Summa Teologica - I-II

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Articolo 4 - Se sia giusto enumerare sette vizi capitali

In 2 Sent., d. 42, q. 2, a. 3; De Malo, q. 8, a. 1

Pare che non sia giusta l'enumerazione di sette vizi capitali, che sarebbero: la vanagloria, l'invidia, l'ira, la tristezza [ o accidia ], l'avarizia, la gola, la lussuria.

Infatti:

1. I vizi si contrappongono alle virtù.

Ma sopra [ q. 61, a. 2 ] si è dimostrato che le virtù principali sono quattro.

Perciò non possono essere che quattro i vizi principali, o capitali.

2. Le passioni dell'anima, come si è detto [ q. 77 ], sono tra le cause del peccato.

Ma le passioni principali sono quattro.

Invece tra i vizi elencati due di esse, cioè la speranza e il timore, non sono neppure ricordate, mentre vengono distintamente enumerati dei vizi che sono uniti nel piacere o nella tristezza: infatti il piacere interessa sia la gola che la lussuria, e la tristezza interessa sia l'accidia che l'invidia.

Perciò questa enumerazione dei peccati principali non è esatta.

3. L'ira non è una delle passioni principali.

Quindi non andava messa tra i vizi capitali.

4. Come la cupidigia, o avarizia, è la radice dei peccati, così la superbia ne è l'inizio, secondo le conclusioni precedenti [ a. 2 ].

Ma l'avarizia è posta come uno dei sette vizi capitali.

Quindi nell'enumerazione non doveva mancare la superbia.

5. Ci sono dei peccati che non possono essere causati da nessuno dei sette vizi ricordati: come il peccato di chi sbaglia per ignoranza, o di chi commette una mancanza animato da qualche buona intenzione, p. es. di chi ruba per fare l'elemosina.

Quindi l'enumerazione dei vizi capitali è inadeguata.

In contrario:

Sta il testo di S. Gregorio [ Mor. 31,45 ], che così li enumera.

Dimostrazione:

Si è già detto [ a. prec. ] che si chiamano vizi capitali quelli dai quali gli altri derivano, specialmente come dalla loro causa finale diretta.

Ora, questa derivazione può essere considerata sotto due aspetti.

Primo, partendo dalle disposizioni del peccatore, il quale è predisposto in maniera da tendere soprattutto a un dato fine, a partire dal quale ordinariamente viene spinto verso altri peccati.

Ma questa derivazione non può essere oggetto di scienza: poiché le disposizioni particolari degli uomini sono infinite.

- Secondo, partendo dalla connessione naturale dei fini tra di loro.

E da questo punto di vista ordinariamente un dato vizio deriva da un altro.

Per cui questo tipo di derivazione può essere oggetto di scienza.

Seguendo dunque quest'ultimo criterio si denominano capitali quei vizi i cui fini presentano attrattive fondamentali atte a muovere l'appetito: e in base alle loro differenze si distinguono i vizi capitali.

Ora, una cosa può muovere l'appetito in due modi.

Primo, direttamente e per se stessa: e sotto questo aspetto il bene muove l'appetito attraendo, mentre il male suscitando una ripulsa.

Secondo, indirettamente e come di riflesso: nel caso, p. es., di chi affronta un male mirando al bene connesso, oppure nel caso di chi fugge un bene per il male che lo accompagna.

Ora, il bene umano è di tre generi.

Primo, c'è un certo bene dello spirito che presenta un'attrattiva per la sola conoscenza, ed è l'eccellenza della lode o degli onori: e tale bene viene perseguito disordinatamente dalla vanagloria.

Il secondo è il bene del corpo: e questo o riguarda la conservazione dell'individuo, come il cibo e la bevanda, perseguiti disordinatamente dalla gola, oppure interessa la conservazione della specie, come il rapporto sessuale, oggetto della lussuria.

Il terzo è il bene esterno, cioè la ricchezza: e questo viene perseguito dall'avarizia.

E questi quattro vizi fuggono anche i mali contrari.

Possiamo però anche dare un'altra spiegazione.

Il bene infatti muove l'appetito in quanto rispecchia qualche proprietà della beatitudine, che tutti per natura desiderano.

Ora, la felicità implica prima di tutto una certa perfezione, poiché la felicità è un bene perfetto: e a ciò corrisponde l'eccellenza, o la fama, oggetto della superbia o vanagloria.

Secondo, la felicità implica l'idea di sufficienza: ed è quanto persegue l'avarizia nelle ricchezze che la promettono.

Terzo, condizione della felicità è il godimento, senza il quale, come nota Aristotele [ Ethic. 1,8; 10,7 ], non ci può essere felicità: ed esso viene desiderato dalla gola e dalla lussuria.

A sua volta la fuga di un bene, per il male che lo accompagna, avviene in due modi.

O tale fuga riguarda il proprio bene, e allora abbiamo l'accidia, che è la nausea dei beni spirituali per il travaglio corporale che li accompagna.

Oppure riguarda il bene altrui: e allora, se non è accompagnata da ribellione, abbiamo l'invidia, che è la tristezza per il bene altrui, concepito come impedimento della propria eccellenza; se invece c'è la ribellione che spinge alla vendetta abbiamo l'ira.

E a questi medesimi vizi spetta il perseguimento dei mali contrari.

Analisi delle obiezioni:

1. Il processo di origine dei vizi non è identico a quello delle virtù: poiché le virtù sono causate dalla subordinazione dell'appetito alla ragione, o al bene eterno che è Dio, mentre i vizi nascono dal desiderio dei beni transitori.

Perciò non è detto che ai vizi principali si debbano contrapporre le principali virtù.

2. Il timore e la speranza sono passioni dell'irascibile.

Ora, tutte le passioni dell'irascibile derivano da quelle del concupiscibile: e queste sono tutte ordinate, in qualche modo, al piacere e alla tristezza.

Quindi il piacere e la tristezza sono ricordate come passioni principalissime tra i peccati capitali, come già si disse in precedenza [ q. 25, a. 4 ].

3. Sebbene l'ira non sia tra le passioni principali, viene tuttavia ricordata distintamente tra gli altri vizi capitali perché ha un movente particolare: in quanto cioè nell'impugnare il bene altrui considera l'atto come cosa onesta, ossia come una giusta vendetta.

4. La superbia è l'inizio di tutti i peccati sotto l'aspetto del fine, come si è notato [ a. 2 ].

Ora, è sotto questo medesimo aspetto che viene considerata la priorità dei vizi capitali.

Perciò la superbia, come se fosse un vizio universale, non entra nel loro numero ma è posta, al dire di S. Gregorio [ l. cit. nel s.c. ], come la regina di tutti i vizi.

L'avarizia poi viene denominata radice sotto un altro aspetto, come si è detto [ aa. 1 e 2 ].

5. Chiamiamo capitali questi vizi perché più di frequente gli altri da essi derivano.

Ma nulla impedisce che talora alcuni peccati derivino da altre cause.

- Tuttavia possiamo anche dire che tutti i peccati di ignoranza si possono ridurre all'accidia, da cui nasce la negligenza nell'acquisto dei beni spirituali a motivo della fatica: infatti l'ignoranza che può essere causa di peccato proviene dalla negligenza, secondo le spiegazioni date [ q. 76, a. 2 ].

E così pure sembra dovuto all'ignoranza il fatto che uno commetta un peccato animato da buona intenzione: poiché egli non ha appreso che non si può fare il male perché ne venga un bene.

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