccato è « contro natura ».

Ciò che invece è volontario, se disordinato, è già peccato.

Perciò nulla di ciò che è interiore può essere causa del peccato.

In contrario:

S. Agostino [ De lib. arb. 3,17.47 ] insegna che « la volontà è la causa del peccato ».

Dimostrazione:

Come si è detto [ a. prec. ], la causa del peccato è da ricercarsi nel peccato in quanto atto.

Ora, l'atto umano può avere delle cause interiori mediate e immediate.

Cause immediate sono la ragione e la volontà, che rendono l'uomo libero.

Cause remote sono invece la conoscenza sensitiva e l'appetito sensitivo: come infatti in base al giudizio della ragione la volontà si muove a un bene di ordine razionale, così in base alla percezione dei sensi l'appetito sensitivo si inclina verso un oggetto.

E questa inclinazione trascina talora la volontà e la ragione, come vedremo [ q. 77, a. 1 ].

Perciò si possono assegnare due cause interne del peccato: una prossima, legata alla volontà e alla ragione, e l'altra remota, connessa con l'immaginazione e con l'appetito sensitivo.

Ma sopra [ a. prec. ] si è anche detto che la causa del peccato è un bene apparente che muove in assenza del giusto motivo, cioè della regola della ragione o della legge di Dio: perciò la causa motrice che è il bene apparente appartiene alla conoscenza dei sensi e all'appetito, mentre la mancanza della regola dovuta appartiene alla ragione, che è fatta per considerare tale regola.

Ma il compimento dell'atto volontario del peccato appartiene alla volontà: per cui l'atto stesso della volontà, presupposte le cause suddette, costituisce già un certo peccato.

Analisi delle obiezioni:

1. Ciò che è intrinseco come facoltà naturale è sempre presente, ma ciò che è intrinseco come atto interno di una potenza appetitiva o conoscitiva non lo è sempre.

Ora, la volontà è causa del peccato in potenza, e viene portata all'atto dai moti preparatori prima della parte sensitiva e quindi della ragione.

Infatti la ragione cessa talora dal considerare la regola dovuta dietro la proposta di un bene sensibilmente appetibile e l'inclinazione verso di esso dell'appetito sensitivo: e così la volontà produce l'atto peccaminoso.

Poiché dunque i moti precedenti non sono sempre in atto, neppure il peccato è sempre in atto.

2. Non tutti i moti interiori appartengono all'essenza del peccato, il quale consiste principalmente nell'atto della volontà, ma alcuni precedono e altri seguono il peccato.

3. Ciò che è causa del peccato quale potenza generatrice dell'atto è naturale.

E così pure sono spesso naturali i moti della parte sensitiva a cui segue il peccato: come nel caso di chi pecca spinto dall'appetito del cibo.

Ma il peccato diviene innaturale per la mancanza della norma naturale che l'uomo per natura sua deve seguire.

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