Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se l'ottusità dei sensi sia distinta dalla cecità della mente

Pare che l'ottusità dei sensi non sia distinta dalla cecità della mente.

Infatti:

1. Ciascuna cosa ha un unico contrario.

Ora il dono dell'intelletto, secondo le spiegazioni di S. Gregorio [ Mor. 2,49 ], ha come contrario l'ottusità e insieme la cecità della mente, in quanto l'intelletto designa un certo principio visivo.

Quindi l'ottusità del senso si identifica con la cecità della mente.

2. S. Gregorio [ Mor. 31,45 ], parlando dell'ottusità, la denomina « ottusità del senso in materia d'intelligenza ».

Ma divenire ottusi di senso in materia d'intelligenza non è altro che avere deficienze nell'intellezione, il che appartiene alla cecità di mente.

Perciò l'ottusità del senso si confonde con la cecità della mente.

3. Se le due cose fossero diverse, dovrebbero differire specialmente nel fatto che mentre la cecità mentale è volontaria, come sopra [ a. prec. ] si è detto, l'ottusità del senso è naturale.

Ma un difetto naturale non è un peccato.

Quindi l'ottusità del senso non sarebbe un peccato.

Ciò però è contro S. Gregorio [ ib. ], il quale enumera l'ottusità tra i vizi originati dalla gola.

In contrario:

Cause diverse hanno effetti diversi.

Ora, S. Gregorio [ ib. ] insegna che l'ottusità della mente nasce dalla gola, mentre la sua cecità nasce dalla lussuria.

Si tratta quindi di vizi differenti.

Dimostrazione:

Ottuso è il contrario di acuto.

Ora, si dice che uno strumento è acuto quando è atto a penetrare.

Per cui si dice anche che uno strumento è ottuso per il fatto che è spuntato, e quindi incapace di penetrare.

Così dunque in senso metaforico si dice che i sensi penetrano il mezzo in quanto percepiscono il loro oggetto da una certa distanza; oppure in quanto possono percepire le intime qualità della cosa quasi penetrandola.

Perciò nell'ordine fisico si dice che uno è provvisto di acutezza di sensi quando è capace di percepire l'oggetto sensibile da lontano, o con la vista, o con l'udito, oppure con l'olfatto; e si dice al contrario che uno è ottuso di sensi quando percepisce solo da vicino, e oggetti molto vistosi.

Ora, per analogia con i sensi corporei, si parla anche di un senso di ordine intellettivo, che secondo Aristotele [ Ethic. 6,8 ] ha per oggetto alcuni « princìpi primordiali », come il senso ha per oggetto le realtà sensibili in qualità di princìpi di cognizione.

Ma questo senso di ordine intellettivo non percepisce il proprio oggetto attraverso un mezzo di ordine fisico, bensì attraverso altri mezzi: come quando attraverso le proprietà delle cose ne percepisce l'essenza, e attraverso gli effetti percepisce la causa.

Perciò si dice che ha acutezza di senso nell'ordine intellettivo chi, non appena ha percepito le proprietà, o anche gli effetti, di una cosa, subito comprende la sua natura, e giunge prontamente a considerarne le conseguenze più minute.

Si dice invece che è ottuso di intelligenza chi non arriva a conoscere la verità di una cosa se non attraverso molti chiarimenti; e anche allora è incapace di giungere a considerare perfettamente tutti i suoi aspetti.

Così dunque l'ottusità del senso nell'ordine intellettivo implica una debilitazione della mente rispetto ai beni spirituali, mentre la cecità della mente implica la totale privazione della loro conoscenza.

E l'uno e l'altro vizio si oppone al dono dell'intelletto, mediante il quale l'uomo ha la percezione dei beni spirituali e ne penetra intimamente la natura.

Ora, questa ottusità ha il carattere di peccato come la cecità della mente: in quanto cioè è volontaria, come è evidente in colui che, ingolfato nelle realtà della carne, disdegna o trascura di considerare attentamente le realtà dello spirito.

Sono così risolte anche le obiezioni.

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