Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se la fede risieda nell'intelletto

In 3 Sent., d. 23, q. 2, a. 3, sol. 1; De Verit., q. 14, a. 4

Pare che la fede non risieda nell'intelletto.

Infatti:

1. S. Agostino [ De praed. sanct. 5 ] insegna che « la fede si trova nella volontà dei credenti ».

Ma la volontà è una facoltà distinta dall'intelletto.

Quindi la fede non risiede nell'intelletto.

2. L'adesione della fede nel credere a una cosa proviene dalla volontà di obbedire a Dio.

Perciò tutto il merito della fede viene dall'obbedienza.

Ma l'obbedienza risiede nella volontà.

Quindi anche la fede.

E così non risiede nell'intelletto.

3. L'intelletto è speculativo o pratico.

Ma la fede non risiede nell'intelletto speculativo, il quale non è un principio di operazione poiché, come scrive Aristotele [ De anima 3,9 ], « non dice nulla di ciò che si deve imitare o fuggire »; e invece la fede « opera per mezzo della carità ».

Parimenti non risiede nell'intelletto pratico, che ha per oggetto il vero contingente fattibile od operabile: infatti l'oggetto della fede è il vero eterno, come è evidente dalle cose già dette [ q. 1, a. 1, s. c. ].

Quindi la fede non risiede nell'intelletto.

In contrario:

Alla fede segue la visione della patria, secondo le parole di S. Paolo [ 1 Cor 13,12 ]: « Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo a faccia a faccia ».

Ma la visione è nell'intelletto.

Quindi anche la fede.

Dimostrazione:

Essendo la fede una virtù, i suoi atti devono essere perfetti.

Ora, per assicurare la perfezione di un atto che deriva da due princìpi attivi si richiede che entrambi siano perfetti: non è infatti possibile segare bene se chi sega non ha l'arte e la sega non è ben aggiustata per segare.

Ma nelle potenze dell'anima aperte verso oggetti contrastanti la disposizione ad agire bene è l'abito, come sopra [ I-II, q. 49, a. 4, ad 1, 2, 3 ] si è detto.

Perciò un atto che dipende da due potenze di questo genere deve essere perfezionato da due abiti preesistenti in tutte e due le potenze.

Ma sopra [ a. prec.; q. 2, a. 1, ad 3; aa. 2, 9 ] si è detto che credere è un atto dell'intelletto in quanto viene mosso dalla volontà ad assentire: tale atto deriva infatti dalla volontà e dall'intelletto.

Ora queste due potenze, come si è visto [ I-II, q. 50, aa. 4, 5 ], sono fatte per essere corredate di abiti.

Quindi sia nella volontà che nell'intelletto ci deve essere qualche abito, se si vuole che l'atto della fede sia perfetto: come anche perché sia perfetto l'atto del concupiscibile è necessario che vi sia l'abito della prudenza nella ragione e quello della temperanza nel concupiscibile.

Tuttavia credere è direttamente un atto dell'intelletto, avendo per oggetto il vero, che appartiene propriamente all'intelligenza.

È quindi necessario che la fede, che è il principio proprio di questo atto, risieda nell'intelletto come nel suo soggetto.

Analisi delle obiezioni:

1. S. Agostino prende qui la fede per l'atto della fede: e dice che si trova nella volontà perché l'intelletto aderisce alle cose da credere sotto il comando della volontà.

2. Non solo è necessario che la volontà sia pronta a obbedire, ma anche che l'intelletto sia ben disposto a seguire il comando della volontà: come il concupiscibile deve essere disposto a seguire il comando della ragione.

Deve esserci quindi un abito virtuoso non solo nella volontà che comanda, ma anche nell'intelletto che aderisce.

3. La fede risiede nell'intelletto speculativo, come appare evidente in base al suo oggetto.

Siccome però la prima verità, che è l'oggetto della fede, è il fine di tutti i nostri desideri e di tutte le nostre azioni, come dimostra S. Agostino [ De Trin. 1, cc. 8, 10 ], ne segue che la fede opera mediante la carità.

Come anche l'intelletto speculativo diviene pratico per estensione, secondo quanto insegna Aristotele [ De anima 3,10 ].

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