Summa Teologica - I-II

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Articolo 4 - Se l'antica legge avesse dato buoni precetti riguardo alle persone di famiglia

In 4 Sent., d. 33, q. 1, a. 3, sol. 3, ad 3; q. 2, a. 2, sol. 1, 2, 4; C. G., III, cc. 123, 125

Pare che l'antica legge non abbia dato buoni precetti riguardo alle persone di famiglia.

Infatti:

1. Come dice il Filosofo [ Polit. 1,2 ], «l o schiavo è del padrone in tutto ciò che è ».

Ma chi appartiene in questo modo a un altro, deve appartenergli in perpetuo.

Perciò non è giusto il comando della legge [ Es 21,2 ] che gli schiavi andassero liberi nel settimo anno.

2. Lo schiavo è proprietà del padrone, come l'asino e il bue.

Ora, la Scrittura [ Dt 22,1ss ] comanda di riportare al suo padrone gli animali fuggitivi.

Quindi non è ragionevole questo precetto del Deuteronomio [ Dt 23,16 ]: « Non consegnerai al suo padrone uno schiavo che si sarà rifugiato presso di te ».

3. La legge divina, più ancora della legge umana, deve educare alla misericordia.

Ma secondo le leggi umane sono puniti gravemente coloro che castigano con troppa durezza gli schiavi o le schiave.

Ora, il castigo più duro sembra essere quello a cui segue la morte.

Perciò non è giusto, come si dice nell'Esodo [ Es 21,20s ], che « chi colpisce con il bastone il suo schiavo o la sua schiava ( … ), se sopravviveranno un giorno o due, non saranno vendicati, poiché sono acquisto del suo danaro ».

4. Come insegna Aristotele [ Polit. 1,5; 3,4 ], il dominio del padrone sullo schiavo è diverso da quello del padre sul figlio.

Ora, [ solo ] il dominio sugli schiavi implica il potere di venderli.

Perciò la legge non fece bene a permettere che uno potesse vendere sua figlia come serva, o schiava [ Es 21,7 ].

5. Il padre ha il figlio in suo potere.

Ora, punire gli abusi spetta a chi ha il potere su chi sbaglia.

Perciò non è giusta la prescrizione del Deuteronomio [ Dt 21,18ss ] di portare il proprio figlio dinanzi agli anziani della città per farlo punire.

6. Il Signore proibiva [ Dt 7,3ss ] che si facessero matrimoni con gli stranieri, e persino che si rompessero quelli già contratti [ 1 Esd 10 ].

Quindi non è ragionevole la concessione fatta nel Deuteronomio [ Dt 21,10ss ] di poter sposare donne straniere.

7. Il Signore aveva stabilito, nel Levitico [ Lv 18 ], che nei matrimoni si evitassero certi gradi di consanguineità e di affinità.

Perciò è ingiustificabile il comando, riportato dal Deuteronomio [ Dt 25,5 ], che se uno fosse morto senza figli suo fratello ne prendesse la moglie.

8. Tra marito e moglie ci deve essere la più stabile fedeltà, come c'é la più grande familiarità.

Ma ciò è impossibile se il matrimonio può essere sciolto.

Non si giustifica quindi il permesso dato dal Signore [ Dt 24,1ss ] di poter rimandare la moglie dopo aver compilato il libello del ripudio; e anche l'ordine di non poterla più riavere.

9. Come la moglie può mancare di fedeltà verso il marito, così può mancare lo schiavo verso il padrone e il figlio verso il padre.

Ma per scoprire il tradimento dello schiavo verso il padrone, o del figlio verso il padre, la legge non stabiliva alcun sacrificio.

Sembra quindi superfluo il sacrificio di gelosia, istituito per scoprire l'adulterio delle mogli [ Nm 5,12ss ].

Così dunque sembra che l'antica legge non abbia dato buoni precetti giudiziali riguardo alle persone di famiglia.

In contrario:

Sta scritto nei Salmi [ Sal 19,10 ]: « I giudizi del Signore sono tutti fedeli e giusti ».

Dimostrazione:

La convivenza delle persone di famiglia, come nota il Filosofo [ Polit. 1,1 ], è basata sulle azioni quotidiane ordinate ad assicurare il necessario alla vita.

Ora, la vita umana si conserva in due modi.

Primo, nell'individuo, cioè in quanto vive l'uomo singolo: e per conservare questa vita l'uomo fa uso dei beni esterni, dai quali ricava il vitto, il vestito e altre simili cose necessarie; e per curare questi beni l'uomo può avere bisogno di servi.

Secondo, la vita umana si conserva nella specie mediante la generazione, per la quale l'uomo ha bisogno della moglie, da cui genera i figli.

Perciò nella vita familiare ci possono essere tre specie di rapporti: padrone e schiavo, marito e moglie, padre e figlio.

E rispetto a tutti questi rapporti l'antica legge diede dei precetti opportuni.

Infatti rispetto agli schiavi stabiliva che venissero trattati con bontà, e quindi che non fossero oppressi con un lavoro eccessivo.

Infatti il Signore comandava [ Dt 5,14 ]: nel giorno di sabato « riposino come te il tuo schiavo e la tua schiava ».

E lo stesso si dica dei castighi: poiché impose come punizione, a chi avesse mutilato i propri schiavi, di rimandarli liberi [ Es 21,26s ].

E la stessa cosa comandava per la schiava che uno avesse preso per moglie [ Es 21,7ss ].

- Per gli schiavi ebrei poi stabiliva in particolare che al settimo anno tornassero liberi, con tutte le cose che avevano portato con sé, e con le loro vesti [ Es 21,2ss ].

Inoltre era prescritto di dar loro il necessario per il viaggio [ Dt 15,13s ].

Rispetto alle mogli invece la legge stabiliva [ prima di tutto ] delle norme relative alla loro scelta.

E cioè che si prendessero mogli della propria tribù: e ciò affinché i lotti assegnati alle varie tribù non si mescolassero.

Inoltre comandava di sposare la moglie del proprio fratello morto senza prole: e questo perché chi non aveva avuto dei posteri per generazione carnale li avesse almeno per una specie di adozione, e quindi non venisse del tutto cancellato il ricordo del defunto.

Proibiva inoltre di sposare determinate persone, cioè gente straniera, per il pericolo di lasciarsi sedurre, e parenti stretti, per il rispetto naturale a essi dovuto.

- Stabiliva poi anche come dovevano essere trattate le mogli che avevano sposato.

Cioè che non venissero infamate con leggerezza: per cui la legge comandava di punire chi avesse accusato falsamente di un delitto la propria moglie [ Dt 22,13ss ].

Stabiliva inoltre che per odio verso una moglie non si potessero pregiudicare i diritti del figlio [ Dt 21,15ss ].

E ordinava di non vessare per odio la moglie, ma di lasciarla, dandole il libello del ripudio [ Dt 24,1 ].

E per fomentare all'inizio un amore più forte tra i coniugi la legge stabiliva che quando uno si era sposato da poco non gli venisse imposto alcun onere per le necessità pubbliche, affinché potesse stare contento con sua moglie.

Finalmente riguardo ai figli la legge stabiliva che il padre li educasse, istruendoli nella fede.

Infatti nell'Esodo [ Es 12,26s ] si legge: « Quando i vostri figli vi diranno: "Che significa questo atto di culto?", voi direte loro: È il sacrificio della pasqua per il Signore ».

E che li istruisse nei buoni costumi: per cui sta scritto nel Deuteronomio [ Dt 21,20 ] che i genitori devono dire: « Questo nostro figlio è testardo e ribelle; non vuole obbedire alla nostra voce, è uno sfrenato e un bevitore ».

Analisi delle obiezioni:

1. I figli d'Israele erano stati liberati dalla schiavitù dal Signore, e quindi chiamati al servizio di Dio: perciò il Signore non volle che divenissero schiavi in perpetuo.

Nel Levitico [ Lv 25,39ss ] infatti si legge: « Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a te, non farlo lavorare come schiavo; Sia presso di te come un bracciante, come un inquilino.

Poiché essi sono miei servi, che io ho fatto uscire dal paese d'Egitto; non debbono essere venduti come si vendono gli schiavi ».

Per questo essi, non essendo schiavi in senso assoluto, ma relativo, finito quel dato tempo tornavano liberi.

2. Quel precetto valeva per lo schiavo che il padrone ricercava per ucciderlo, o per compiere qualche misfatto.

3. Rispetto alle lesioni provocate negli schiavi, sembra che la legge intendesse procedere a un accertamento.

Se infatti la lesione fosse stata certa, la legge stabiliva una pena: cioè la perdita dello schiavo, che doveva essere rimandato libero, se si trattava di una mutilazione; la pena capitale invece per l'uccisione, se lo schiavo fosse morto fra le mani del padrone che lo picchiava.

- Se invece la lesione non era sicura, ma aveva una certa apparenza, trattandosi del proprio schiavo la legge non imponeva alcuna pena: quando p. es. lo schiavo percosso non moriva subito, ma dopo alcuni giorni.

Perché appunto non era certo che fosse morto per le percosse.

Se infatti uno avesse percosso un uomo libero, il quale non fosse morto subito, ma avesse ancora potuto camminare col suo bastone, anche se in seguito fosse morto, il percussore non era reo di omicidio.

Tuttavia era tenuto a rifondere il danaro che quello aveva speso per curarsi.

Ciò invece non avveniva trattandosi del proprio schiavo: poiché quanto lo schiavo possedeva, e la stessa sua persona, appartenevano al padrone.

È perciò ricordato il motivo per cui questi veniva esonerato dalla pena pecuniaria: « Perché è acquisto del suo danaro ».

4. Nessun ebreo, come si è detto [ ad 1 ], poteva possedere quale vero schiavo un altro ebreo, ma costui era schiavo in senso lato, cioè quasi un mercenario e per un dato tempo.

Ora, la legge permetteva di vendere in questo modo il figlio o la figlia in caso di miseria.

E ciò risulta dalle parole stesse della legge: « Se uno vende la figlia come schiava, essa diventerà poi libera, ma non alla maniera delle altre schiave ».

E in tal modo uno poteva vendere non solo i figli, ma anche se stesso, cioè più come mercenario che come servo, come leggiamo nel Levitico [ Lv 25,39s ]: « Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a te, non farlo lavorare come schiavo: sia presso di te come un bracciante, come un inquilino ».

5. Come dice il Filosofo [ Ethic. 10,9 ], il dominio paterno ha il solo potere di ammonire, ma non ha la forza coattiva per reprimere i ribelli e gli incorreggibili.

Per cui in questo caso la legge comandava che il figlio incorreggibile fosse punito dai maggiorenti della città.

6. Il Signore aveva proibito di sposare donne straniere per il pericolo di farsi sedurre dalla loro idolatria.

E questa proibizione riguardava specialmente i pagani confinanti, i cui riti gli ebrei avrebbero potuto abbracciare facilmente.

Se invece la donna voleva abbandonare l'idolatria e passare al culto della legge, allora la si poteva sposare: come è evidente nel caso di Rut, che fu sposata da Booz.

Per cui essa aveva detto alla suocera [ Rt 1,16 ]: « Il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio ».

Perciò la donna presa in guerra non poteva essere sposata se non dopo che si era rasa i capelli, tagliate le unghie, aveva abbandonate le vesti con cui era stata presa e aveva pianto il padre e la madre: gesti che indicavano l'abbandono definitivo dell'idolatria.

7. Come spiega il Crisostomo [ In Mt hom. 48 ], « fu stabilito che a chi moriva fosse dato un figlio dal fratello: il che mitigava in qualche modo la morte, poiché per gli ebrei, abituati a far tutto per la vita presente, la morte era un male irrimediabile.

Ed era ordinato che a prendere per moglie la vedova fosse il fratello, o un parente del morto: sia perché altrimenti il figlio che fosse nato dalla vedova non sarebbe stato considerato ugualmente figlio del morto, sia perché un estraneo non si sarebbe sentito ugualmente impegnato a curare la casa del defunto, come invece il fratello, che aveva questo dovere anche per la parentela ».

Dal che si rileva che uno, sposando la vedova del proprio fratello, agiva in persona del fratello defunto.

8. La legge permetteva il ripudio della moglie non perché fosse realmente una cosa giusta, ma per la durezza degli ebrei, come disse il Signore [ Mt 19,8 ].

Ma di ciò bisognerà parlare più ampiamente nel trattato sul matrimonio [ cf. Suppl. q. 67 ].

9. Le mogli, nel mancare di fedeltà ai mariti con l'adulterio, agiscono senza obiezioni, a motivo del piacere, e di nascosto, poiché, come diceva Giobbe [ Gb 24,15 ], « l'occhio dell'adultero spia il buio ».

Invece non è così nell'infedeltà del figlio verso il padre, o del servo verso il padrone: poiché questa infedeltà non deriva dall'attrattiva del piacere, ma piuttosto dalla malizia; e non può rimanere così nascosta come l'infedeltà di una donna adultera.

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