Summa Teologica - II-II

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Articolo 4 - Se la fede informe possa divenire formata, e viceversa

In 3 Sent., d. 23, q. 3, a. 4, sol. 1, 3; De Verit., q. 14, a. 7; In Rom., c. 1, lect. 6

Pare che la fede informe non possa divenire formata, e neppure viceversa.

Infatti:

1. Secondo S. Paolo [ 1 Cor 13,10 ], « quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà ».

Ora, la fede informe è imperfetta rispetto a quella formata.

Quindi la fede informe viene eliminata al sopraggiungere di quella formata, e così non è numericamente la stessa.

2. Ciò che è morto non può ridiventare vivo.

Ma la fede informe è morta, come dice S. Giacomo [ Gc 2,17.20.26 ]: « La fede senza le opere è morta ».

Quindi la fede informe non può divenire formata.

3. La grazia di Dio che sopraggiunge non ha meno efficacia in un fedele che in un infedele.

Ma quando viene in un uomo infedele essa causa in lui l'abito della fede.

Perciò anche quando viene in un fedele che ha soltanto l'abito della fede informe causa in lui un nuovo abito di fede.

4. Come insegna Boezio [ In cat. Arist., De subst. ], gli accidenti non subiscono alterazioni.

Ma la fede è un accidente.

Quindi la stessa fede non può essere ora formata e ora informe.

In contrario:

Sta scritto [ Gc 2,17 ]: « La fede senza le opere è morta »; ma la Glossa [ interlin. ] aggiunge: « con esse però revivisce ».

E così quella fede che prima era morta e informe diviene formata e viva.

Dimostrazione:

Su questo argomento ci sono state diverse opinioni.

Alcuni infatti dissero che gli abiti della fede formata e di quella informe sono due abiti distinti, e che la presenza della fede formata elimina la fede informe.

E così pure in un uomo che pecca mortalmente alla fede formata succederebbe un secondo abito, quello della fede informe, infuso da Dio.

- Non pare però conveniente che la grazia venendo in un uomo elimini un dono di Dio; e neppure è conveniente che venga infuso un dono di Dio per un peccato mortale.

Perciò altri sostennero che tali abiti sono sì due abiti distinti, ma l'abito della fede informe non viene eliminato al sopraggiungere della fede formata, rimanendo nel medesimo soggetto assieme all'abito della fede formata.

Ma anche ciò non pare conveniente, che cioè l'abito della fede informe rimanga inerte in chi ha la fede formata.

Si deve quindi concludere diversamente, e cioè che l'abito della fede formata e di quella informe è identico.

E la ragione di ciò sta nel fatto che gli abiti si diversificano tra loro solo in forza di ciò che loro appartiene essenzialmente.

Ora, essendo la fede una perfezione dell'intelletto, appartiene ad essa essenzialmente solo ciò che appartiene all'intelletto; ciò che appartiene alla volontà non appartiene invece alla fede essenzialmente, così da provocare una diversità di abiti in essa.

Ma la distinzione tra fede formata e informe è basata su quanto appartiene alla volontà, cioè sulla carità, e non già su ciò che appartiene all'intelletto.

Quindi la fede formata e quella informe non sono due abiti distinti.

Analisi delle obiezioni:

1. Le parole dell'Apostolo valgono solo per le cose imperfette in cui l'imperfezione è essenziale.

In questi casi infatti la presenza di ciò che è perfetto esclude ciò che è imperfetto: come l'aperta visione esclude la fede, a cui è essenziale la non evidenza.

Quando invece l'imperfezione non è essenziale alla cosa imperfetta, allora l'identica cosa che prima era imperfetta può divenire perfetta: come la puerizia non fa parte dell'essenza nell'uomo, per cui l'identico soggetto che prima era bambino diviene adulto.

Ora, lo stato informe non è essenziale alla fede, ma è per essa accidentale, come si è notato [ nel corpo ].

Perciò l'identica fede che era informe diviene formata.

2. Ciò che dà vita all'animale, cioè l'anima, fa parte della sua natura, essendone la forma essenziale.

E così un essere morto non può ridiventare vivo, ma l'essere morto è specificamente diverso da quello vivo.

Ciò che invece rende formata o viva la fede non è una parte essenziale della fede.

Perciò il paragone non regge.

3. La grazia causa la fede non solo quando questa viene prodotta per la prima volta nell'uomo, ma anche per tutto il tempo in cui essa dura: abbiamo infatti dimostrato sopra [ I, q. 104, a. 1; I-II, q. 109, a. 9 ] che Dio produce di continuo la giustificazione dell'uomo, come il sole compie di continuo l'illuminazione dell'aria.

Perciò la grazia non agisce meno sui fedeli che sugli infedeli: poiché in tutti e due i casi produce la fede, negli uni rafforzandola e perfezionandola, negli altri creandola.

Oppure si può rispondere che è per accidens, cioè per la disposizione del soggetto, che la grazia non produce la fede in chi la possiede.

Avviene cioè quello che capita, in senso inverso, per i peccati mortali successivi al primo, i quali non possono togliere la grazia a chi l'ha già perduta col primo peccato mortale.

4. Per il fatto che la fede formata diviene informe muta non la fede in se stessa, ma il soggetto, cioè l'anima: la quale talvolta ha la fede con la carità, e talvolta senza.

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