Summa Teologica - II-II

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Articolo 6 - Se il dono dell'intelletto sia distinto dagli altri doni

I-II, q. 68, a. 4; In 3 Sent., d. 35, q. 2, a. 2, sol. 3

Pare che il dono dell'intelletto non sia distinto dagli altri doni.

Infatti:

1. Non possono essere distinte quelle qualità i cui contrari non sono distinti fra loro. Ora, S. Gregorio [Mor. 2, 49] insegna che il contrario della sapienza è la stoltezza, dell'intelletto l'ottusità, del consiglio la precipitazione e della
scienza l'ignoranza. Ma la stoltezza, l'ottusità, l'ignoranza e la precipitazione non paiono distinguersi fra loro.

Quindi neppure l'intelletto si distingue dagli altri doni.

2. La virtù intellettuale dell'intelletto si distingue dalle altre virtù intellettuali per un elemento caratteristico, cioè perché ha per oggetto i princìpi per sé noti.

Ma il dono dell'intelletto non ha per oggetto dei princìpi per sé noti: infatti per quelli innati basta l'abito dei primi princìpi, e per quelli soprannaturali basta la fede, essendo gli articoli di fede, secondo le spiegazioni date [ q. 1, a. 7 ], come i primi princìpi nella conoscenza soprannaturale.

Perciò il dono dell'intelletto non si distingue dagli altri doni di ordine intellettivo.

3. Ogni conoscenza intellettiva o è speculativa o è pratica.

Ma il dono dell'intelletto, come si è visto [ a. 3 ], è insieme speculativo e pratico.

Quindi non si distingue dagli altri doni di ordine intellettivo, ma li abbraccia tutti.

In contrario:

Tutti i dati di un'enumerazione devono essere in qualche modo fra loro distinti: poiché la distinzione è il principio del numero.

Ora, il dono dell'intelletto viene enumerato da Isaia [ Is 11,2s ] con gli altri [ sei doni ].

Quindi il dono dell'intelletto è distinto da essi.

Dimostrazione:

La distinzione del dono dell'intelletto dai tre doni della pietà, della fortezza e del timore è evidente: poiché mentre il dono dell'intelletto appartiene alla facoltà conoscitiva, gli altri tre appartengono alla potenza appetitiva.

Non è invece così evidente la differenza di questo dono dagli altri tre di ordine conoscitivo, cioè dalla sapienza, dalla scienza e dal consiglio.

Ora, alcuni pensano che il dono dell'intelletto si distingua dal dono della scienza e del consiglio perché mentre questi riguardano la conoscenza pratica, l'intelletto si interessa di quella speculativa.

E si distinguerebbe dal dono della sapienza, che pure riguarda la conoscenza speculativa, perché mentre la sapienza ha la funzione di giudicare, l'intelletto ha quella di cogliere con l'intuizione le cose proposte, o di penetrarne l'intimo significato.

E anche noi sopra [ I-II, q. 68, a. 4 ] abbiamo determinato il numero dei doni in base a questa spiegazione.

Se però si considera la cosa con più diligenza, si nota che il dono dell'intelletto non abbraccia soltanto il campo speculativo, ma anche quello pratico, come si è già dimostrato [ a. 3 ]; e lo stesso dovremo dire [ q. seg., a. 3 ] a proposito del dono della scienza.

Perciò dobbiamo giustificare diversamente la distinzione dei doni di ordine conoscitivo.

Infatti tutti questi quattro doni sono ordinati alla conoscenza soprannaturale, che per noi si fonda sulla fede.

Ora, secondo S. Paolo [ Rm 10,17 ], la fede viene « dall'ascoltare ».

Perciò si devono proporre a credere cose non da vedere, ma da ascoltare, alle quali dobbiamo aderire con la fede.

D'altra parte la fede ha come oggetto primario e principale la prima verità e come oggetto secondario alcune considerazioni intorno alle creature; e ancora si estende fino a guidare gli atti umani, poiché « la fede opera mediante la carità », come risulta dalle spiegazioni date [ a. 3; q. 4, a. 2, ad 3 ].

Così dunque da parte nostra si richiedono due cose a riguardo delle verità proposte alla nostra fede.

Primo, che vengano penetrate o capite dall'intelletto: e ciò appartiene appunto al dono dell'intelletto.

Secondo, che uno si formi su di esse un retto giudizio, così da stimare che bisogna aderire ad esse e allontanarsi da quanto ad esse si oppone.

Ora, un simile giudizio rispetto alle realtà divine appartiene al dono della sapienza; rispetto invece alle realtà create appartiene al dono della scienza; rispetto infine all'applicazione ai singoli atti appartiene al dono del consiglio.

Analisi delle obiezioni:

1. La distinzione sopra indicata di quei quattro doni si applica in maniera evidente alle quattro qualità contrarie ricordate da S. Gregorio.

Infatti l'ottusità si contrappone all'acutezza.

E si dice appunto metaforicamente che l'intelletto è acuto quando è capace di penetrare intimamente le cose proposte.

Perciò l'ottusità mentale è l'incapacità della mente a penetrare le cose.

Si dice stolto invece chi ha un falso giudizio sul fine generale della vita.

Perciò la stoltezza si contrappone propriamente alla sapienza, che dà il retto giudizio sulla causa universale.

L'ignoranza poi implica un difetto mentale su qualsiasi realtà particolare.

Quindi si contrappone alla scienza, che serve all'uomo per formulare un retto giudizio sulle cause particolari, cioè sulle creature.

Invece la precipitazione si contrappone evidentemente al consiglio, che impedisce all'uomo di procedere all'atto prima della deliberazione della ragione.

2. Il dono dell'intelletto ha per oggetto, come la fede, i primi princìpi della conoscenza soprannaturale, però in maniera diversa.

La fede infatti ha il compito di aderirvi, mentre il dono dell'intelletto ha quello di penetrare mentalmente le verità rivelate.

3. Il dono dell'intelletto abbraccia tanto la conoscenza speculativa quanto quella pratica; però non scende al giudizio, ma si ferma all'apprensione, cioè si limita ad afferrare il significato delle verità rivelate.

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